4 febbraio 2015

«Motivi freudiani. Conversazione con Nelly Cappelli» di Doriano Fasoli

 

 

 




Nelly Cappelli, dottore in Filosofia, psicologa, psicoanalista, membro ordinario della SPI e dell’IPA. Svolge la libera professione come psicoanalista e psicoterapeuta di adulti e adolescenti. È stata redattrice della Rivista di Psicoanalisi e ora è redattrice di Psiche. Autrice di contributi pubblicati sulle principali riviste psicoanalitiche, ha curato i volumi: Sigmund Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, BUR, Milano 2010; Sigmund Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, BUR, Milano 2010; Sigmund Freud, Io, la psicoanalisi, BUR, Milano 2010. L’intervista qui proposta si incentra sul recente libro di Nelly Cappelli Motivi freudiani. Opere e concetti, Borla, Roma 2014.

Doriano Fasoli: Dottoressa Cappelli, cosa l’ha spinta innanzitutto a pubblicare questo libro per l’editore Borla?

Nelly Cappelli: Mah, si può proprio dire che la mia motivazione si sia incontrata con una richiesta. Ho tenuto seminari e lezioni su Freud a diversi gruppi: candidati della SPI, psicologi, psicoterapeuti; ogni volta succedeva che qualche partecipante mi sollecitasse a pubblicare le lezioni.

Evidentemente, l'invito coglieva un mio desiderio, che si collega a questa considerazione: come lei sa, nella letteratura psicoanalitica attuale incontriamo approcci teorici che divergono in modo anche sostanziale da quello freudiano. Queste variazioni comportano modifiche della teoria della tecnica e, di conseguenza, un diverso modo di affrontare la prassi clinica. Da tempo, nella letteratura psicoanalitica e nel dibattito teorico-clinico, lo stesso «lessico freudiano» non è più l’unico, ma è affiancato o sostituito da altri «vocabolari». In questo panorama, così ampio, mi sono chiesta se i nuovi approcci illuminassero aree che Freud aveva lasciato in ombra o se avessero una validità a tutto campo e potessero sostituire la teoria freudiana dell’apparato psichico. Così, mi sono ritrovata una volta di più a leggere Freud, ripensando ai miei fondamenti, alle mie eredità come psicoanalista.

Com’è costruito il libro? Qual è il suo approccio all’opera freudiana?

L’architettura di Motivi freudiani è questa: è composto da cinque capitoli, ciascuno dei quali contiene un breve excursus storico che segue le dinamiche del movimento psicoanalitico durante la vita di Freud e fa da sfondo all’esposizione della teoria. Prendo poi in esame, in senso cronologico, non solo ogni singola opera, ma anche le connessioni tra le opere (le principali e alcuni scritti meno noti ai più), per mostrare il comporsi della visione freudiana di apparato psichico. L’obiettivo è fornire un’esposizione ragionata della produzione di Freud, esaminare le idee che costituiscono i paradigmi irrinunciabili della metapsicologia, seguire l’evoluzione dei principali concetti che, come lei sa, Freud ha rielaborato e revisionato tutta la vita.

Il mio approccio è stato interrogare direttamente la pagina freudiana, mettendo tra parentesi le interpretazioni date da altri. Ho voluto che la mia presenza fosse discreta e lasciasse spazio al vero protagonista, Freud. Questa mi sembra la vera soggettività della mia opzione, la sua peculiarità. Anche se, poi, in quel che scrivo, la mia opinione traluce.

La carica critica e provocatoria della psicoanalisi secondo lei permangono?

Il pensiero freudiano ha, per sua natura, una carica destabilizzante, perturbatrice e critica perché è basato sulla distinzione dello psichico in ciò che è cosciente e ciò che è inconscio. Freud ha mostrato che «l’Io non è padrone in casa propria», ma questa dichiarazione, divenuta ormai uno slogan, è solo apparentemente acquisita. Alla ferita narcisistica inflitta all’umanità sembra essere subentrata una riorganizzazione narcisistica che ha portato a una pseudoaccettazione di quell’idea. La tentazione di riconciliare inconscio e linguaggio culturale è diffusa; ma non si può tradurre l’inconscio in conscio… con un traduttore automatico. Se «inconscio» diventa un termine culturale familiare, se l’inconscio è sostituito dall’illusione di averlo conquistato, allora la psicoanalisi non porta più la peste, non porta nemmeno un raffreddore. Secondo me, un rischio è che i concetti originari della psicoanalisi possano essere intiepiditi, ammorbiditi, aggiustati alle richieste della cultura.