26 febbraio 2013

«Conversazione con Sandra Petrignani» di Doriano Fasoli


Sandra Petrignani, autrice negli anni Ottanta e Novanta del romanzo postmoderno Navigazioni di Circe (Theoria, 1987; Premio Elsa Morante, «Opera prima»), dell'incantevole Il catalogo dei giocattoli (Theoria, 1988), del preveggente Vecchi (Theoria, 1994), di interviste alle grandi scrittrici italiane raccolte ne Le signore della scrittura (La Tartaruga, 1984), è nata a Piacenza nel 1952. Vive a Roma e nella campagna umbra. Le sue opere più recenti sono: l'autofiction Dolorose considerazioni del cuore (Nottetempo, 2009); e il vagabondaggio E in mezzo il fiume. A piedi nei due centri di Roma (Laterza, 2010). Nel catalogo Neri Pozza: il fortunato La scrittrice abita qui (2002), pellegrinaggio nelle case di grandi scrittrici del Novecento; i racconti di fantasmi Care presenze (2004); il libro di viaggio Ultima India (Baldini & Castoldi, 1996); e il recente volume intitolato Addio a Roma (2012), che ci ha fornito il pretesto per intervistarla.

Doriano Fasoli: Petrignani, a quale «Roma» lei dice «addio»?

Sandra Petrignani: A quella bellissima e miserabile degli anni Cinquanta, quella che usciva dalla guerra, dall’occupazione, dalla tragedia collettiva, e tornava a sorridere. Quella che senza soldi in tasca aveva grandi ambizioni artistiche e le realizzava in ogni campo, diventando un polo d’attrazione culturale per il mondo intero. E anche a quella degli anni Sessanta: delle rivolte e delle contestazioni, letterarie e sociali. L’ultimo periodo in cui la letteratura ha creduto in se stessa (collettivamente intendo, non solo per i singoli scrittori), anni in cui l’arte è stata vivacissima.

24 febbraio 2013

«Gli insorti» di Luigia Sorrentino


Nella foto, Luigia Sorrentino


noi fummo poco o nulla
poi, notte e niente
quel che non esisteva
spuntava lento e largo
di molti altri,
nel nome di colui che venne
la carne si avventò su noi
l’uno nell’altro ci stringemmo
il corpo sollevato
dal nostro forte peso
chiede l’umano il movimento
la notte adolescente canta
il cuore orfano del nulla

* * *


allargando lo sterno respirano
accorrono verso lo scudo fisso
provati dalla lotta, dalla necessità
vengono da lontano, nel concatenarsi
di vivi e di morti
con un tocco immediato il tronco
sostiene il rifiuto totale
la mappa di un mondo risale alla luce
ormai privo d’acqua
abitato solo dal vento
niente rispondeva dalla montagna
solo quel rivolgersi così umano
scompariva dietro la nuvola


[ dalla silloge poetica di Luigia Sorrentino, Olimpia, Interlinea, Novara 2013, pp. 77-78 ]

18 febbraio 2013

«Conversazione con Dionys Mascolo» di Doriano Fasoli


Dionys Mascolo e Marguerite Duras
«L’intento di queste riflessioni non era di produrre qualche giudizio in più sul ‘caso Heidegger’, e più precisamente sul coinvolgimento del filosofo oltre mezzo secolo fa. Non si poteva d’altronde evitare di tenerne conto. L’intenzione era in effetti quella di interrogarsi su quella che sembra una generale crisi degli spiriti di fronte ai tradizionali compiti della conoscenza, e del processo filosofico in particolare.» È così che Dionys Mascolo (nato a Saint Gracian, Parigi, nel 1916 e scomparso all’inizio del nuovo millennio) in Bassezza e profondità. Saggio su Heidegger – pubblicato in Italia dagli Editori Riuniti – intraprendeva una critica  che andava oltre l’esegesi filosofica per appuntarsi sul «pensiero tecnico» di Heidegger preso qui a modello. Pensiero atomizzato, specializzato che, nelle sue pretese di obiettività, fornisce in effetti gli strumenti per nascondere e sottomettere alla censura di un Super-Io filosofico la «stupidità» del pensiero. È solo a partire dalla diffidenza del pensiero verso se stesso che si rivela possibile un «pensiero integro» quale «pensiero che si forma nello scambio di parole a viva voce o per iscritto» e il cui luogo privilegiato sono i rapporti d’amore e d’amicizia.
E di ciò Mascolo (che viveva a Parigi e del quale molti ricorderanno il libro intitolato Le Communisme, edito da Gallimard nel 1953) è in grado – in questa intervista inedita – di dare tracce, riferendo, com’era solito fare, pensiero, frasi, battute di coloro che gli sono stati interlocutori: Queneau, Breton, Bataille, Blanchot…

Doriano Fasoli: Mascolo, perché chiama la filosofia un «pensiero specialistico» oppure una «tecnica di pensiero»? 

Dionys Mascolo: Perché non è il vero pensiero. È il pensiero che ubbidisce alla logica, alla ragione, alle categorie, e non tiene conto delle passioni, dell’animo, del cuore, del sesso eccetera. I grandi pensatori non sono dei filosofi.

4 febbraio 2013

"Atrocities" / «Le atrocità», by / di Siegfried Sassoon


Siegfried Sassoon durante la Prima guerra mondiale


You told me, in your drunken-boasting mood,
How once you butchered prisoners. That was good!
I'm sure you felt no pity while they stood
Patient and cowed and scared, as prisoners should.

How did you do them in? Come, don't be shy:
You know I love to hear how Germans die,
Downstairs in dug-outs. "Camerad!" they cry;
Then squeal like stoats when bombs begin to fly.

And you? I know your record. You went sick
When orders looked unwholesome: then, with trick
And lie, you wangled home. And here you are,
Still talking big and boozing in a bar.

* * *


M'hai raccontato, sentendoti ringalluzzito dalla sbornia,
di come hai massacrato i prigionieri. Bella roba!
Son certo che non provavi pietà mentre se ne stavano in piedi
pazienti e sottomessi e spaventati, come lo sono i prigionieri.

Come li hai finiti? Su, non fare il timido:
sai che mi piace sentire come muoiono i tedeschi,
là, sotto le barricate. "Camerad!" gridano;
poi squittiscono come ermellini quando fioccano le bombe.

E tu? Conosco il tuo curriculum. Stavi male
quando gli ordini ti sembravano un pericolo: poi, con sotterfugi
e bugie, ti sei intascato il rimpatrio. Ed eccoti qui,
sempre a fare lo spaccone ubriaco dentro a un bar.



(Traduzione di Nicola D'Ugo)