17 marzo 2017

«La maieutica valoriale di un’incessante narrazione. “Romanzo per la mano sinistra” di Giancarlo Micheli» di Carmen De Stasio



Ogni civiltà, nella propria fase decadente, negli anni senili della propria esistenza storica, finisce per mutarsi in una qualche specie di ottuso apparato di distruzione, un pervasivo ed estremo strumento di morte.
Giancarlo Micheli

In una fluida narrativa per evidenze, Romanzo per la mano sinistra di Giancarlo Micheli (Manni, San Cesario di Lecce 2017) consolida l’impressione di continuità antidiegetica propria del territorio umano, confermandosi libro-luogo, in cui a decidere di efficace memorabilità è l’annullamento delle credenziali assimilate per tradizione in forza di una carica che muove da un appassionante impegno, teso a ricomporre le salienti fasi di una storia sovente dimentica di se stessa, che l’autore tiene fuori da qualsiasi possibile collasso euritmico e parziale. Nella flessione severa degli eventi, la scrittura paratattica si affida a gesti dinamici, ai vasti significati intrinseci, mediante i quali giunge come sfida alla lacerazione avvertita quale esperienza capace di aggregare tanto l’intimità dei personaggi che la loro concretezza, in una figuratività metafisico-astrattiva che delinea la coesistenza di linguaggi in continuo bilico tra presenza decisa e dissolvenza alla maniera dei sogni, nei quali avviene «l’appagamento dei desideri» (S. Freud). Ed è con animo critico che l’autore in un certo qual modo ‘intervista’ la storia nelle sue puntualità intellettuali, senza mai trascendere in una solarizzazione emozionale suggestiva, pur nell’aleggiante senso di privazione che ivi alberga in un tempo totalmente dominato da una precarietà tuttavia inadatta a sgominare la speranza, pur vitale nelle resistenti difficoltà di ordine pratico. La costruttiva narrazione s’investe così di un carattere caparbiamente volto ad alterare l’orientamento per via di un «passato che mormora nelle corrispondenze» (W. Benjamin, «I “passages” di Parigi», in Id., Proust e Baudelaire. Due figure della modernità, Cortina, Milano 2014, p. 9). Stefan scrive nella lettera al figlio Bruno in Romanzo per la mano sinistra:

Ho deciso di narrarti, dapprincipio, della donna che, adesso mentre ti scrivo, ti porta nel grembo. Spero ciò ti sia viatico affinché tu giunga, in un giorno che tardi abbastanza perché non ti capiti di rimpiangere prematuramente il tempo che pure perderai vivendo, a fare la felice esperienza in cui le tue parole toccheranno l’anima di un altro, un tuo simile, grazie al cui libero ascolto esse prendano il loro senso, proprio e particolare, tale da renderle fulgide di tutta la luce che un’esistenza umana getta sul mondo, dal suo principio alla sua fine attraverso le epoche e le generazioni. (p. 37)

Dalla commistione dei casi – ritratti di circostanze dall’apparenza talora fortuita, che tracciano la rotta (sovente senza una consistente volontà personale) intrapresa dai componenti il medesimo nucleo familiare (personaggi portanti sono Stefan Bauer, Adele Ascarelli, sua moglie, e il figlio Bruno) – si penetra l’intimità di un’epopea che scansiona le protuberanze territoriali per evolvere in una sorta di unicità simultanea, che dilania le diversità dei luoghi nel loro valore astrattivo. Pur provenendo da realtà diverse anche dal punto di vista sociale (Stefan è austriaco, Adele ha le sue radici in una prestigiosa stirpe industriale napoletana), ciascuna porzione minimale trasporta i segni delle tante storie che, sebbene stagliate su orizzonti dall’improbabile legame, confluiscono in un intreccio di verità e invenzione dagli effetti sapienziali, dove svolte interlocutorie dirigono una prospettiva sottoposta a incessanti (ri)elaborazioni. È comprensibile che da parte dell’autore sussista il rifiuto ad adeguarsi all’elaborazione di un impianto ripetitivo, all’interno del quale strutturare la sua invenzione narrativa, recepita nell’attraversamento lento e deciso di territori noti. Di fatto, Giancarlo Micheli con strenua energia da essi estirpa le vicende dalla polvere, perché diventino centri di diffusione di una meta-vicenda che, svoltando da una situazione unifamiliare e adiabatica, valica luoghi, tempi e situazioni, in una convergenza che s’arricchisce di particolari e che, infine, coinvolge integralmente il lettore, il quale, quindi, dal suo punto mobile, si ritrova a concepire se stesso nella posizione di osservatore indiretto di una dettagliata corrispondenza sulla quale aleggia la condanna dell’essere ebreo.