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11 settembre 2019

«Otto Fenichel. Conversazione con Alberto Angelini» di Doriano Fasoli



Alberto Angelini, psicoanalista, ha insegnato Psicofisiologia all’Università La Sapienza di Roma e svolto ricerche presso l’Istituto di Psicologia del Cnr. Diplomatosi in Regia al Centro Sperimentale di Cinematografia, è stato consulente dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e docente di Psicologia clinica presso l’Istituto internazionale delle Nazioni Unite per la ricerca sul crimine e la giustizia (UNICRI). Direttore responsabile della rivista Eidos. Cinema Psyche e Arti visive dal 2004 e direttore vicario della rivista Letteratura e cinema, è autore di oltre cinquanta articoli scientifici e di diversi volumi, tradotti in più lingue. Tra le opere principali di Angelini si ricordano: La psicoanalisi in Russia. Dai precursori agli anni Trenta, prefazione di C. Musatti (1988); Psicologia del cinema, prefazione di L. Mecacci (1992); Pionieri dell’inconscio in Russia (2002); Un enciclopedista romantico. Psicoanalisi e società nell'opera di Otto Fenichel (2009), pubblicati per i tipi Liguori. Psicoanalisi e Arte teatrale (2014) e il recente Otto Fenichel. Psicoanalisi, metodo e storia (2019), entrambi editi da Alpes Italia.

Doriano Fasoli: Dottor Angelini, in quale periodo Otto Fenichel ha esercitato la sua professione di psicoanalista?

Alberto Angelini: Fenichel lavorò, negli anni Venti e Trenta, prima a Vienna, dov’era nato nel 1897, poi a Berlino. Il giovane Otto apparteneva ad una famiglia borghese. Fin dall’infanzia tenne un diario dei concerti e del teatro, tipico oggetto viennese, dove commentava ogni rappresentazione. Dotato di grande ingegno psicoanalitico e di una formazione culturale classica, oltre a svolgere una intensa attività clinica, fu autore di numerosi lavori scientifici. Gli amici sapevano com’egli possedesse una memoria fotografica non solo per le citazioni di Freud, con relativo numero di pagina, ma, ad esempio, per l’intero orario ferroviario europeo. Le sue proposte psicoanalitiche, tuttavia, sono basate sulla novità e profondità dei concetti avanzati e non sull’accumulo dei dati. Nel 1938 si trasferì negli Stati Uniti, dove esercitò la psicoanalisi in California fino all’anno della sua scomparsa, il 1946. La morte prematura impedì al suo pensiero di svilupparsi pienamente.

Qual è l’attualità del suo pensiero?

Fenichel considerava come valori non solo scientifici, ma addirittura etici, la razionalità e l’aspirazione al rigore metodologico. Egli, già negli anni Trenta, percepiva l’incombere, sul movimento psicoanalitico, d’idee antirazionaliste e antilluministe. In epoca contemporanea assistiamo ad un attacco alla razionalità, non solo in ambito psicoanalitico, ma in generale, su più fronti, socialmente e culturalmente. Fatta salva la casistica clinica che comunque possiede sempre una sua grande utilità riguardo al metodo, nella psicoanalisi, con il dilagare del pensiero bioniano, si è scivolati verso la metafisica, escludendo la dimensione di filosofica realtà che il pensiero psicoanalitico dovrebbe avere per aspirare ad uno statuto scientifico. Per altri versi sono addirittura ridicoli i criptolinguaggi di discendenza lacaniana, la cui sofisticata complicazione linguistica non trova motivi di sostegno. Anche il banale empirismo psicoanalitico, pur utile, non offre solidità di metodo. Chi, opponendosi a tutto ciò, volesse cercare le fondamenta metodologiche della psicoanalisi appellandosi ai neuroni e al cervello andrebbe incontro ad analoghe difficoltà di principio, su un altro versante. Infatti la strada del meccanicismo materialista si è sempre scontrata con le enormi diversità degli esseri umani. I cervelli, anatomicamente, sono uguali in tutto il pianeta, ma le persone no. Gli esseri umani sono profondamente diversi, per tutto ciò che riguarda le funzioni psichiche superiori, come il linguaggio, l’attenzione, la memoria e altro.