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24 giugno 2018

«Intervista a Tullio Gregory» di Doriano Fasoli


Tullio Gregory e Doriano Fasoli. Roma, giugno 2018

Tullio Gregory è un filosofo e storico della filosofia italiano. Nato a Roma nel 1929, si è laureato in filosofia nel 1950 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza. Di questo ateneo è stato professore ordinario, dal 1962 titolare della cattedra di Storia della filosofia medievale e dal 1967 di quella di Storia della filosofia. È anche direttore del Dipartimento di Ricerche storico-filosofiche e pedagogiche della stessa Università.

Doriano Fasoli: Quando prese a occuparsi di filosofia? E oggi a cosa serve ancora la filosofia?

Tullio Gregory: Preferisco parlare di storia delle idee, data l’ambiguità e la polivalenza del concetto di filosofia nel tempo. Dunque ho cominciato a interessarmi a problemi di storia delle idee negli anni di liceo, anche per suggestioni ricevute dal mio professore di latino e greco, appassionato filologo classico, Antonio Traglia e soprattutto per l’influenza di Ernesto Buonaiuti che ebbi la fortuna di conoscere negli anni di liceo, quando, benché rintegrato nei ruoli universitari dai quali era stato espulso per non aver giurato fedeltà al fascismo, gli fu impedito di tornare a insegnare all’università per l’articolo 5 comma 3 del concordato del 1929, formulato in odio a lui. Mi domanda a cosa serva la filosofia: per fortuna non serve a nulla, se non a soddisfare un interesse personale.

Lei si laureò nel 1950 con Bruno Nardi, un grande medievista e studioso di Dante. Che ricordo ne conserva?

Mi laureai con Bruno Nardi, grande maestro non solo di medievistica e di cultura rinascimentale, ma soprattutto maestro nell’insegnare a leggere i testi, ad amarli e studiarli nella loro fattualità e in tutte le implicanze concettuali o simboliche.

Lei scrive con il computer o si ritiene ostile alla tecnologia?

Scrivo con la penna stilografica, quindi con l’inchiostro; ciò non significa che sia in alcun modo ostile alle tecnologie informatiche. Tenga presente che alcune banche dati di rilievo internazionale nel campo soprattutto della terminologia di cultura, le ho promosse io con l’istituto Lessico Intellettuale Europeo (CNR) da me fondato e diretto per oltre cinquant’anni.

26 dicembre 2017

«I figli crescono. Intervista a Silvia Gregory» di Doriano Fasoli



Silvia Gregory, dopo una laurea in Medicina e chirurgia alla Sapienza di Roma, si è specializzata nel 1987 in Pediatria e nel 1992 in Neuropsichiatria infantile. Vive e lavora a Roma. L’occasione di questa conversazione è l’uscita del suo libro I bimbi crescono. Favole e Computer, edito in questi giorni da Alpes.

Doriano Fasoli: Dottoressa Gregory com’è nata l’idea di dare alle stampe questo suo lavoro: I bimbi crescono?

Silvia Gregory: Il libro è nato dalla richiesta di un genitore che, riflettendo con me sul modo migliore di affrontare alcuni temi quali ad esempio le bugie, il ruolo della tecnologia, la morte di una persona cara, mi ha spinto a scrivere su alcune delle richieste più comuni dei genitori utilizzando l’esperienza e il lavoro quotidiano.

Com’è costruito il libro?

È un libro discorsivo, uno spunto di riflessione e di confronto, spero, tra i genitori che avranno la curiosità di leggerlo e di rifletterci.

Com’è riuscita ad integrare le due competenze medica e psicologica?

Nella vita così come nella professione gli aspetti medici e psicologici sono intrecciati e la cura non può prescindere dalla considerazione per la persona nella sua interezza e, nel caso del bambino, anche dall’ambiente nel quale vive. Così l’integrazione delle competenze avviene direi in modo costante.

Quali sono i suoi principali modelli teorici di riferimento?

Da pediatra e da neuropsichiatra infantile gli studi mi hanno fatto conoscere Freud, Winnicott, Klein, Stern, Piaget, solo per citarne alcuni, e comunque tutti gli autori che si sono occupati dello sviluppo infantile nella sua complessità.

Come vive la relazione con i bambini e con la coppia genitoriale?

Ho sempre cercato di mettermi nella prospettiva del bambino e di parlare al genitore da questa angolazione, perché solo così ciò che il bambino fa diventa comprensibile e spesso acquisisce un significato diverso rispetto alla lettura che ne fa l’adulto. Il bello dei bambini è che sono uno stimolo costante alla riflessione e al cambiamento se li si sa ascoltare.

Quali sono le maggiori difficoltà incontrate nello svolgimento della sua professione?

La difficoltà forse maggiore nella mia professione è far capire al genitore che il bambino deve avere il suo spazio, che è lui il creatore della relazione con il medico ed ha il diritto di essere ascoltato. Per i genitori è spesso assai difficile lasciargli la possibilità di raccontare ciò che prova e ciò che sente, di lasciarlo solo con il suo dottore se il bambino lo desidera, di accettare il suo punto di vista  e riflettere senza chiudersi in difesa come se punti di vista differenti fossero solo critiche e non la possibilità di un arricchimento reciproco.