15 dicembre 2016

«Il Caso Roso. Conversazione con Annarita Franza e Vincenzo Lusa» di Doriano Fasoli


Questa intervista ad Annamaria Franza e Vincenzo Lusa si incentra sul loro recente volume, edito da Alpes Italia, Il Caso Roso. Da uno studio forense la rivelazione del terzo sesso: problematiche legali, antropologiche, criminologiche sul sex and gender. Annarita Franza è professore a contratto di Antropologia presso la Scuola di Scienze della Salute Umana (ex Facoltà di Medicina e Chirurgia) dell’Università di Firenze; dottoressa di ricerca presso l’Università di Pisa, è autrice di diverse pubblicazioni nazionali ed internazionali nell’ambito dell’antropologia, delle scienze forensi e della museologia scientifica. Vincenzo Lusa è avvocato, antropologo, criminologo e docente di Diritto penale presso numerosi atenei universitari; autore e coautore di molteplici pubblicazioni accademiche e di sette monografie a stampa nei vari campi del diritto penale, dell’antropologia criminologica e della criminologia edite sia in Italia e che all’estero, è stato il primo giurista italiano ad essere insignito del titolo di Fellow in Jurisprudence dall’American Academy of Forensic Sciences (USA); è, inoltre, vice presidente dell’Associazione Nazionale Criminologi e Criminalisti, nonché collaboratore pubblicista nella materia del diritto penale per il gruppo editoriale Il Sole 24 Ore.

Doriano Fasoli: Come nasce questo libro?

Annamaria Franza e Vincenzo Lusa: In un caldo e afoso pomeriggio di fine luglio, mentre eravamo impegnati in una ricognizione archivistica da terminarsi prima della pausa estiva. Nel riporre il volume che stavamo consultando, l’occhio è caduto su alcuni documenti che riportavano sul frontespizio un nome alquanto insolito: Roso o Maria Rosa. Abbiamo iniziato la lettura del documento e il resto è storia di carta e inchiostro. Per parafrasare Balzac: il caso è il sovrano legittimo di questo saggio.

Di cosa si occupa l’opera?

Come il titolo suggerisce, Il Caso Roso ricostruisce la vita, la morte e, se ci consente l’ardire, la resurrezione di Maria Rosa Fantini (1764-1839), una sconosciuta filatrice, originaria di Agna, una rocca nei dintorni di Firenze. La straordinarietà della sua vita, che per qualità e quantità di avventure non è da meno alla trama di un film hollywoodiano, racconta di una sensazionale scoperta scientifica: una forma a oggi non identificata di sessualità umana.

Potete spiegarvi meglio?

L’analisi delle fonti che raccontano la vita e la morte di Maria Rosa ha condotto all’individuazione di uno stato intersessuale attualmente non descritto nella letteratura scientifica per variazione anatomica e caratteristiche psicologiche.

Qual è stato il risalto mediatico della scoperta?

Nel 2015, l’American Academy of Forensic Sciences, la massima organizzazione e società scientifica a livello mondiale per lo studio e la ricerca nell’ambito delle scienze forensi, ha ritenuto a tal punto il nostro lavoro così scientificamente rilevante da proporci, nel corso della riunione annuale tenutasi ad Orlando nel 2015, di tenere un seminario a pagamento indetto a numero chiuso, i cui posti sono stati esauriti in pochissime ore. Da lì, la notizia è rimbalzata su oltre 400 testate giornalistiche nazionali ed internazionali. La scoperta è stata poi discussa in Senato nel maggio dello stesso anno ed è stata materia di un documentario monografico a cura della trasmissione Rai Voyager.

In quale ambito scientifico si colloca l’opera?

Nel Caso Roso non abbiamo voluto solo portare all’attenzione del lettore una disamina dei principali studi nel campo dei disordini dello sviluppo sessuale, ma soprattutto invitarlo a riflettere su quanto l’unicità di una vita, spesso misconosciuta, possa gettare un ponte fra passato e presente, costruendo quindi le fondamenta per un futuro più consapevole. L’esame delle fonti archivistiche e giudiziarie contenute nel libro restituisce al pubblico non solo uno spaccato della storia sociale e istituzionale del nostro paese assolutamente inedito, ma porta alla luce tematiche ad oggi assolutamente sottovalutate tanto dagli studi di settore quanto dalla riflessione politica e pubblica come la gestione in ambito carcerario di persone presentanti stati intersessuali, siano esse vittime o carnefici.