Che cosa hanno in comune gli irlandesi con i Vichinghi? Come può il filo spezzato della storia rivelarsi solo assottigliato a perdita d'occhio? Perché l'archeologia può farsi motivo antropologico di riconoscimento sentimentale? Ce lo spiega il Premio Nobel Seamus Heaney in North, una raccolta poetica del 1975 che esce solo ora per i tipi Mondadori.
Rifacendosi a The Bog People (Il popolo delle torbiere) dell'archeologo danese P. V. Glob, Heaney instaura un colloquio con una serie di personaggi dell'età del ferro, focalizzando l'attenzione su ciò che resta dei loro corpi straordinariamente preservati nelle torbiere. La pietà è rivolta a personaggi malridotti, di cui ci restano però alcuni stupefacenti tratti del volto. Sono anzitutto dei condannati a morte, per cui l'enunciazione di Heaney si fa pietà sentita e motivata per l'uomo, quale sentimento di fratellanza e d'amore. Ma si fa anche giudizio su se stesso e sulla cecità etnica, culturale, evidenziando l'aspetto di chiusura di un mondo entro i confini di una cultura e d'una costumanza. Probabilmente – ci dice Heaney – se avessi partecipato all'esecuzione capitale di uno di quei personaggi dell'età del ferro, avrei fatto come tutti, ossia mi sarei astenuto dal salvarlo!
Riportare questo discorso all'interno del conflitto dell'Irlanda del Nord significa individuare le ragioni dell'omertà, e riconoscere dove risiede la paura nei riguardi della polizia inglese e dei terroristi repubblicani e unionisti. La vendetta germanica, il cui valore antichissimo sembra non aver abbandonato l'Irlanda contemporanea, viene indicata come uno dei sentimenti più fortemente connaturati alla cultura e non all'individuo preculturale. La solidarietà non può farsi omertà, ma va accompagnata da un amore laico che sappia darle un senso. Così l'aspirazione indipendentista di Heaney viene a riportare alla luce e riaffermare non solo un'antichità fastidiosa, ma gli impegni civili abbandonati dei grandi poeti occidentali: Whitman, Owen e Rimbaud (si veda "Il sogno del legislatore misconosciuto").
La scrittura si fa allora dettaglio ed evocazione, visione carnificata e scarnificata, che da tangibilmente cruda, orrida e oscena diventa pacificata contemplazione della cosa osservata, trepidante parola d'amore. Non vendicare i parenti uccisi, tagliare la linea diretta dell'odio e della relativa rivendicazione diventa impegno civile, non atto d'omissione. Gunnar che canta dalla «soglia megalitica» mentre guarda la luna è l'immagine paradossalmente germanica della riconquista della bellezza naturale, della sua riaffermazione radicale, in cui il desiderio del canto d'amore e la bellezza celeste si accordano dominando uno spazio verticale che pare non aver limiti e misure.
La voce del poeta si tiene al livello della condivisione e del percorso comune. Fa sì che il lettore non abbia a che fare con un letterato sulla torre d'avorio delle proprie visioni. Per conseguire questo risultato di amicizia ed abbassamento tonale, egli si avvale di un'intimità che, come egli stesso ha suggerito, assomiglia alla ‘danza', a suono e ritmo di immagini in movimento. Attraverso l'armonia fonica, spesso asperrima nelle consonanti e calda nelle vocali di fine verso, Heaney inventa un linguaggio di suoni che s'apre, come per transiti di luminarie, un percorso nella tenebra del Nord. L'antichità dell'uomo moderno, sepolta in lui ma non perduta, riemerge per suggerirgli come una parola d'ordine che non sia un mero passaparola di cui non si sa più l'origine: recupera alla tua natura umana ciò che le è connaturato. Comporre nel buio e attendere fino all'aurora e non oltre, così come rintanarsi nella spira in tumulto e nel barbaglio del proprio cervello, significa porsi, secondo il suggerimento dell'omonimo brano che dà il titolo alla raccolta, entro una soglia di riconoscimento di sé che non viene dettato dai tramandi e tradimenti di una tradizione.
Questa raccolta di Heaney si pone fra le più alte opere della letteratura inglese d'ogni tempo e ai vertici della poesia europea di questo secolo. La sua inaspettata narratività diventa il mezzo adeguato per intraprendere un percorso, mano nella mano, nella fitta palude oscura degli uomini che vogliono abbandonare la guerra senza rinunciare al diritto di non essere soggiogati.
[pubblicato in: Notizie in… Controluce, n. VIII/3-4, marzo-aprile 1999, p. 2.]
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