2 ottobre 2019
«“Elogio delle merci”, tre racconti di Isacco Turina» di Cinzia Baldazzi
27 aprile 2019
«“Il secchio e lo specchio”, poesie di Francesco Lorusso», di Cinzia Baldazzi
30 luglio 2018
«“Una perfetta vicinanza”, romanzo di Fabio Ciriachi» di Cinzia Baldazzi
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Fabio Ciriachi
Una perfetta vicinanza. Romanzo
Postfazione di Giorgio Patrizi
Coazinzola Press, Mompeo (RI) 2017
294 pp.
€ 18,00
ISBN: 9788894175394
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Perché, o Fedro, questo ha di terribile la scrittura, simile per la verità, alla pittura: infatti, le creature della pittura ti stanno di fronte come se fossero vive, ma se domandi loro qualcosa, se ne restano zitte, chiuse in un solenne silenzio; e così fanno anche i discorsi. Tu crederesti che parlino pensando essi stessi qualcosa, ma se, volendo capire bene, domandi loro qualcosa di quello che hanno detto, continuano a ripetere una sola e medesima cosa. E una volta che un discorso sia scritto, rotola da per tutto, nelle mani di coloro che se ne intendono e così pure nelle mani di coloro ai quali non importa nulla.1
6 marzo 2018
«“Il divino egoista” di Attilio Bertolucci e Doriano Fasoli», di Cinzia Baldazzi
In tempi di sfacelo delle poetiche, la poesia resiste.
(Attilio Bertolucci, da «Un’ansia religiosa senza maledettismo», Il Giorno, 11 giugno 1975)
Divino egoista, lo so che non serve
chiedere aiuto a te
so che ti schermiresti.
Abbitela cara – dice – quest’ombra
verde e questo male. Evasivo
scostandosi lo copre con una
sua foglia di gaggìa –
biglietto
d’invito a una festa che ci si prepara
vaga come una nuvola
in groppa all’Appennino.
(Vittorio Sereni, «A Parma con A. B.»,
agosto 1978, parte IV)
Nel discorso che devo oggi tenere, e in quelli che mi occorrerà tenere qui, forse per anni, avrei voluto poter insinuarmi surrettiziamente. Più che prendere la parola, avrei voluto esserne avvolto, e portato ben oltre ogni inizio possibile.1
Mi sarebbe piaciuto che dietro a me ci fosse (avendo preso la parola da un pezzo, superando in anticipo tutto quello che sto per dire) una voce che parlasse così: «Bisogna continuare, non posso continuare, bisogna dire parole finché ce ne sono […], è forse già cosa fatta, mi hanno forse già detto, mi hanno forse portato sino alle soglie della mia storia, dinnanzi alla porta che s’apre sulla mia storia, mi stupirei si aprisse, questa porta».2
16 febbraio 2018
«Quattro morti e un funerale: “L’uomo dal fiore in bocca… e altre storie”» di Cinzia Baldazzi
Chi vive, quando vive, non si vede: vive… Se uno può vedere la propria vita, è segno che non la vive più: la subisce, la trascina. Come una cosa morta, la trascina… Possiamo dunque vedere e conoscere soltanto ciò che di noi è morto. Conoscersi e morire.
«[L]e faccio fare la carriola: le faccio muovere cioè otto o dieci passi, non piú, con le sole zampette davanti, reggendola per quelle di dietro». Concludendo a sorpresa sulla povera bestiola: «Comprende […] la terribilità dell’atto che compio […]; non le è possibile ammettere che io scherzi, per un momento solo; e seguita maledettamente a guardarmi, atterrita».
16 dicembre 2017
«“La stagione dell’amore” di Claudia Monteiro de Castro», di Cinzia Baldazzi
ci sono ancora i poeti
a vagabondare per il mondo.
all’allegria, alla tristezza,
al vizio, all’astinenza,
alle parole fiacche,
ai giorni opachi,
[…]
Non trarre in inganno,
però,
l’immobilità delle cose.
Anche le rocce si muovono.
sfiorarsi,
annusarsi.
Basta un passo
e di colpo
si capovolge
tutto.
29 giugno 2016
«Orme poetiche. Intervista a Cinzia Baldazzi» di Doriano Fasoli
Undici poeti contemporanei, di differente età, estrazione e provenienza geografica, ciascuno presente con dieci poesie, introdotti da un lungo saggio critico. Questa la formula di Orme poetiche, l’antologia da poco pubblicata da Intermedia e già presentata al Salone Internazionale del Libro a Torino, oltre che in varie parti d’Italia (tra cui Paliano, Samone, prossimamente il Salento). Ne parliamo con Cinzia Baldazzi, che ne ha scritto l'introduzione. Autrice di saggi e articoli di carattere letterario, per molti anni collaboratrice fissa di quotidiani e periodici per rubriche di critica teatrale e cinematografica, è vice-direttore della rivista online di teatro, cultura e politica Scenario. Collabora da oltre vent’anni con la Rai nei programmi di intrattenimento. Vive e lavora a Roma.
Doriano Fasoli: Un’antologia di centodieci poesie di autori contemporanei poco conosciuti al grande pubblico. Perché vengono definiti «leopardisti» e non «leopardiani»?
Cinzia Baldazzi: Nessuno alla morte del poeta romantico è stato mai ritenuto o ha inteso essere «leopardiano», né avrebbe potuto accadere, come si determina in tutti i poeti che non siano semplicemente – si fa per dire – elementi di una scuola poetica globale, come ad esempio gli «ermetici» Alfonso Gatto e Piero Bigongiari. Nessuno, ovviamente, ha più scritto come Gatto e Bigongiari, per motivi che riguardano l’irripetibilità dello spazio-tempo nei campi del pensiero e della comunicazione umana. Tuttavia, il filo rosso della poesia ermetica, che unisce, ad esempio, questi due grandi autori, può far sì che di costoro esistano più o meno diretti successori, prosecutori. Ma per poeti che sono il Romanticismo, come Leopardi, o il Decadentismo, come D’Annunzio (ambedue considerati slancio creativo nato in Italia), ispirarsi a loro coincide con un’affinità subliminale o espressa che necessariamente corre per altre strade. Così il dannunzianesimo è stato forte nel Novecento, ma né Ungaretti né Montale, nella loro alternativa condizionata, possono essere considerati dannunziani.
Cosa intendiamo allora per «leopardisti»?
Partiamo dal capofila della prima generazione, ovvero Giuseppe Ungaretti, che in Orme poetiche viene ‘riproposto’, sempre con le mediazione leopardiana, dalla poesia «Saro» di Salvatore Armando Santoro. Si è parlato di molte affinità tra l’infinito leopardiano e quello ungarettiano. Leopardi ha còlto, ha intuito l'infinito spaziale, visto nella negazione della realtà fisica a cui era da sempre abituato: spazi interminati, silenzi sovrumani, quiete profondissima. Una dimensione impossibile da paragonare con quella ‘solita’, ‘abituale’. Per Ungaretti, l’assoluto cui l'uomo tende è per definizione indicibile, inesprimibile, in quanto trascende la capacità umana di espressione. Però, l’essenzialità della parola risponde all’esigenza di dare voce al mistero dell'assoluto nascosto in ogni uomo.
Dunque nel Novecento facciamo un passo avanti.
Il fluire del tempo nello spazio romantico apre la strada a quello ungarettiano e ne esce configurato in forma non misurabile, ma propria dell’uomo. Le «orme poetiche» lasciate da Ungaretti evocano un infinito una volta leopardiano, oggi leopardista: suo alle origini, ieri ungarettiano, oggi nostro. Come nella già citata «Saro» di Santoro, storia davvero leopardiana, con la chiusa dedicata a coloro i quali «aspettano ancora il dì di festa», ma con l’emblema umano dell’assenza, delle passate stagioni che tornano nel ricordo vivo, ineffabile ma adesso misurabile, perché il giovanissimo Saro sedeva con lui, con gli amici, accanto alla chiesa, e le sue siepi le aveva già valicate.
Nella tua lunga introduzione, la parte dedicata a ciascun poeta è avviata da un brano di prosa leopardiana che poi, continuando nella lettura, fa da guida, da traccia all’analisi del singolo autore.
È indubbio come esista, e la critica lo ha rilevato da tempo, una sorta di affinità elettiva in atto tra il pensiero di Giacomo Leopardi e molti poeti del nostro Novecento: Ungaretti, Montale, Bigongiari, Zanzotto, Sergio Solmi. È la cosiddetta «prima generazione» di leopardisti. Nel mio saggio introduttivo ho preso le mosse da questo «lascito» del secolo appena concluso, per leggere sotto una simile luce i poeti degli anni Duemila e identificare gli undici autori di Orme poetiche in una «seconda generazione» di leopardisti.
16 febbraio 2012
«Con Cinzia Baldazzi su 'Passi nel tempo' di Maurizio Minniti» di Doriano Fasoli
Doriano Fasoli: Quali sono le tue predilezioni in campo poetico?
Cinzia Baldazzi: Mi incantano, ogni volta che li leggo, i Sonetti di Foscolo, ma i miei best sono i Canti di Leopardi, il Libro dei poemi di García Lorca, Foglie d’erba di Whitman. Del Novecento italiano, oltre alla raccolta L’allegria di Ungaretti – magnetica e autoritaria – mi piace leggere di tanto in tanto Montale, Penna, Pavese. Da ragazza coltivavo anche la mitologia della «poesia pura» degli ermetici cosiddetti 'moderni', come Solmi, De Libero, Sinisgalli.