T. S. Eliot |
Il filo condutture degli articoli che costituiscono il lavoro di un critico impegnato, nella loro diversità di stile e ampiezza, è l’attenzione posta alla letteratura in quanto capace di produrre discorsi sulle tematiche contemporanee (amore, diversità, paternità, guerra, democrazia, tecnologia, ambiente, città, calchi culturali, comunicazione, aspirazione ecc.). Quello che interessa un critico attento è la letteratura, la capacità di un testo di stimolare domande e, anche, di offrire risposte a domande, siano risposte alle nostre richieste di emozioni che di idee.
Una difficoltà della critica letteraria applicata ai testi contemporanei sta nell’individuazione della forza di un testo, a prescindere dagli interessi momentanei del lettore e del critico, dalla loro sfera culturale e ideale, dalla sensibilità che rivolgono a certe tematiche: in altre parole, dalla prospettiva del lettore che preceda la lettura. Un grande testo mette in crisi, in genere, proprio quella prospettiva; in qualche caso, invece, le dà spessore, la approfondisce.
Un buon modo di vedere un testo non è necessariamente anche la migliore prospettiva di un testo diverso; per cui è necessario, di volta in volta, imparare a guardare il mondo che emerge dalla prospettiva del testo. Un occhio attentissimo posto in una prospettiva inadeguata è in genere di una cecità tanto meravigliosa da sfiorare la più candida ingenuità. Il fascino dell’interpretazione sta nello scoprire, volta per volta, da dove si vede meglio un testo e attraverso quali percorsi lo si vede meglio e in modo più diretto.
Se il percorso è felice, un paesaggio smette di essere una veduta e comincia ad assumere l’aspetto visitabile di un luogo, fatto di quella umanità, di quelle preoccupazioni, di quelle suggestioni che una volta incontrate si stenta a dimenticare. Il testo continua a parlare senza più bisogno di doverlo leggere, esso suggerisce e ammonisce, indica spazi aperti oltre gli stretti limiti della vita quotidiana (che è solo, in fondo, una vita che ci è capitata di vivere).
Una difficoltà della critica letteraria applicata ai testi contemporanei sta nell’individuazione della forza di un testo, a prescindere dagli interessi momentanei del lettore e del critico, dalla loro sfera culturale e ideale, dalla sensibilità che rivolgono a certe tematiche: in altre parole, dalla prospettiva del lettore che preceda la lettura. Un grande testo mette in crisi, in genere, proprio quella prospettiva; in qualche caso, invece, le dà spessore, la approfondisce.
Un buon modo di vedere un testo non è necessariamente anche la migliore prospettiva di un testo diverso; per cui è necessario, di volta in volta, imparare a guardare il mondo che emerge dalla prospettiva del testo. Un occhio attentissimo posto in una prospettiva inadeguata è in genere di una cecità tanto meravigliosa da sfiorare la più candida ingenuità. Il fascino dell’interpretazione sta nello scoprire, volta per volta, da dove si vede meglio un testo e attraverso quali percorsi lo si vede meglio e in modo più diretto.
Se il percorso è felice, un paesaggio smette di essere una veduta e comincia ad assumere l’aspetto visitabile di un luogo, fatto di quella umanità, di quelle preoccupazioni, di quelle suggestioni che una volta incontrate si stenta a dimenticare. Il testo continua a parlare senza più bisogno di doverlo leggere, esso suggerisce e ammonisce, indica spazi aperti oltre gli stretti limiti della vita quotidiana (che è solo, in fondo, una vita che ci è capitata di vivere).
In altri termini, non risulta felice applicare alle Stanze di Poliziano lo stesso criterio di lettura che può risultare felice leggendo Remains of Elmet di Ted Hughes, non tanto perché queste opere sono state scritte in occasioni diverse, ma perché è essenzialmente diversa la loro prospettiva, a cominciare dalla ricorrenza sonora e dal movimento continuo delle strofe di Poliziano e dalla umida sospensione, che aleggia e alita fra cielo e terra, dei versi liberi di Ted Hughes.
Allo stesso modo, non risulterebbe felice applicare uno stesso criterio di lettura a I fiori blu di Raymond Queneau e a Ulisse di James Joyce, o, in uno stesso autore, alla Terra desolata e a Rapsodia su una notte di vento di T. S. Eliot, perché tutti questi testi non sarebbero altro che storie e punti di vista, più o meno dilettevoli o noiosi in quanto passatempo, nel caso migliore testi incapaci di dire altro che quello che saremmo disposti ad ascoltare, benché qualcuno possa trarne vantaggio per fini terapeutici, né più e né meno di una passeggiata, di una conversazione fra amici, del tuffo da uno scoglio. Il maggior rischio per un critico rigoroso è attenersi al metodo di lettura piuttosto vigoroso che ha appreso, applicandolo, quanto più invecchia, alle ultime novità di un mondo in continua mutazione.
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[pubblicato in: Notizie in… Controluce, n. XIII/7, luglio 2004, p. 18.]
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