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19 novembre 2017

«Vanda Shrenger Weiss, la prima psicoanalista in Italia. Intervista a Rita Corsa» di Doriano Fasoli



Medico chirurgo, specialista in psichiatra, psicoanalista, Rita Corsa è membro ordinario della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalytical Association. Già professore a contratto di Clinica psichiatrica all'Università degli Studi di Milano (dal 1996 al 2003) e all'Università di Milano-Bicocca (dal 2004 al 2012), è collaboratrice dell'Osservatorio Nazionale sulla Violenza Domestica, presso l'Università di Verona. Ha diretto servizi psichiatrici pubblici e si è occupata di formazione del personale psicologico e psichiatrico (dal 1987 al 2008). Ha scritto oltre 110 articoli su riviste specialistiche nazionali ed estere, occupandosi in particolare di storia della psichiatria, di patologia grave in adolescenza, di patologia mentale correlata all’identità di genere e di questioni d’interesse psichiatrico e criminologico. Su questi temi ha scritto inoltre diversi capitoli in volumi collettivi (Cedam, 1999, 2006 e 2013; Utet, 2005; ONVD, 2010, 2012 e 2013). Nel 2004 ha curato il libro Il dolore psicotico nella donna depressa (Pacini). Si è occupata di consenso informato in psichiatria e, insieme a medici legali e a giuristi, del diritto a non soffrire in medicina, intervenendo con alcuni saggi in libri e trattati collettanei (Cedam, 2004 e 2005; Utet, 2006 e 2009). In ambito psicoanalitico, s’interessa specialmente di storia della psicoanalisi, del rapporto mente/corpo, del transgenerazionale somatico e della psicoanalisi applicata all’arte. Su questi argomenti ha pubblicato numerosi capitoli in testi collettanei (tra i più recenti: Carocci, 2004; Editoriale Lloyd, 2004; Moretti & Vitali, 2006; Franco Angeli, 2006; Vivarium, 2008; ETS, 2008, 2011, 2012 e 2013; Felici, 2010; Alpes, 2014). Nel 2012 ha redatto la voce «Luciana Nissim» per il Dizionario biografico degli italiani (Treccani). Nel 2011 ha scritto la monografia Se la cura si ammala. La caducità dell’analista (Kolbe). Nel 2012 ha curato, insieme a Gabbriellini, il volume Corpo, generazioni e destino (Borla). Nel 2013 ha scritto il libro Edoardo Weiss a Trieste con Freud. Alle origini della psicoanalisi italiana (Alpes) e successivamente, presso lo stesso editore, ha pubblicato il volume realizzato con Monterosa, Limite è speranza. Lo psicoanalista ferito e i suoi orizzonti. Vive e lavora tra Bergamo e Milano.

Doriano Fasoli: Dottoressa Corsa, ci siamo conosciuti un paio d’anni fa, in occasione della stampa di Limite è Speranza. Lo psicoanalista ferito e i suoi orizzonti, scritto con Lucia Monterosa, dove provavi a destreggiarti nel ginepraio di emozioni che invade la stanza d’analisi quando il terapeuta si ammala. Si trattava di un saggio di carattere essenzialmente clinico, mentre oggi ci presenti un volume di tutt’altro tenore. Come nasce il tuo libro storico, Vanda Shrenger Weiss. La prima psicoanalista in Italia, appena pubblicato ancora dall’editore Alpes?

Rita Corsa: Come già ti accennavo, nutro una grande passione per l’indagine storica, centrata specialmente sull’epoca mitica dei precursori. Una passione che mi ha spinto a scandagliare gli archivi di mezzo mondo alla ricerca delle antiche impronte della mia disciplina, lasciate su documenti ingialliti e tarlati dal tempo e dalla memoria. Un’opera di paziente setaccio delle fonti. Il metodo che amo adottare nelle mie ricostruzioni storiche, infatti, è quello che si avvale dell’analisi di materiale archivistico originale, preferibilmente inedito, che poi cerco di interpretare.

Quali sono le criticità con cui lo storico della psicoanalisi si scontra?

La questione cruciale, che lo studioso di storia della psicoanalisi non può eludere, è che quest’ultima pare irriducibile a un modello storiografico basato esclusivamente sui testi, i diari, gli epistolari, i resoconti biografici. I soli documenti non dicono nulla sull’argomento principale della psicoanalisi, cioè i processi inconsci. Di converso, l’affidarsi esclusivamente all’archivio interno, al registro della memoria, trasforma la storiografia in una trasmissione orale di un mito, che finisce col trasfigurarsi in una sorta di mythologhein, del tutto svincolato dal fatto provato. La narrazione della nascita e dell’iniziale diffusione della scienza freudiana ha patito duramente del processo di rimodellamento dei ricordi in base a dinamismi inconsci del tutto arbitrari e non sostenuti da verifiche documentali. Il maneggiare vecchi fascicoli ammuffiti può, inevitabilmente, condurre l’investigatore a scovare qualche traccia di verità, capace di scalfire convinzioni radicate, di frantumare certezze considerate inalienabili. Per tutto ciò, l’esplorazione dell’epoca pionieristica della mia disciplina si è ben presto rivelata un’avventura entusiasmante, ricchissima di sorprese.