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4 luglio 2018

«Seconda spiaggetta dietro il castello di Lerici», un racconto di Nicola d’Ugo



Che bella la bellezza femminile. Ieri me ne stavo sulla spiaggetta appartata accanto a sette ragazze a seni nudi una più bella dell’altra. La più affascinante era una ragazza dal viso da selvaggia, piccoletta, coi capelli lunghi che le coprivano i seni. Non che avesse brutti seni, erano belli, ma il fatto che i capelli glieli coprissero la rendeva ancora più bella. Era robustina e un bel po’ dopo, quando si è rivestita, mi sono voltato a seguirla con lo sguardo andar via nel suo vestito lungo, bianco e traforato. Mi sembravano le donne del mare descritte da Fosco Maraini, benché fossero italiane e non giapponesi, abbronzate e simpaticissime. La loro maggiore preoccupazione, oltre a camminare nell’acqua vicino alle rocce, era quella di rianimare un pesciolino. Una di loro aveva infatti trovato un pesciolino a riva e credeva che fosse morto. Di fatto, nella sua mano era esanime. Questo le dispiaceva, naturalmente. Le ricadeva in acqua, cercava di raccoglierlo, ma purtroppo era morto. Che peccato.

Recuperato, lo accarezzava nel palmo della mano, con un’altra ragazza che guardava il pesciolino, dispiaciuta anche lei, e speranzosa che forse non fosse morto. Accarezza e accarezza, massaggia e massaggia morbidamente, il pesciolino ha cominciato a riprendere i sensi. Coi polpastrelli e col palmo gentile della ragazza, che parlava di massaggio cardiaco, il pesciolino si è ripreso e lo ha rimesso nell’acqua. Ma dopo pochi istanti sembrava che non nuotasse, che fosse un leggero peso mosso dal lembo d’acqua sulla rena. Allora dispiaciuta ha detto che era morto, e lo ha ripreso in mano. Aveva bisogno di un massaggio, di tenerezza, e, oltre alla tenerezza, ci ha aggiunto colpettini al petto perché il suo cuore riprendesse a battere, premendolo. Temevo che lo schiacciasse.

L’amica con gli occhi di fuori cercava di collaborare col solo potere dello sguardo, che è un potere della speranza, dell’augurio e della collaborazione attenta. Stavo per dirle che era bene non lo tenesse troppo fuori dell’acqua, che rischiava di non respirare, quando una sua amica, che si aspergeva d’acqua il petto per rinfrescarsi i seni dalla calura e sentirne il piacere sui cicciosi capezzoli, mi ha anticipato, per cui la fanciulla, che non ci pensava, si è scusata per la dimenticanza, rimettendo il pesciolino nell’acqua. Ma che fine ha fatto il pesciolino?

Ad un certo punto il cucciolotto di pochi centimetri, punteggiato nelle tenere squame, ha ripreso vitagrazie a queste ragazze,ha iniziato a muoversi nell’acqua, se ne è andato per conto suo. Ha incontrato le sue benefattrici in un recesso di spiaggia tra le rocce, e ha ripreso la propria vita e se l’è portata via tra le onde. Che brave, belle, simpatiche e sensibili ragazze. Che spettacolo di grazia in un frangente del pomeriggio lericino. Quando le ragazze si sono rivestite, se ne sono andate, lasciando dietro, ancora seminuda, una di loro. Ma un’amica, che stava per andarsene, è tornata indietro ad aspettarla, sedendosi sulla sabbia.

12 giugno 2013

«L'incubo ad aria condizionata», un racconto di Angela Bubba

Angela Bubba, in una foto di Roberto Nistri


Un pomeriggio in una libreria di Crotone, ore diciotto-diciotto e trenta, entro e dico buonasera ai presenti, non risponde nessuno. Non m'importa. Continuo a camminare e penso che è una bellissima giornata: dolciastra, moderatamente calda, col teatro dei burattini che fa rumore in piazza e i bambini che perdono sangue dai ginocchi perché correndo sono caduti; l'odore dei gelati ovunque, la luce roseoviolacea di tutto, la primavera già estate.

Il posto è fresco e quasi senza suono, oscuro quanto una chiesa.

Mi metto a girovagare fra gli scaffali con nulla in testa a parte un rumore come di frullatore in continuo movimento, una pala grande e invisibile che in qualche modo riesce a farmi sentire in procinto di scomparire, di essere rubata al mondo da una banda di zingari e venduta a degli sconosciuti che dovrebbero cambiarmi l'identità e tutto il resto per sempre. Per sempre. Non potrò più litigare con mia sorella, penso, non potrò più chiedere a mia madre se mi vuole bene e sentirmi tramortita un attimo dopo perché lei mi guarderà incredula e disperata e divertita, non potrò più dire “papà scusa se ogni settimana ti faccio venire qua a Crotone, scusa…”

Mi rigiro un paio di titoli famosi e osceni in mano, strascico i passi, infine mi blocco. Mi soffermo su un libro di Herny Miller intitolato L'incubo ad aria condizionata. C'è molto celeste sulla copertina, e soprattutto c’è bella stampigliata sopra la frase: “i ciechi guidano i ciechi: è il sistema democratico”.

“Perfetto” esclamo ad alta voce.

“Cosa?”

Un uomo basso e brutto alle mie spalle mi ha sentito e cerca spiegazioni.

“Niente”.

Mi allontano.