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6 maggio 2016

«Bambini ad oltranza. Conversazione con Cristina Chiarato» di Doriano Fasoli

Cristina Chiarato è laureata in Filosofia e in Psicologia e si è specializzata presso la Scuola di formazione de «Lo Spazio Psicoanalitico» di Roma. È psicoterapeuta e per oltre trenta anni è stata psicologo dirigente in un Servizio Materno Infantile di Roma. È autrice di diversi articoli pubblicati su riviste scientifiche. Bambini ad oltranza (pubblicato in questi giorni dalle Edizioni Polìmata) è il suo primo libro.

Doriano Fasoli: Perché ha deciso di scrivere questo libro, dottoressa Chiarato?

Cristina Chiarato: Nella mia esperienza clinica ho incontrato molti genitori incerti, incastrati in dinamiche che li facevano sentire in balìa dei figli; impotenti rispetto a bambini che giudicavano ingestibili; incapaci di dare regole e confini, quando non angosciati dal sentire che la presenza del figlio è per sempre. E, di conseguenza, mi sono occupata di bambini, anche molto piccoli, confusi, rabbiosi, ‘viziati’, sempre più richiedenti, bulimici di cose, insonni. Ho ascoltato tanti adolescenti o giovani incastrati in climi famigliari fusionali che, seppure vissuti con una sensazione di protezione, in realtà privano di autonomia e da cui è molto difficile, o almeno molto complicato, uscire. Ho visto coppie che si formano, quando si riescono a formare, con legami molto precari, spesso vivendo la propria autonomia come un ‘tradimento’ rispetto alle famiglie di origine, quasi colpevoli dei propri distacchi.

Dunque ciò che mi appare, sia a livello dei singoli individui che delle coppie, e anche della società – mi riferisco alla società attuale occidentale, – è una sorta di ‘mutazione’, di cui non è possibile precisare l’origine temporale, che si esprime in vari modi, sintomi, segnali. È l’epoca, ad esempio, nella quale si tende a rallentare la crescita dei grandi e ad accelerare quella dei bambini, limando così le differenze generazionali e proponendo rapporti alla pari che generano confusione; nella quale tende a prevalere l’imperativo del godere, di un forsennato carpe diem, piuttosto che l’impegnativa costruzione dell’amore; e nella quale, quindi, prevale il rimpiazzo, la rapida sostituzione del partner, quando una coppia non funziona, anziché la riparazione del legame.

Nella quale l’agire, sempre più spesso, prende il posto del pensare, del sostare a riflettere, ‘preferendo’ lo scarico immediato di una tensione: ne sono eloquenti esempi i terrificanti fatti di cronaca che quotidianamente si presentano come una terribile e agghiacciante impossibilità a elaborare un dolore, una perdita, una separazione. Nella quale, mentre si rincorre lo smantellamento di tanti tabù, sembra al contrario rafforzarsi il tabù della separazione, vissuto come il tradimento dell’illusione di un limbo eterno in cui non si cresce. Eccoci al punto. Sono state tutte queste riflessioni scaturite dalle delineate esperienze cliniche che mi hanno indotto a scrivere e riassumere l’anima del mio scritto in tre parole: Bambini ad oltranza.

È certo che, di per sé, l’infanzia non è una malattia. Rischia, però, di diventarlo se psichicamente viene protratta ad oltranza, se si proclama una sorta di sciopero, che la stessa parola evoca, dalle ‘fatiche’ del crescere. Perché crescere è un lavoro costante, è una continua modificazione degli assetti precedenti, è l’attraversamento delle varie fasi della vita, è, fondamentalmente, l’abbandono dell’illusione onnipotente di non dover fare i conti con al separazione, il dolore, lo sforzo, l’impegno, i limiti, che troppo spesso vengono identificati con il trauma.