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26 marzo 2011

«Owen e la cultura della guerra» di Nicola D'Ugo


Il poeta Wilfred Owen in divisa
da ufficiale nel 1916
In questi tempi di guerra rivelati dai media e dagli interventi italiani, consiglierei a tutti di dare un’occhiata alle poesie che un giovane ragazzo inglese, Wilfred Owen, scrisse durante la prima guerra mondiale. Poiché quando si ha a che fare con una cultura (in questo caso bellica) che pareva ci fossimo lasciati alle spalle, è almeno opportuno documentarci sull’argomento.

Ci sono almeno altre tre ragioni per leggere anzitutto le poesie di Wilfred Owen piuttosto che altri libri (p. es., Addio alle armi di Hemingway o Il nudo e il morto di Norman Mailer). La prima è che anche questo libro è reperibile in italiano (Poesie di guerra, Einaudi, Torino 1985), la seconda è che quello che viene narrato in una trama di qualche centinaio di pagine di romanzo in cui si parla spesso d’altro è qui condensato in poche righe attinenti al tema, e la terza è che si tratta della più alta testimonianza sulla guerra dei tempi moderni.

10 marzo 2010

«'Cathay' di Ezra Pound» di Nicola D'Ugo


La copertina della prima edizione di Cathay
Il primo aprile 1977 compariva su The Times Literary Supplement, in traduzione inglese, un articolo di Gianfranco Contini su Ezra Pound, che così recitava:

Il punto dolente è proprio questo: uno scrittore che è stato un traduttore principe, non soltanto dalle quasi per tutti inverificabili lingue dell'Estremo Oriente, ma da territorî familiari, quale che fosse la sua comprensione della lettera (basti citare come esempio minimo la parafrasi del finale di Inferno XXVIII in Near Perigod), non è poeticamente fruibile in traduzioni italiane. Non certo che le versioni manchino, basti menzionare a titolo di lode, a parte quelle della figlia esegeticamente capitali, il fedelissimo Alfredo Rizzardi e l'impegnato Giovanni Giudici. Ma troppi, anche di firme celebrate, si sono cimentati alla spicciolata con Pound per omaggio e come per una sorta di gioco di società. . . . Non esito a dire che [queste tentazioni approssimative] o distorcono la lettera o lasciano svaporare la poesia. («Ezra Pound e l'Italia», in Ultimi elzeviri ed esercizî, Einaudi, Torino 1989, pp. 267-268).

31 dicembre 2009

«'North' di Seamus Heaney in italiano» di Nicola D'Ugo





 North
 Seamus Heaney
 Mondadori
 Milano 1998
 A cura di Roberto Mussapi
 Testo originale a fronte
 EUR 14,00
 140 pp.
 ISBN: 88-04-42270-9



Che cosa hanno in comune gli irlandesi con i Vichinghi? Come può il filo spezzato della storia rivelarsi solo assottigliato a perdita d'occhio? Perché l'archeologia può farsi motivo antropologico di riconoscimento sentimentale? Ce lo spiega il Premio Nobel Seamus Heaney in North, una raccolta poetica del 1975 che esce solo ora per i tipi Mondadori.

Rifacendosi a The Bog People (Il popolo delle torbiere) dell'archeologo danese P. V. Glob, Heaney instaura un colloquio con una serie di personaggi dell'età del ferro, focalizzando l'attenzione su ciò che resta dei loro corpi straordinariamente preservati nelle torbiere. La pietà è rivolta a personaggi malridotti, di cui ci restano però alcuni stupefacenti tratti del volto. Sono anzitutto dei condannati a morte, per cui l'enunciazione di Heaney si fa pietà sentita e motivata per l'uomo, quale sentimento di fratellanza e d'amore. Ma si fa anche giudizio su se stesso e sulla cecità etnica, culturale, evidenziando l'aspetto di chiusura di un mondo entro i confini di una cultura e d'una costumanza. Probabilmente – ci dice Heaney – se avessi partecipato all'esecuzione capitale di uno di quei personaggi dell'età del ferro, avrei fatto come tutti, ossia mi sarei astenuto dal salvarlo!

27 ottobre 2009

«'Poesie e racconti' di Dylan Thomas» di Nicola D'Ugo





 Poesie e racconti
 Dylan Thomas 
 Einaudi
 Torino 1996
 A cura di Ariodante Marianni
 EUR 36,15
 XLIV-844 pp.
 ISBN: 88-06-14257-5




Goffi, esilaranti, lamentosi, sensuali, ma specialmente traboccanti dalla pagina e come usciti dai quadri di Brueghel con quel senso critico della comunità locale, i personaggi dei racconti di Thomas si aggirano con le sembianze delle cose che circondano il protagonista delle vicende. Fa da sfondo il mondo cittadino e campagnolo del Galles, con le sue pecore, le sue volpi, le felci, i cappellini e la trementina, nell'abbraccio paonazzo di un'umanità corale che la penna di Thomas fissa fedelmente come nessun altro.

In questo la nota comune dei racconti con la poesia bardica, struggente e biblica (più profetica nel tono che non, come invece è stato detto, apocalittica) della prima parte del ricchissimo volume Poesie e racconti, che contiene, come evidenzia il curatore, «di gran lunga la più vasta raccolta di poesie thomasiane mai tradotta» in una lingua altra dall'originale inglese; ma, anche, l'amore che suscita il tributo dei gallesi di oggi per il loro poeta nazionale e –come amano dire– del mondo.

L'occhio caleidoscopico del bambino protagonista delle vicende ci rivela la follia delle scelte e dei comportamenti umani, si dimostra impietoso per difetto di quei filtri che la società, non la natura, detiene. Tacito, il bambino sa che in fondo, nel mondo degli adulti, egli non ha diritto di parola, che il pensiero esternato nella parola gli procurerà solo guai, che gli adulti vogliono determinare e decidere i suoi comportamenti.

«Tra prosodia e immagine: Ezra Pound» di Nicola D'Ugo


In questo secolo la poesia, spronata dai grandi maestri dell’Ottocento, a partire dai simbolisti francesi, ha dato luogo alle più diverse manifestazioni espressive. Al di là dei responsi dei vari periodi circa le influenze sull’arte e sulla letteratura esercitate da un singolo autore –si pensi alla tardissima riesumazione dell’opera della poeta americana Emily Dickinson – è opportuno segnalare una tendenza fortemente motoria della poesia, ottenuta con mezzi prevalentemente a base fonica, e una statica, ottenuta anzitutto tramite immagini.

Se i calligrammi, le parole in libertà e la poesia concreta in genere hanno portato a un incontro più deciso di immagine iconica, suono e concetto, la letteratura in versi che si è avvalsa solo del mezzo linguistico –che è poi la più considerevole– si è diversificata puntando o sulle modalità prosodiche o sulle modalità di rimando iconico.

Motoria è da dirsi la scrittura timbrica o ritmica, fortemente improntata su occorrenze e ricorrenze temporalmente esibite, una scrittura già tradizionale ma che l’introduzione del vers libre ha fortemente riformato. Attenta a quest’aspetto, ma decisamente formata sull’altro versante, la poetica dell’immagine, o Imagismo, seppure abbia avuto esiti che si allontanarono molto dal loro intento iniziale, ci offre un limpido spaccato dell’attività poetica del Novecento riguardo ai propri propositi.

L’incontro di un iniziatore del movimento come Ezra Pound con la poesia cinese, di cui ci restano le splendide e libere traduzioni di Cathay, si incrociava se non altro con il Medioevo nostrano, di cui Pound era un appassionato conoscitore. Rileggere oggi Cathay ci permette intanto di avvicinarci a una mentalità della scrittura poetica non esclusivamente occidentale, ma che già nell’Occidente medievale dello Stilnovo trovava una formulazione risolutamente caratterizzata.

14 settembre 2009

«Seamus Heaney: una voce d'Irlanda di fine secolo» di Nicola D'Ugo e Piero Vaglioni


All'annuncio del conferimento del Nobel 1995 per la letteratura c'è stata in Italia tutta una rassegna di articoli imbarazzanti, particolarmente perché poco avevano a che vedere con l'opera del destinatario del premio e tantomeno con il senso dell'attribuzione. Il poeta e saggista irlandese Seamus Heaney non è né autore di poca fama nell'ambito della letteratura in lingua inglese, né il premio è in sé rivolto ad autori la cui opera sia di tale pregio universale da lasciare tutti contenti.

La reazione immediata nella provincia Italia fu quella dell'opposizione all'irlandese da parte di coloro che speravano che in quest'ultima premiazione il conferimento andasse all'italiano Mario Luzi (reduce dalle polemiche avanzate da Joseph Brodsky), ma ben presto si fece largo uno stuolo di 'conoscitori' di Heaney che accrebbe in dismisura una polemica di basso rango. Anzitutto perché né gli uni né gli altri seppero indicare i pregi e le motivazioni che sottostavano la scelta degli accademici di Svezia.

Riguardo al secondo punto, quello delle motivazioni, è ovvio che, nell'ambito della letteratura in lingua inglese, Seamus Heaney veniva scelto per ragioni non molto diverse da quelle che ispirarono, settant'anni prima, la premiazione di William Butler Yeats, e cioè ragioni d'ordine politico.

Ciò non vuol dire che l'indipendenza irlandese del 1921, perfezionata nel 1949, e il cessate il fuoco unilaterale e a tempo indeterminato dell'Ira (Irish Republican Army: l'Esercito Repubblicano Irlandese) del 31 agosto 1994 abbiano a offuscare in alcun modo il merito di questi due poeti. Sarebbe troppo lungo l'elenco degli scrittori meritevoli del riconoscimento che sono stati scavalcati da altri anche di poco pregio e di minore conseguenza (Proust, Musil, Brecht, Céline, Joyce, Pound, Borges, Ungaretti, Valéry, Pessoa, Rilke). Solo pensare che Maria Grazia Deledda sia fra i Nobel e fra questi non compaia Virginia Woolf la dice oltre misura.

12 settembre 2009

«'V. e altre poesie' di Tony Harrison» di Nicola D'Ugo


[Harrison, Tony, "V" e altre poesie, Einaudi, Torino 1996, XXII-194 pp.]

Tony Harrison, nato a Leeds nel 1937, è uno dei più noti poeti inglesi. Per lui fare poesia è prender atto della globalizzazione degli interessi extranazionali da un lato e, dall'altro, assumere, attraverso l'espressione poetica, la propria posizione. Il suo linguaggio, a partire dal lessico, è quello del parlante comune, le sue riflessioni sono rivolte al lettore comune.

La sua non è poesia di ricerca espressiva, non più di quanto il sacrificio personale di qualunque scrittore richieda: è piuttosto un mezzo che permetta di riflettere con più intensità di quanto l'usa-e-getta della cronaca e dei proclami televisivi possano fare, ondeggianti gli uni sugli altri, persi in un mare di significazioni frammentarie, contraddittorie, superficiali.

A questo, egli oppone la sua estetica, trovando congeniali pubblicazioni sui quotidiani inglesi, come ad esempio, quelle sul Guardian del 5 e 18 marzo 1991, entrambe dedicate alla Guerra del Golfo: "Initial Illumination" e "A Cold Coming".

«'Poesie scelte' di Seamus Heaney» di Nicola D'Ugo


Poesie scelte di Seamus Heaney non si propone, già programmaticamente, quale antologia dell'opera del poeta nordirlandese. Punta invece, e fa bene, alla diversità interpretativa dei quattro traduttori (Roberto Sanesi, Gilberto Sacerdoti, Nadia Fusini e Francesca Romana Paci), raccogliendo in altrettante sezioni il loro contributo, come se ognuno di essi avesse avuto fra le mani il proprio Heaney e, dalle singole raccolte originarie, avesse scelto di proporre ciò che gli pareva più rappresentativo, cercando di evitare i "doppioni". Così facendo, il volume è un omaggio a Heaney e ai suoi traduttori e perde un po' di quell'aspetto archeologico e annoso proprio dei ritardi d'importazione degli autori stranieri, e per lo più con grossolane incette che non si sa mai da dove prendano piede.

Va subito detto che il lavoro cui si sono trovati di fronte questi interpreti è stato assai arduo e i tempi ristretti: non ci viene presentato, infatti, né il capolavoro North (del 1975, di cui si può qui leggere l'omonimo componimento), né si è attesa l'uscita del recentissimo The Spirit Level (Faber & Faber, London-Boston 1996). L'editore Marcos y Marcos, con questa silloge, ha puntato sul sicuro, proponendo innanzitutto il Premio Nobel del 1995, con le ovvie implicazioni che un tale premio garantisce. Il rischio cui sono andati incontro i traduttori è stato scongiurato per tre quarti, con buoni esiti da parte di Fusini, che ha interpretato mirabilmente e con amore la difficilissima "Punishment" (Punizione).

9 settembre 2009

«Gli aspiranti eroi dell'Irlanda. Eroismo e misoginia in Queneau» di Nicola D'Ugo





 Troppo buoni con le donne
 Raymond Queneau
 Einaudi
 Torino 1998
 Traduzione di Giuseppe Guglielmi
 EUR 7,50
 160 pp.
 ISBN: 88-06-14914-8





"–  Bzzz, fa la bomba."

La citazione che fa da epigrafe a questo articolo non è una battuta presa da un libro o da un buontempone in vena onomatopeica, ma è l’intero Capitolo LXII di un altro "eroico" romanzo di Raymond Queneau: Troppo buoni con le donne (On est toujours trop bon avec les femmes), pubblicato a Parigi nel 1971. Il disastro causato da una cannonata diretta ai protagonisti vien così anticipato con il semplice sibilo della bomba che viaggia dal cannone di una nave inglese verso un ufficio postale irlandese: da qui a lì, fra il desiderio di colpire bene il bersaglio e il timore d’essere colpiti. A mezz’aria, il semplice sibilo è addirittura impersonale: un oggetto-bomba che fa il volo cui lo hanno destinato, ormai irreversibile da chi lo ha lanciato e inevitabile per chi lo riceva.

Il capitolo risulta però molto comico: quello che lo precede ci aveva introdotto dei personaggi che alla propria pelle ci tengono assai. L’informalità e addirittura la mancanza di passione che ci mette lo scrittore nel dirci che, dopo tante bombe cadute a vuoto, ne è partita una che già sappiamo che ha il tiro aggiustato, rappresenta la completa indifferenza che il narratore ha per la sorte dei suoi protagonisti, di quei personaggi che egli stesso ha inventato (e quindi saranno in qualche modo importanti), e accende in noi la curiosità di sapere quello che gli capiterà.

Raymond Queneau, il fine pensatore, vive anzitutto nel suo linguaggio, fatto di una poesia e materialità espositiva che saltano dal comico al sentimentale, dallo sboccato all’aulico, dall’intraprendente al nostalgico, secondo dei movimenti dell’animo alterabili quanto lo sono quelli degli uomini tutti e, in particolare, dei suoi personaggi.

«'Foglie d'erba 1855' di Walt Whitman» di Nicola D'Ugo





 Foglie d'erba 1855
 Walt Whitman
 Marsilio
 Venezia 1996
 A cura di Mario Corona
 Testo originale a fronte
 EUR 20,66
 432 pp.
 ISBN 88-31-75895-0



Uomo ottocentesco, ma padre del modernismo del Novecento, autodidatta e fondatore della nuova poesia americana, amante dell'Opera italiana e fautore di un'arte al di sopra della tradizione, artista che fa della natura il suo punto di riferimento, dell'uomo comune il suo oggetto d'ammirazione e il suo interlocutore, delle movenze prosastiche del verso la sede della sensualità espressiva, del concetto il luogo generale a cui si riconduce la multiforme materia, Walt Whitman (1819-1892) si ritrova tutto in una sola opera Leaves of Grass (Foglie d'erba), incessantemente riveduta, fino all'edizione definitiva del 1891-92, che ne costituisce il documento testamentario. Questa, pubblicata ora da Marsilio, è invece la prima edizione del 1855, allora definita da Emerson «miracolo».

L'opera è di per sé magistrale, anticipata da una sorta di prefazione in prosa, che Whitman non volle più porre nell'edizione del 1891-92. La celebrazione dell'uomo e del poeta, il primato dell'uomo comune americano sul suo rappresentante politico, l'ottimismo riposto nelle possibilità individuali e collettive, il senso di fratellanza coi deboli, il dispregio delle ricchezze, l'ammonimento agli Stati affinché non tradiscano le aspettative della «nuova nazione» e «razza di razze», possono lasciare oggi stupiti rispetto a certi esiti delle vicende politiche americane, se è vero che a Foglie d'erba ci si riferisce come alla Bibbia Americana.