Marcello Turno è psichiatra e psicoanalista, membro dell’International Psychoanalytical Association (IPA) e della Federazione Europea di Psicoterapia Psicoanalitica (EFPP). Appassionato di scrittura sperimentale è stato autore di numerose azioni sceniche per teatro danza, fra cui Pater noster; Ichspaltung; Metamorphosis; Saffeides, realizzate dal Nouveau Theatre du Ballet International di Venezia e da Immagine Danza. Ha scritto per il teatro Electrae Io Cesare, Bruto, forse la rivoluzione, messo in scena con un gruppo di tossicodipendenti inseriti in un programma di recupero, di cui ha curato anche la regia. Ha collaborato alla sceneggiatura del TV movie L’uomo del vento. Ha pubblicato per Alpes Il mancato suicidio di Luigi Pirandello (2013) e per lo stesso editore, in questi giorni, Storie nere in stanze d’analisi. Vive e lavora a Roma.
Doriano Fasoli: Dottor Turno, Storie nere in stanze d’analisi. Un titolo forte! Spaventa un po’. Di che si tratta?
Marcello Turno: Sono cinque racconti, organizzati in un volume il cui indice richiama volutamente a un trattatello di psicoanalisi: «Una questione di transfert», «Analisi interminabile», «La seduta d’analisi», «Enactment» e «Psicoanalisi futura». Più che spaventare vuole essere un sovversivo, fuori dagli schemi tradizionali. Rompere la consuetudine a cui ci ha abituato In Treatment. Nei miei racconti il protagonista è la relazione paziente-analista. C’è sempre qualcosa che porta ad agire o l’uno o l’altro.
Analisti o pazienti che diventano killer, appunto. Non teme di attirarsi le ire dei suoi colleghi?
A leggerli bene i racconti ironizzano sui tic e gli stereotipi degli analisti. L’ho già detto in una intervista televisiva: vediamo se sanno sorridere. A volte si prendono troppo sul serio e fino ad ora, escluso Woody Allen e Moni Ovadia, non mi sembra che ci siano altri a prenderli in giro.
Nel suo libro condensa il paradigma indiziario della crime investigation con teorie psicoanalitiche. A detta di chi ha letto Storie nere in stanze d’analisi riesce a farlo egregiamente. Sembra quasi che siano casi clinici. Come mai questa idea?
Sono convinto che un buon psicoanalista debba essere un investigatore della mente. Comunque è una deriva autobiografica. Da ragazzo, ma anche in età adulta, sono stato un accanito lettore di letteratura gialla e nera e molte altri generi ancora. Dove mi è possibile dissemino omaggi. Ad esempio rimasi colpito che Raymond Chandler stette giorni interi per decidere se usare una frase: «l’ombra […] gli tagliò la faccia». Io questa frase l’ho usata. È diventata «l’ombra gli tagliò la testa», è un omaggio a lui. Non vedevo l’ora. A mo’ di mosaico ho incastrato il background culturale con teoria e pratica psicoanalitica e sono nati i racconti.