23 dicembre 2012

«Intervista con Cesare Mazzonis» di Doriano Fasoli


Cesare Mazzonis è nato a Torino nel 1936. Ha ricoperto diversi ruoli nell’ambito della cultura musicale italiana: è stato, infatti, direttore artistico dell’orchestra Rai di Roma; direttore artistico del Teatro alla Scala per dodici anni; direttore del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino per undici anni; consulente al Teatro Bol'šoj di Mosca, ad Atene, e per Claudio Abbado. Dopo aver vissuto e lavorato a Buenos Aires, Londra, Roma, Milano e Firenze, è attualmente di stanza a Torino come direttore artistico dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Oltre alla musica, Cesare Mazzonis si è sempre dedicato alla scrittura. Per Einaudi ha pubblicato due romanzi: La vocazione del superstite (1973) e Il circolo della vela (1975). Poi, per Feltrinelli, La memoria fastosa (1987). Ha tradotto Arno Holz e Bertolt Brecht per spettacoli di Luca Ronconi e Federico Tiezzi. Sempre per Ronconi ha scritto il testo dello spettacolo Nel bosco degli spiriti (2008), – tratto dal romanzo di Amos Tutuola La mia vita nel bosco degli spiriti, edito da Adelphi, – e il libretto da Cuore di cane di Bulgakov per l'opera di Raskatov andata in scena ad Amsterdam e a Londra, e che dovrà approdare alla Scala nella prossima stagione. Il suo ultimo libro si intitola Ragnatele sul nulla (2012), pubblicato da Le Lettere: un insieme di riflessioni sul tempo, la morte, le illusioni umane, imbastito e compilato nel corso di molti anni di vita e di lavoro. L’intervista che segue è stata realizzata a Roma nel dicembre 2012. 

Doriano Fasoli: Partiamo dal titolo: cosa suggerisce «ragnatele sul nulla»?

Cesare Mazzonis: Il titolo del libro è indicato, se vogliamo, dal lemma che antepongo: un verso di Calderón nel quale si giudica «inútil ciencia» studiare «ciò che sarà», e che invece propone l'obbligo di indagare «lo que no ha de ser»: ciò che non avverrà. In due parole: d'obbligo è il «nulla», al quale ritengo con scarsa allegria di essere destinato in conclusione del vivere. E ciononostante tutto «lo que no ha de ser», l'immaginario che dai primordi l'uomo ha opposto al «nulla» iniziale e finale, l'inventario dei luoghi dell'aldilà e i viaggi di andata e ritorno dal Paese dei Morti (i viaggi orfeici) mi affascina straordinariamente.
Sono queste appunto le «ragnatele» che, per nascondere il «nulla», intorno ad esso io tramo e infittisco. «Farà scrivendo a Morte illustri inganni», del cavalier Marino, è il secondo dei tanti lemmi che aprono i capitoli del libro. E faccio intervenire difese fittizie: le «Mura intorno all'Anima» lo sono alle invasioni del pericolo, alla malattia, ai morti e alla morte. Da «La tana» di Kafka ai villaggi coreani, al castello spenseriano di Alma… esempi su esempi. Alla «ragnatela» ho voluto dare un secondo significato: la sua materia nasce dal ventre (o dal cervello) di chi la stende, e che però nella stesura si appiglia a tutto ciò che lo circonda. Ai miti, alle saghe, alle leggende, alle fiabe, ad opere letterarie e di pensiero ho appunto legato le mie «bave» di ragno.

20 novembre 2012

«Conversazione con Renzo Paris» di Doriano Fasoli


Renzo Paris
L'opera di Renzo Paris spazia di genere in genere, dalla narrativa alla poesia, dalla saggistica alla biografia, alla traduzione. Tra i suoi tanti romanzi se ne ricordano qui alcuni: Cani sciolti (Guaraldi, 1973); Frecce avvelenate (Bompiani, 1974); Filo da torcere (Feltrinelli, 1982); Ultimi dispacci della notte (Fazi, 1999), La croce tatuata (Fazi, 2005); I ballatroni (Avagliano, 2007). Ha pubblicato diversi libri di poesia, tra cui, Album di famiglia (Guanda 1990) e Creature (Fermetti, 2003). Ha tradotto e commentato, tra l'altro, l'edizione integrale de Gli amori gialli di Tristan Corbière, edito negli Oscar Mondadori. Nell'ambito biografico vale la pena ricordare i suoi libri su Alberto Moravia, del quale è stato, come anche affiora nella conversazione che segue, un più giovane amico. Il suo ultimo libro, uscito lo scorso anno per i tipi Hacca, è anch'esso una biografia, dedicata ad uno dei più poliedrici ed influenti poeti del Novecento: La banda Apollinaire. Questa preziosa conversazione di Doriano Fasoli con Renzo Paris, qui edita per la prima volta, ha avuto luogo lo scorso ottobre a Roma.

Doriano Fasoli: Paris, se dovessi definirti, come ti definiresti?

Renzo Paris: Un poeta che, a un certo punto, per sciogliere il nodo, ha scritto romanzi, biografie, libri di critica. Sono stato definito da Filippo La Porta «il padre dell'autofiction». Quando l'ho riferito al mio amico Walter Siti, ha esclamato: «Papà!» Scherzo… Sono un marsicano emigrato a Roma all'età di tredici anni e ancora innamorato di questa città.

Sei al passo con l'attuale produzione poetica?

Se l'attuale produzione poetica è la neo-neo-avanguardia, sono lontanissimo. Ma non mi ritrovo nemmeno con le tendenze neoermetiche. Sono un solitario. Ho appena pubblicato La banda Apollinaire, la mia banda.

«Introduzione alla polifonia di Michail Bachtin» di Nicola D'Ugo


Copertina della terza edizione russa
del Dostoevskij di Michail Bachtin.









Il concetto di polifonia (polifonija) è stato sviluppato da Bachtin in modo più compiuto nel suo studio su Fëdor Dostoevskij: Problemy poètiki Dostoevskogo (‘Le problematiche della poetica di Dostoevskij’), uscito nel 1963 quale edizione notevolmente ampliata del suo precedente studio del 1929 Problemy tvorčestva Dostoevskogo (‘Le problematiche dell’opera di Dostoevskij’), arricchito quindi di ulteriori riflessioni maturate da Bachtin a seguito del dibattito sovietico tra il 1929 e il 1963, tenendo conto in particolare degli interventi di Viktor Šklovskij, Leonid Grossman, Valerij Kirpotin e Anatolij Lunačarskij.

L’edizione italiana reca un titolo diverso, e fors’anche fuorviante rispetto al contributo metodologico e all’intento bachtiniano: Dostoevskij. Poetica e stilistica (Einaudi, Torino 1968). Di là dalla presentazione ed analisi delle opere del romanziere russo (dalla sua poetica e stilistica), il libro si propone, da un lato, di esaminare le forme strutturali del romanzo originate dal linguaggio e, dall’altro, di esporre lo sviluppo storico del romanzo dai suoi albori greci dei dialoghi platonici e delle menippee per giungere, attraverso il fondersi dei due filoni, al suo culmine con la polifonia dei quattro romanzi maggiori dell’autore russo (Delitto e castigo; L’idiota; I demoni; I fratelli Karamazov). Con una tale impostazione, che nasce appunto dai ‘problemi’ che pone l’opera narrativa di Dostoevskij, Bachtin prende spunto per raccontare come siano fatti i romanzi e confrontare le modalità e gli orientamenti semantici di alcuni di essi con quelli dostoevskiani. In questo senso, il suo libro è un punto di riferimento di notevole importanza per chi voglia avventurarsi a comprendere i problemi che pongono romanzi altri rispetto a quelli di cui ha scritto Bachtin.

Per spiegare cosa intenda per polifonia, Bachtin ricorre al concetto di dialogicità. Nel romanzo polifonico c’è quello che egli chiama «grande dialogo» (bol’šoj dialog). La novità di Dostoevskij sta nell’aver fatto del romanzo una struttura tutta dialogica, in cui i personaggi dialogano con altri personaggi, i diversi episodi dialogano con altri episodi e le idee raffigurate nel romanzo dialogano con le idee fuori del romanzo. La dominante del romanzo polifonico è l’interazione, su uno stesso piano semantico, delle raffigurazioni delle idee della propria epoca espresse dai personaggi. Per realizzare il «grande dialogo» che dà luogo al romanzo polifonico è necessaria la più totale eliminazione dell’intenzione dell’autore in quanto autore, il quale non può indirizzare in alcun modo l’orizzonte semantico dell’opera letteraria. Scrive Bachtin in Dostoevskij:

Il romanzo polifonico è tutto dialogico. Fra tutti gli elementi della struttura del romanzo sussistono rapporti dialogici. (p. 58)

Per comprendere questo principio occorre riallacciarsi al meccanismo della parola bivoca nella teoria bachtiniana, che costituisce lo sfondo discrezionale di dialogità e polifonia.

La questione è posta da Bachtin nei termini di una risoluzione del problema della raffigurazione della realtà e dell’immaginazione: egli ridimensiona ma non sottovaluta gli importantissimi risultati dello strutturalismo e del formalismo, utilizzandoli piuttosto per dar conto dell’effettivo meccanismo linguistico dei parlanti e delle sue conseguenze diacroniche nello sviluppo delle lingue e dei generi letterari.

Superando il nesso con il reale (in Russia per problemi anche politici) e con l’immaginario, che hanno costituito i due poli su cui si era imperniato il pensiero moderno (dal razionalismo cartesiano all’empirismo, da Leibniz a Kant, a Hegel), lo strutturalismo ha aperto la via a un terzo ordine, che ha pretesa di avocare a sé sia le aspirazioni della realtà che quelle dell’immaginazione. Questa concezione è stata espressa con chiarezza, dieci anni dopo Dostoevskij, dal filosofo francese Gilles Deleuze nell’articolo «À quoi reconnaît-on le structuralisme?» (pubblicato per la prima volta in Histoire de la philosophie, Idées, Doctrines. Tome 8: Le XXe siècle, Hachette, Paris 1973, pp. 299-335, a cura di François Châtelet). Ne cito un passo dalla traduzione italiana (Gilles Deleuze, Lo strutturalismo, SE, Milano 2004):

[I]l primo criterio dello strutturalismo è la scoperta e il riconoscimento di un terzo regno: quello del simbolico. Il rifiuto di confondere il simbolico con l’immaginario, come con il reale, costituisce la prima dimensione dello strutturalismo. (pp. 13-14)

14 ottobre 2012

«Intervista a Luigi Malerba» di Doriano Fasoli



Luigi Malerba
Oltre alle opere di narrativa, romanzi e racconti, Luigi Malerba (nato a Parma nel 1927) ha scritto testi per il cinema e la televisione e numerosi libri per ragazzi che, come quelli di narrativa, sono tradotti in tutto il mondo. Ha partecipato alle attività del Gruppo 63. Tra le sue opere ricordiamo: La scoperta dell’alfabeto (1963), Salto mortale (1968), Il protagonista (1973), Diario di un sognatore (1981), Il pianeta azzurro (1986), Il fuoco greco (1991), Le pietre volanti (1992), Che vergogna scrivere (1996), Itaca per sempre (1997), La composizione del sogno (2002), Ti saluto filosofia (2004). Ha vinto numerosi premi letterari, tra i quali il Médicis, il Mondello, il Grinzane Cavour e il Viareggio.

Malerba è scomparso a Roma l’8 maggio 2008. Con affetto vogliamo ricordarlo pubblicando questa intervista quasi interamente inedita.

Doriano Fasoli: Malerba, quando e perché decise di trasferirsi da Parma a Roma?

Luigi Malerba: Nel gennaio del 1950 sono scappato da Parma, una città civilissima ma con un clima insopportabile, caldo torrido d’estate e freddo glaciale d’inverno, e sono sbarcato nella Capitale. Una migrazione, la mia, come quella degli uccelli che vanno in cerca di condizioni di clima favorevoli. Fra parentesi dirigevo allora Sequenze, una rivista cinematografica alla quale collaboravano qualificati studiosi di cinema e letterati, da Guido Aristarco a Mario Verdone, da Mino Maccari a Ennio Flaiano: un ottimo biglietto da visita per l’ambiente cinematografico romano. Il clima, il cinema: due buoni motivi per trasferirmi a Roma. Intorno ai fasti e alle miserie della vita cinematografica ho scritto su Cinema Nuovo negli anni Cinquanta Le lettere di Ottavia, che ho ripescato nel 2004 e pubblicato con questo stesso titolo in un librino per l’editrice Archinto.

9 ottobre 2012

«Cosa è l'ideologia. Teoria e Storia» di Luciano Albanese




Trascrizione:

Si è parlato di «natura». Ora: c'è una cosa interessante in Marx che a me ha sempre colpito. Nei Manoscritti del '44 fa dei grandi elogi di Feuerbach. Ne L'ideologia tedesca, che è del '45, Feuerbach viene fatto a pezzi, sostanzialmente. Nel senso che si accusa Feuerbach di credere ad una natura che non esiste più da nessuna parte, salvo in qualche atollo corallino, se non ricordo male.

Ora, bisognerebbe, diciamo, tornare un attimo a perché Feuerbach aveva introdotto il concetto di «natura». Il progetto di Feuerbach è molto diverso dalla naturalizzazione delle categorie sociali di cui si è parlato qui. Il punto di vista di Feuerbach è, diciamo, anti-hegeliano. Cioè: Feuerbach tenta di recuperare una natura vera contro la natura finta di Hegel.

4 ottobre 2012

«Il mio cuore» di Frank O’Hara

Non starò sempre a piagnucolare
né riderò tutto il tempo,
non mi piace un “motivo” più dell’altro.
Avrei l’istantaneità dei pessimi film,
non solo di quelli barbosi, ma anche del genere
di prima classe delle megaproduzioni. Voglio esser
vivo quantomeno come il volgo. E se qualcuno
appassionato della mia vita incasinata dice: “Non è roba
da Frank!”, tanto meglio! Io
non mi metto sempre abiti grigi e marroni,
o sbaglio? No. Per l’Opera indosso camicioni da lavoro,
spesso. Avere i piedi scalzi voglio,
voglio un viso ben rasato, e il mio cuore…
non puoi programmare il cuore, ma
la sua parte migliore, la mia poesia, è allo scoperto.

(traduzione di Nicola D'Ugo)


[pubblicata in: Poesia, di Luigia Sorrentino, RaiNews, 22 febbraio 2011.]

15 agosto 2012

«Intervista a Carmelo Bene sul RICCARDO III» di Doriano Fasoli



Susanna Javicoli e Carmelo Bene
in Riccardo III, da Shakespeare
Questo Riccardo III di Carmelo Bene affronta la questione del teatro alla sua radice e restituisce alla scena e allo spettatore la radicalità della questione del ‘rappresentare’ e dell'’esibire’: la negazione dell'illusione pacificante del rappresentare, dell'impersonare (un ruolo, un carattere, un ‘significato’) e dell'incarnare; e il terrore di un linguaggio che divora se stesso e si consuma e si attorce attorno al suo apparire e svanire.

L'intervista che segue, in gran parte inedita, fu fatta a Carmelo Bene al Teatro Quirino di Roma nel febbraio 1978.

Doriano Fasoli: Come viene affrontata la questione del potere in questo tuo Riccardo III?

Carmelo Bene: Il potere è assente da questo Riccardo. Non lo ebbe in vita e non glielo do nemmeno in scena: è quella che Deleuze chiama «la macchina da guerra», cioè rivoluzionante di continuo; l'odio per la quiete dello stato o per lo stato di quiete.

18 luglio 2012

«Intervista a Carmelo Samonà» di Doriano Fasoli


Carmelo Samonà morì a Roma nella clinica «Marco Polo», dove era stato ricoverato da qualche tempo, il 17 marzo 1990. Era nato a Palermo nel 1926. Noto ispanista, fine critico letterario, insegnava Letteratura spagnola all'Università «La Sapienza» di Roma. Come narratore aveva esordito solo a 50 anni, ma i romanzi Fratelli (Einaudi, 1978) e più tardi Il custode (Einaudi, 1983) lo avevano imposto come uno dei nostri talenti più appartati e sofferti.

La mia conversazione con Samonà – in gran parte inedita avvenne in due tempi: il primo incontro risale al mese di maggio 1986, il successivo al febbraio 1989.

Doriano Fasoli: Da quanto tempo si è stabilito a Roma?

Carmelo Samonà: Dal 1936; avevo dieci anni.

Come le appare, oggi, questa città?

Splendida e perversa. O meglio: di una bellezza polverosa, ferita, sopraffatta da violazioni impudiche, spesso brutali. Io la ricordo nell'aurea epoca del suo provincialismo: era magari dimessa e sciatta, ma d'una struggente amabilità. Il fascismo le assestò i primi colpi con le baggianate imperiali e littorie; poi è venuta la speculazione edilizia; infine le automobili. Queste ultime non l'hanno solo imbruttita, la stanno uccidendo.

10 luglio 2012

«L’editoria non è la letteratura» di Nicola D'Ugo


Literature by James Koehnline (2007)
In un articolo intitolato «Non tutto è perduto» uscito sul suo blog lo scorso 13 maggio, Roberto Cotroneo, riferendosi al calo di vendite annunciato al Salone del Libro di Torino, lamenta «dati poco incoraggianti». E, prosegue: «In Italia c’è stato quasi un crollo del mercato editoriale, e la cosa ancora più preoccupante è che stanno diminuendo i lettori forti, ovvero coloro che leggono più di 12 libri all’anno.»

Condivido il senso dell'articolo, e lo apprezzo molto, tranne per alcuni passaggi dai quali prendo qui spunto. Non condivido affatto l'affermazione secondo la quale i «lettori sono di gran lunga migliori degli editori, degli scrittori, dei librai e dei critici», anche se intuisco l'amarezza che ne ha dettato la falciante enunciazione e l'iperbole provocatoria: se lo fossero troverebbero da sé le vie che menano ai libri di qualità.

13 maggio 2012

«Il problema della libertà. Conversazione con Adriano Ossicini» di Doriano Fasoli


Adriano Ossicini al Palazzo del Quirinale
riceve gli auguri del Presidente Napolitano
in occasione del suo novantesimo compleanno.
Doriano Fasoli: Il primo passo per dare un necessario assetto strutturato al settore è stata l’istituzione dell’Ordine degli Psicologi. Successivamente la definizione di criteri per la qualifica di Psicoterapeuta e l’apertura delle Scuole di Psicoterapia. Negli ultimi anni anche la SPI, dopo un acceso dibattito interno, ha chiesto e ottenuto il riconoscimento come scuola di formazione di psicoterapeuti. Tempo addietro sono stati introdotti gli ECM, i crediti formativi, cosicché i momenti d’incontro e scambio teorico-clinico fra psicoanalisti sono soggetti a firme e questionari di apprendimento (infatti, una larga parte di psicoanalisti lavora o collabora con enti e quindi necessita di queste certificazioni). Se da un lato è auspicabile che l’operatore nel settore della salute continui a informarsi e aggiornarsi, non ritiene che questo tipo di controllo esterno, almeno per come è organizzato ora, rappresenti un’intrusione, crei un’interferenza, soprattutto per la comunità degli psicoanalisti? Finora le competenze per valutare l’avvenuta «crescita» – ad esempio, il candidato che consegue l’associatura – erano state e sono tuttora riconosciute solo ad appartenenti qualificati della Società stessa.

8 maggio 2012

«'Ulisse' di James Joyce ha novant’anni» di Nicola D'Ugo


Marilyn Monroe che simbolicamente
legge Ulisse di James Joyce, ritratta
da Eve Arnold a Long Island nel 1954.
Il 2 febbraio scorso non solo ricorreva la nascita di James Joyce, ma anche il novantennale dell'uscita di Ulisse, edito in inglese a Parigi poiché era censurato in America e non aveva speranza di esser pubblicato in altri paesi di lingua inglese. Joyce volle che Ulisse uscisse il giorno preciso del suo compleanno: né uno prima, né uno dopo. Ci teneva molto e lo pretese. Ma fu solo per via del suo quarantesimo compleanno? C'è da dubitarlo. Joyce amava le concomitanze polisemiche, le confluenze di significati, le coincidenze volute ma che sembrassero anche casuali. Ed era superstizioso.

La data di pubblicazione di Ulisse è una delle più memorabili della storia letteraria. Basta sapere il secolo in cui uscì; più il numero 2. Semplice: 2.2.22 (Il 2 febbraio del 1922). Il 2 coincide anche col fatto che Ulisse è il 2° romanzo di Joyce. Ed era anche la 2a volta che il romanzo veniva pubblicato (un’edizione precedente, a puntate su rivista, fu interrotta 2 anni prima dalla censura, o, per l’esattezza, 1 anno e 2 mesi prima). Il 2/2/22 è la 2a uscita del suo 2° romanzo che coincide col compimento dei primi 20 anni di Joyce nel 20° secolo e del suo 2° giro di boa dei 20 anni. Quante di queste ed altre coincidenze siano state volute, lo poteva sapere solo Joyce stesso, ma voleva che altri ci pensassero per conto proprio. Si divertiva così anche scrivendo le sue opere letterarie.

24 aprile 2012

«Lezioni su Edmund Husserl. La percezione» di Luciano Albanese


Edmund Husserl
Nella storia della filosofia, sia antica che moderna, il significato del termine percezione non è univoco. Esso va dedotto di volta in volta tramite un esame del contesto filosofico nel quale compare. In linea generale, è possibile delineare una grossa dicotomia fra tendenze filosofiche dualistiche e tendenze filosofiche monistiche. Le filosofie dualistiche assumono l’esistenza di due fonti distinte della conoscenza, senso da una parte e intelletto dall’altra. Nel primo caso il termine percezione cade interamente dalla parte della sensibilità, e l’assunto fondamentale è che la sensibilità, tramite la percezione, sia in grado – da sola e senza l’intervento dell’intelletto – di attingere le caratteristiche fondamentali degli oggetti esterni, in particolare la loro collocazione nello spazio e nel tempo.

8 marzo 2012

«Intervista a Franco Rella» di Doriano Fasoli


Franco Rella
Franco Rella insegna Estetica nella Facoltà di Design e Arti dell’Università IUAV di Venezia. È autore di numerosi libri e saggi tradotti in più lingue. Tra le sue principali opere, ricordiamo: Il silenzio e le parole (1981), L’enigma della bellezza (1991), Figure del male (2002), Miti e figure del moderno (2003), Scritture estreme. Proust e Kafka (2005). È anche coautore, con Susanna Mati, di Georges Bataille. Filosofo (Mimesis, 2007).

Doriano Fasoli: «A un certo punto ho preferito rivolgermi al piacere della lettura, che era ancora molto ingenuo, piuttosto che al piacere di giocare con degli oggetti. E sono rimasto per tutta la vita un uomo di libri, un uomo di scrittura»: sono parole di Jean Starobinski. Lei come si definirebbe, professor Rella? Qual è la sua biografia, qual è stato l’itinerario della sua vita?

Franco Rella: Forse quello che dice Starobinski vale per tutti gli scrittori. E con la parola ‘scrittore’ intendo chiunque faccia della scrittura – quella degli altri, la sua – una modalità di relazione con il mondo. Prima sono state le storie raccontate da mia nonna, poi le storie che io stesso mi raccontavo, e poi la lettura ogni giorno della mia vita. E, a un certo punto, la scrittura.

26 febbraio 2012

«Far male critica: un esempio» di Nicola D'Ugo



I tre libri della prima edizione
di 1Q84 usciti in Giappone
tra nel 2009-2010
L'esempio di un pessimo modo di far critica. Si tratta della recensione di Franco Cordelli al romanzo 1Q84 di Haruki Murakami, pubblicata nel dicembre scorso su La Lettura del Corriere della Sera e reperibile sul sito web Il club de La Lettura – sul quale l’ho letta – col titolo «L'amore immaginario di Murakami/1».

Errori di concetto fanno pensare che Cordelli abbia letto di fretta il romanzo (nel migliore dei casi), senza poi verificare quel che ha scritto. Per esempio, Aomame, la protagonista femminile del romanzo di Murakami, non è una «vendicatrice solitaria», come deve aver creduto Cordelli, ma la sicaria d’una facoltosa mandante, né la «sua missione è uccidere gli stupratori di bambine»: quella è semmai l'ultima missione della parte del romanzo pubblicata da Einaudi (il terzo e conclusivo libro è inedito in Italia). Aomame è l’esecutrice materiale dell’assassinio di alcuni uomini che compiono sistematiche violenze domestiche nei confronti delle donne, soprattutto delle mogli: nei casi estremi in cui la mandante, anch’essa donna, non abbia trovato vie giudiziarie o d’altro genere per far cessare le violenze, essa commissiona ad Aomame i delitti. Non rivelo al lettore perché la protagonista sia diventata un'assassina seriale: Murakami lo spiega a più riprese.

16 febbraio 2012

«Con Cinzia Baldazzi su 'Passi nel tempo' di Maurizio Minniti» di Doriano Fasoli


Quindici poesie di Maurizio Minniti seguite da altrettanti commenti di Cinzia Baldazzi: questa la formula del libro che affianca i versi di un poeta alle annotazioni storico-filosofiche di un critico. Il volume, pubblicato dall’editore fiorentino Pagnini nel dicembre 2011, è intitolato Passi nel tempo. Ne parliamo con Cinzia Baldazzi, autrice dei commenti. Laureata in Lettere Moderne, ha pubblicato saggi e articoli di carattere letterario. È stata per molti anni collaboratrice fissa di quotidiani e periodici per rubriche di critica teatrale e cinematografica. Collabora da oltre vent’anni con la Rai nei programmi di intrattenimento. Vive e lavora a Roma.

Doriano Fasoli: Quali sono le tue predilezioni in campo poetico?

Cinzia Baldazzi: Mi incantano, ogni volta che li leggo, i Sonetti di Foscolo, ma i miei best sono i Canti di Leopardi, il Libro dei poemi di García Lorca, Foglie d’erba di Whitman. Del Novecento italiano, oltre alla raccolta L’allegria di Ungaretti – magnetica e autoritaria – mi piace leggere di tanto in tanto Montale, Penna, Pavese. Da ragazza coltivavo anche la mitologia della «poesia pura» degli ermetici cosiddetti 'moderni', come Solmi, De Libero, Sinisgalli.

11 gennaio 2012

«'Le metamorfosi' di Ovidio» di Nicola D'Ugo


Apollo e Dafne (1622-1625)
di Gian Lorenzo Bernini
(Galleria Borghese, Roma)
Le Metamorfosi di Ovidio sono una delle opere piú influenti della letteratura occidentale. Non solo per la rassegna di miti classici di cui si sono nutrite ottanta generazioni di artisti e letterati. È una questione di scrittura, di snodi dell’intreccio, di articolazione delle narrazioni, che si perdono là dove sorgono: nell’oscurità e nella luce del mistero, dell’imprecisato, del rarefatto, dell’ignoto.

Si capisce fin dalle prime pagine che non si è di fronte a una narrazione epica a tutto tondo. Ce lo dice la rassegna di creazioni in rapida successione, che danno l’idea di un processo infinito. La poesia di Ovidio è già poesia moderna, anzi modernissima, solo perché è semplicemente poesia, fondata sulla forza delle immagini metaforiche che hanno la doppia pelle del traslato. Le vicende umane descritte da Ovidio contemplano l’uomo decaduto da uno stato originario piú piacevole, un uomo che ora deve guardarsi da tutto: dagli dèi, dagli uomini, dalla natura, dalle proprie inclinazioni.