29 dicembre 2011

«Conversazione con Alfonso Berardinelli» di Doriano Fasoli


Doriano Fasoli: Berardinelli, quali sono le prospettive della critica del nuovo Millennio? Che futuro ha la critica? Può indicarmi i nomi e le linee di tendenza su cui scommettere?

Alfonso Berardinelli: Di solito non faccio altro che nominare gli scrittori che preferisco. Non ho altra religione, nessun altro ‘credo’. È tutta una questione di amore e odio. La critica in fondo non ha altri moventi. Le linee di tendenza su cui scommettere sono, per me, semplici e vaghe. Si tratta di capire e perfezionare, credo, la propria singolarità, dato che siamo, irrimediabilmente, dei singoli imperfettamente, provvisoriamente socializzati. La propria autenticità (se c’è) va recitata (dato che bisogna esprimerla). Oggi, in fin dei conti, mi sento una specie di anarchico radicale che per discrezione recita da scettico liberal-democratico… Ma queste categorie suonano sempre un po’ enfatiche e deformanti…

8 dicembre 2011

«La via americana alla formazione dei giovani scrittori» di Silvia Pareschi


Incastrati fra un provincialismo succube del mito americano e il rifiuto aprioristico di concedere alla cultura statunitense la stessa dignità di quella europea, in Italia rischiamo di perdere di vista i reali contorni di una situazione vivace e piena di fermento come quella artistica e culturale americana. L'ambiente letterario newyorchese può fornire un quadro abbastanza preciso, anche se limitato nello spazio, delle condizioni in cui si sono formati molti dei giovani scrittori statunitensi che oggi si pubblicano in grande abbondanza sul mercato italiano. Che in America si studi scrittura creativa è un fatto risaputo, non c'è bisogno di tirare in ballo John Gardner, Raymond Carver e i loro emuli «holdeniani», e neppure le scontate critiche sull'howtoism statunitense. È vero, gli americani sono ottimisti, faciloni, pragmatici e nello stesso tempo idealisti, e credono che con un po' di buona volontà si possa imparare tutto. Anzi, con un po' di buona volontà e parecchi soldi, visto che i programmi di scrittura creativa delle università costano spesso più di 25.000 dollari l'anno solo per le tasse scolastiche, cifra che può tranquillamente raggiungere, per esempio nel caso di uno studente della Columbia, un totale di 60.000 dollari. Per i più meritevoli e meno abbienti esistono le borse di studio, oppure c'è sempre la possibilità di chiedere un finanziamento che copra le spese universitarie. Entrambe queste opzioni presentano i vantaggi e gli svantaggi tipici del capitalismo «meritocratico» americano: da un lato viene posto uno sbarramento basato sul reddito, e dall'altro si fornisce una possibilità di riuscita a chi ha la capacità e la volontà di impegnarsi. Di impegnarsi, s'intende, molto più di coloro che sono già ricchi in partenza: solo così è possibile tentare di superare l'enorme ostacolo rappresentato da una condizione economica disagiata.

21 novembre 2011

«Edoardo Nesi, vincitore del Premio Strega 2011» di Nicola D’Ugo


Edoardo Nesi,
Storia della mia gente,
Bompiani, Milano 2010.
168 pp. EUR 14.00
Lo scorso 7 luglio è stato assegnato ad Edoardo Nesi, per Storia della mia gente, il Premio Strega 2011. Nesi ha ottenuto un ampio consenso di voti (138), quasi raddoppiando quelli ricevuti dal secondo e terzo concorrente, Mariapia Veladiano con La vita accanto e Bruno Arpaia con Energia del vuoto, rispettivamente attestatisi a 74 e 73 voti. Hanno chiuso la cinquina dei finalisti Mario Desiati con Ternitti e Luciana Castellina con La scoperta del mondo, che hanno ottenuto rispettivamente 63 e 45 voti. Era la seconda volta che Nesi partecipava alla finale dello Strega, e la seconda in cui era arrivato primo nella selezione dei finalisti, poi perdendo la finalissima nel 2005.

Storia della mia gente è un breve romanzo autobiografico, che racconta le problematiche che hanno portato alla chiusura di numerose industrie tessili del pratese. Non si tratta di un romanzo di ricostruzione storico-realistica, ma di una sorta di narrazione saggistica accompagnata da accenti elegiaci, i quali conferiscono alla narrazione il loro carattere di sfogo coniugato ad un giusto impegno civile. E questo, senza dubbi, è un merito non da poco per la letteratura, a prescindere dalla condivisione o meno delle idee di Nesi.

23 ottobre 2011

«Conversazione con Umberto Piersanti» di Doriano Fasoli


Umberto Piersanti
Doriano Fasoli: Tra alberi e vicende è la sua ultima raccolta poetica pubblicata per Archinto. Cosa suggerisce questo titolo?

Umberto Piersanti: Tra alberi e vicende è il mio libro più recente, ma anche il più antico, in quanto raccoglie tutte le pubblicazioni precedenti la trilogia einaudiana. Gli alberi indicano il mio amore totale ed assoluto per la natura: essere un poeta di natura non vuol dire nominare qualche fiore o qualche pianta. Tranne pochissimi metropolitani, lo fanno quasi tutti gli autori. Essere un poeta di natura significa buttare la testa tra l'erba, percepire suoni, odori, rumori, vivere insomma il mondo attraverso la specula della natura. La mia poesia ha sempre mantenuto questa costante. Non c'è in me, però, alcuna connotazione ecologica e poca volontà di contestazione verso il presente. Dunque non contrappongo una natura intatta ed un integro ed autentico mondo contadino all'inautenticità del presente alla maniera di un Olmi o di un Pasolini. È la memoria che rintraccia la natura e la vita di un tempo. La mia natura conosce anche l'oscurità e il dolore: qualcuno ha parlato giustamente di «Arcadia d'ombra». Le vicende indicano il mio feroce attaccamento al reale e alla vita come ha giustamente sottolineato fin dall'inizio Carlo Bo. Il reale di cui parlo c’entra poco con il neorealismo o dimensioni affini: reale è anche la fantasia più sconvolta, il pensiero più segreto, lo spessore impalpabile dell'aria.

16 ottobre 2011

«Margaret Atwood, 'Dare e avere. Il debito e il lato oscuro della ricchezza'» di Nicola D'Ugo


Margaret Atwood,
Dare e avere. Il debito e
il lato oscuro della richezza
,
Ponte alle Grazie, Milano 2009.
230 pp.
EUR 16.00
In queste anni bui per l’economia globale accentuati dai recenti rischi di default dei paesi maggiormente industrializzati, suggerisco di leggere un manuale classico che ne introduca le tematiche: Economia di Paul A. Samuelson, giunto alla diciannovesima edizione aggiornata da William D. Nordhaus e risistemata per il lettore italiano da Carlo A. Bollino. Per quel che riguarda la questione del debito e della sostenibilità dei sistemi economici in termini culturali – un campo a me più familiare – non posso che suggerire la lettura di Dare e avere. Il debito e il lato oscuro della ricchezza di Margaret Atwood (Ponte alle Grazie, Milano 2009), uscito nel 2008, a ridosso della bancarotta della Lehman Brothers che ha dato origine all’attuale recessione economica globale.

Si tratta d’uno studio comparativo, sulla scorta di James George Frazer ma di minor finalità ed ampiezza, dedicato al significato psicologico, economico e simbolico del ‘debito’. La traduzione italiana del titolo è un po’ fuorviante: avrebbe dovuto semmai suonare «avere e dare», visto che quello inglese, Payback, ‘riscossione’, si riferisce alla restituzione di quel che il debitore ha avuto in prestito.

18 giugno 2011

«'Bestie' di Joyce Carol Oates» di Nicola D'Ugo


Joyce Carol Oates,
Beasts,
Carroll & Graf, New York 2002.
138 pp. USD 15.95
Non ho letto la traduzione italiana di Bestie di Joyce Carol Oates, edita da Mondadori nel 2002 e, in formato tascabile, nel 2004. Ho letto l’edizione originale, pubblicata da Carroll & Graf nel 2002 col titolo Beasts. Si tratta d’una novella ambientata prevalentemente negli anni Settanta, in cui viene raccontata la disavventura amorosa di Gillian Brauer, una studentessa universitaria invaghitasi del suo docente.

L'approccio di Oates è quello d'un femminismo duro, per il quale il professor Andre Harrow e la moglie Dorcas rappresentano quanto di più subdolamente affascinate e lesivo vi sia nei confronti delle studentesse del college. 

Bestie è una novella cupa, dolorosa, in cui la vendetta finale di Gillian ha la meglio su una concezione patriarcale della donna. È scritta benissimo, con grande fluidità e un linguaggio adeguato ad esprimere il grigiore e le angosce della protagonista, ma non ha un grande spessore riflessivo. Non certo per la sua brevità, ma per l'aggressività spicciola, quasi scontata, con cui Gillian uccide i coniugi Harrow, incendiando la loro casa.

14 giugno 2011

«Cibo e letteratura. Caratteri generali della questione» di Nicola D'Ugo


Il figlio dell'uomo di René Magritte (1964)
Fin dall’alba della letteratura l’alimentazione è stata investita di significati importanti. Il rapporto imprescindibile tra vita e nutrizione da un lato, e l’investimento culturale che l’uomo ha riposto nell’alimentazione dall’altro ne fanno un tema la cui articolazione si presenta sotto la veste della complessità.

Un dietologo al quale confidai che mi occupavo di immaginario alimentare nel romanzo moderno non mi fece mistero che dovessi interessarmi al valore nutritivo degli alimenti e alla sua ricaduta sulla vita dei personaggi, argomento, questo, cui lui attribuiva un grande rilievo a scapito di numerosi altri aspetti. Un cuoco pensò subito che fossi un appassionato conoscitore di pietanze, ricette e casseruole, mi parlò delle sue recenti esperienze culinarie e mi fece assaggiare alcuni suoi piatti.

31 maggio 2011

«Conversazione con Remo Bodei» Doriano Fasoli


Remo Bodei
Doriano Fasoli: Un tempo si puntavano le telecamere sulla realtà sociale e politica, oggi vengono puntate sul buco della serratura della camera da letto. Perché il pubblico segue con tale morbosità e assiduità i reality-show? Per non pensare? E in cosa differisce dunque l'immaginario del presente da quello del passato? Nell'essersi impastato maggiormente con il quotidiano? E se il fittizio sembra ormai sempre più sostituirsi al reale, attraverso quale via di fuga salvarsi? Come disinquinarsi psichicamente?

Remo Bodei: Ciascuno di noi vive nell'immaginazione altre vite, alimentate dai testi letterari e dai media. Per loro tramite tentiamo, da una parte, di porre rimedio alla limitatezza dell'esistenza individuale, al dipendere da condizioni non scelte, che, a posteriori, appaiono casuali (luogo e data di nascita, corpo e famiglia, lingua e società), dall'altra, di contrastare il progressivo restringersi del cono dei possibili nel corso degli anni. Siamo, infatti, costretti a conquistare la nostra identità attraverso scelte dolorose, amputando o potando una dopo l'altra le successive ramificazioni del nostro essere e cancellando abbozzi di io che avrebbero potuto fissarsi. Il problema è che oggi, specie in Occidente, questo completamento di se stessi viene ottenuto attraverso una mimesi dei valori più degradati, dei sogni di successo e di notorietà che quotidianamente vengono proposti dai media, così che milioni di persone sono guidati dall'esterno, quasi fossero uomini e donne d'allevamento. Per disinquinarsi psichicamente occorrerebbe proporre mete allo stesso tempo più elevate e più soddisfacenti: cosa non semplice.

30 maggio 2011

«Cicerone e l'epicureismo» di Luciano Albanese


Dettaglio del busto di Cicerone.
Musei Capitolini, Roma
Marco Tullio Cicerone nasce ad Arpino il 3 gennaio 106 a.C. e muore a Formia il 7 dicembre del 43. Egli è stimato dal mondo moderno soprattutto come oratore, uomo di legge e politico, ma almeno fino al Settecento lo era anche come filosofo. Anzi, gran parte dei proemi di stile aristotelico che ricorrono nei suoi dialoghi sono dedicati a difendersi dall’accusa, che gli veniva rivolta frequentemente, di cimentarsi in una attività completamente inutile, posto che chi sapeva il greco conosceva già la filosofia, mentre chi non lo conosceva non avrebbe mai capito.

I rapporti di Cicerone con la filosofia sono in effetti di vecchia data. Nell’80 Cicerone, già noto come avvocato, accettò la difesa di Sesto Roscio Amerino, accusato di parricidio per un intrigo a sfondo politico che faceva capo a un liberto di Silla. Cicerone vinse la causa, ma subito dopo intraprese un viaggio in Grecia e in Asia, si mormorò per sottrarsi alla vendetta di Silla.

28 marzo 2011

«Intervista a Francesca Sanvitale» di Doriano Fasoli


Francesca Sanvitale e Primo Levi
Francesca Sanvitale è scomparsa a Roma lo scorso 9 febbraio a ottantadue anni dopo una lunga malattia. Alberto Asor Rosa scriverà nel 2000, recensendo la sua Camera ottica, che «è una scrittrice che poggia la propria invenzione su di una solida armatura di cultura e realtà». Il suo valore letterario fu peraltro riconosciuto dal Presidente della Repubblica, che il primo giugno 2001, di sua iniziativa, la nominò Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana.

L'intervista che qui viene pubblicata, Francesca Sanvitale me la concesse qualche tempo prima di pubblicare per Einaudi il suo ultimo libro intitolato L'inizio è in autunno.

26 marzo 2011

«Owen e la cultura della guerra» di Nicola D'Ugo


Il poeta Wilfred Owen in divisa
da ufficiale nel 1916
In questi tempi di guerra rivelati dai media e dagli interventi italiani, consiglierei a tutti di dare un’occhiata alle poesie che un giovane ragazzo inglese, Wilfred Owen, scrisse durante la prima guerra mondiale. Poiché quando si ha a che fare con una cultura (in questo caso bellica) che pareva ci fossimo lasciati alle spalle, è almeno opportuno documentarci sull’argomento.

Ci sono almeno altre tre ragioni per leggere anzitutto le poesie di Wilfred Owen piuttosto che altri libri (p. es., Addio alle armi di Hemingway o Il nudo e il morto di Norman Mailer). La prima è che anche questo libro è reperibile in italiano (Poesie di guerra, Einaudi, Torino 1985), la seconda è che quello che viene narrato in una trama di qualche centinaio di pagine di romanzo in cui si parla spesso d’altro è qui condensato in poche righe attinenti al tema, e la terza è che si tratta della più alta testimonianza sulla guerra dei tempi moderni.

4 febbraio 2011

«'Inoltre': conversazione con Fiorangela Oneroso» di Doriano Fasoli


Fiorangela Oneroso è ordinario di Psicologia Generale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Salerno. Si è da sempre occupata di questioni teoriche ed epistemologiche riguardanti il rapporto tra il campo delle scienze e quello della creatività artistica. Nell'ambito specifico delle teorie psicoanalitiche ha studiato in particolare il pensiero di Ignacio Matte Blanco, teorico della bi-logica, per gli aspetti che riguardano la riflessione sui nessi tra pensiero razionale e pensiero emozionale, e sulle relative forme di conoscenza. Per ciò che attiene l'influenza delle emozioni nei processi conoscitivi ha esplorato problematiche inerenti al campo dell'arte e della letteratura alla luce delle diverse estetiche e delle diverse poetiche. Fra i suoi lavori più recenti: i due volumi curati con Anna Gorrese nel 2004 Mente e pensiero. Incontri con l'opera di W. R. Bion (premio Gradiva) e Le emozioni fra cognitivismo e psicoanalisi; «Emozioni e reversibilità: l'origine e la coscienza del tempo» (2007); Nei giardini della letteratura (2009); «Il tempo, la coscienza, l'estasi» (2010).

«Due parole sulla critica» di Nicola D'Ugo


T. S. Eliot
Il filo condutture degli articoli che costituiscono il lavoro di un critico impegnato, nella loro diversità di stile e ampiezza, è l’attenzione posta alla letteratura in quanto capace di produrre discorsi sulle tematiche contemporanee (amore, diversità, paternità, guerra, democrazia, tecnologia, ambiente, città, calchi culturali, comunicazione, aspirazione ecc.). Quello che interessa un critico attento è la letteratura, la capacità di un testo di stimolare domande e, anche, di offrire risposte a domande, siano risposte alle nostre richieste di emozioni che di idee.

Una difficoltà della critica letteraria applicata ai testi contemporanei sta nell’individuazione della forza di un testo, a prescindere dagli interessi momentanei del lettore e del critico, dalla loro sfera culturale e ideale, dalla sensibilità che rivolgono a certe tematiche: in altre parole, dalla prospettiva del lettore che preceda la lettura. Un grande testo mette in crisi, in genere, proprio quella prospettiva; in qualche caso, invece, le dà spessore, la approfondisce.

15 gennaio 2011

«Ultima intervista a Emilio Garroni» di Doriano Fasoli


Emilio Garroni,
Immagine Linguaggio Figura,
Laterza, Roma-Bari 2005.
132 pp. EUR 22.00
L’intervista che segue fu l’ultima che (mi) concesse il filosofo Emilio Garroni (in occasione dell’uscita del volume Immagine Linguaggio Figura), poco prima della sua scomparsa, avvenuta nel 2005.

Doriano Fasoli: È da poco uscito da Laterza un suo nuovo libro: Immagine Linguaggio Figura, ultimo prodotto della sua attività instancabile. Ne vogliamo parlare insieme? Di che si tratta? È un libro, mi pare, di contenuto nuovo, se escludiamo il suo primissimo lavoro, La crisi semantica delle arti.

Emilio Garroni: Sì, in qualche modo è vero, anche se indirettamente mi sono sempre occupato di questi argomenti, la nascita del significato, del segno e della complessa strategia culturale umana. Ma qui prendo la cosa di petto. Debbo premettere che tutto ciò che qui diremo nel libro è detto in modo piano e comprensibile. Questa mi pare la sua vera novità, in particolare rispetto a quel primo libro, che è pieno di note, citazioni, autori, spesso anche non necessari. Ricordo che Italo Calvino, che lo apprezzò molto e lo utilizzò anche per un racconto sul segno, me lo fece notare. E da allora seguo sempre le sue indicazioni. L’ultimo insomma è scritto come se parlassi tra me e me, non ci sono note e vengono citati nel testo pochissimi autori, quasi solo classici, e il discorso giunge al lettore con una capacità notevole, a quel che mi dicono, di farsi comprendere. Badi, non è un testo divulgativo. Ma risulta comprensibile per la ragione detta.