Nelly Cappelli, dottore in Filosofia, psicologa, psicoanalista, membro ordinario della SPI e dell’IPA. Svolge la libera professione come psicoanalista e psicoterapeuta di adulti e adolescenti. È stata redattrice della Rivista di Psicoanalisi e ora è redattrice di Psiche. Autrice di contributi pubblicati sulle principali riviste psicoanalitiche, ha curato i volumi: Sigmund Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, BUR, Milano 2010; Sigmund Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, BUR, Milano 2010; Sigmund Freud, Io, la psicoanalisi, BUR, Milano 2010. L’intervista qui proposta si incentra sul recente libro di Nelly Cappelli Motivi freudiani. Opere e concetti, Borla, Roma 2014.
Doriano Fasoli: Dottoressa Cappelli, cosa l’ha spinta innanzitutto a pubblicare questo libro per l’editore Borla?
Nelly Cappelli: Mah, si può proprio dire che la mia motivazione si sia incontrata con una richiesta. Ho tenuto seminari e lezioni su Freud a diversi gruppi: candidati della SPI, psicologi, psicoterapeuti; ogni volta succedeva che qualche partecipante mi sollecitasse a pubblicare le lezioni.
Evidentemente, l'invito coglieva un mio desiderio, che si collega a questa considerazione: come lei sa, nella letteratura psicoanalitica attuale incontriamo approcci teorici che divergono in modo anche sostanziale da quello freudiano. Queste variazioni comportano modifiche della teoria della tecnica e, di conseguenza, un diverso modo di affrontare la prassi clinica. Da tempo, nella letteratura psicoanalitica e nel dibattito teorico-clinico, lo stesso «lessico freudiano» non è più l’unico, ma è affiancato o sostituito da altri «vocabolari». In questo panorama, così ampio, mi sono chiesta se i nuovi approcci illuminassero aree che Freud aveva lasciato in ombra o se avessero una validità a tutto campo e potessero sostituire la teoria freudiana dell’apparato psichico. Così, mi sono ritrovata una volta di più a leggere Freud, ripensando ai miei fondamenti, alle mie eredità come psicoanalista.
Com’è costruito il libro? Qual è il suo approccio all’opera freudiana?
L’architettura di Motivi freudiani è questa: è composto da cinque capitoli, ciascuno dei quali contiene un breve excursus storico che segue le dinamiche del movimento psicoanalitico durante la vita di Freud e fa da sfondo all’esposizione della teoria. Prendo poi in esame, in senso cronologico, non solo ogni singola opera, ma anche le connessioni tra le opere (le principali e alcuni scritti meno noti ai più), per mostrare il comporsi della visione freudiana di apparato psichico. L’obiettivo è fornire un’esposizione ragionata della produzione di Freud, esaminare le idee che costituiscono i paradigmi irrinunciabili della metapsicologia, seguire l’evoluzione dei principali concetti che, come lei sa, Freud ha rielaborato e revisionato tutta la vita.
Il mio approccio è stato interrogare direttamente la pagina freudiana, mettendo tra parentesi le interpretazioni date da altri. Ho voluto che la mia presenza fosse discreta e lasciasse spazio al vero protagonista, Freud. Questa mi sembra la vera soggettività della mia opzione, la sua peculiarità. Anche se, poi, in quel che scrivo, la mia opinione traluce.
La carica critica e provocatoria della psicoanalisi secondo lei permangono?
Il pensiero freudiano ha, per sua natura, una carica destabilizzante, perturbatrice e critica perché è basato sulla distinzione dello psichico in ciò che è cosciente e ciò che è inconscio. Freud ha mostrato che «l’Io non è padrone in casa propria», ma questa dichiarazione, divenuta ormai uno slogan, è solo apparentemente acquisita. Alla ferita narcisistica inflitta all’umanità sembra essere subentrata una riorganizzazione narcisistica che ha portato a una pseudoaccettazione di quell’idea. La tentazione di riconciliare inconscio e linguaggio culturale è diffusa; ma non si può tradurre l’inconscio in conscio… con un traduttore automatico. Se «inconscio» diventa un termine culturale familiare, se l’inconscio è sostituito dall’illusione di averlo conquistato, allora la psicoanalisi non porta più la peste, non porta nemmeno un raffreddore. Secondo me, un rischio è che i concetti originari della psicoanalisi possano essere intiepiditi, ammorbiditi, aggiustati alle richieste della cultura.
A quale tipo di pubblico è destinato questo impegnativo lavoro?
Mi rivolgo, facendo mia un’espressione di Freud, a «persone desiderose di sapere» (Freud, 1908), siano esse, o meno, esperte di psicoanalisi. Ho cercato di rendere più facile possibile ciò che è difficile, ma non si può rendere semplice ciò che è complesso, altrimenti lo si banalizza o si stravolge. Quindi, il libro è destinato a un lettore interessato, in grado di affrontare un certo grado di sforzo, di impegno. Nello scriverlo, ho voluto offrire una sorta di ‘navigatore’ perché lo studioso potesse muoversi più agevolmente nella geografia del pensiero freudiano, ma la metapsicologia, dato il suo oggetto, resta complessa e queste complessità e articolazione sono la sua ricchezza.
Ritiene un libro importante quello di Peter Gay, tradotto in italiano con il titolo Freud. Una vita per i nostri tempi?
Il libro di Gay è interessante, si situa in un filone biografico, come le recenti opere di Rodrigué e di Phillips. Motivi freudiani ha un taglio diverso, non è centrato sulla vita di Freud, a cui faccio sì alcuni riferimenti, ma sempre in funzione dello svolgimento del filo logico principale: la storia delle idee di Freud.
Quali sono i rischi che ha dovuto affrontare proponendo l’intero percorso teorico di Sigmund Freud?
Mah… un rischio poteva essere non trovare un editore disposto a investire sul progetto, ma l’ho trovato subito.
Le sembra che a tutt'oggi la cultura continui ad adottare un atteggiamento difensivo nei confronti della psicoanalisi?
Direi che nel mondo della cultura vi è ancora ambivalenza nei confronti della psicoanalisi e che nel mondo della psicoanalisi vi è ambivalenza nei confronti di Freud.
Molti studiosi, digiuni di cognizioni psicoanalitiche, non mancano di esaltare alla prima occasione le straordinarie doti letterarie di Freud, salvo riconoscerne la fondamentale attività teorico-clinica. Lei cosa ne pensa?
Per quanto scienziato, pensatore, saggista, e non narratore, Freud scriveva da scrittore. Tanto che, nel ’30, ricevette il premio Goethe. Accade così che la sua scrittura catturi anche i ‘profani’, che magari si fermano alla forma, forse difensivamente, e non entrano nello specifico del discorso freudiano. Ma, del resto, anche Kafka scriveva le relazioni per l’Istituto delle Assicurazioni col talento e lo stile che connotano la sua produzione letteraria.
Comunque, ci sono anche studiosi che hanno un buona conoscenza della teoria freudiana e hanno scritto, partendo dal vertice della loro disciplina, testi importanti su Freud, come, per esempio, Lavagetto.
Le sembra che i giovani mostrino interesse verso il pensiero di Freud?
Sì, Freud ha un certo appeal presso i giovani, forse più di autori psicoanalitici più recenti. I giovani hanno simpatia per i nonni!
Qual è il lavoro freudiano che ha colpito maggiormente la sua attenzione?
Forse cambierò idea subito dopo averle risposto, ma credo sia Al di là del principio di piacere: raffinatissimo sul piano filosofico, coraggioso, vivo al di là del tema che tratta, scritto splendidamente. Invece, il breve articolo che mi fece incontrare la psicoanalisi, da adolescente, è «Psicologia del ginnasiale», del 1914, e, verso questo, nutro un affetto formidabile.
Quali sono stati i suoi punti di riferimento fondamentali per questo lavoro?
Oltre alle opere di Freud: Pontalis, Green, Laplanche. Uno strumento che mi sembra ancora molto utile è il Vocabulaire de la psychanalyse di Laplanche e Pontalis: un punto di riferimento ineludibile e finora ineguagliato, nonostante il valore di altri dizionari. Vi sono, naturalmente, anche altri autori, alcuni italiani, che ho citato.
(Gennaio 2015)
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