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Dylan Thomas, Ritratto dell'artista da cucciolo e altri racconti, Einaudi, Torino 1999. A cura di Ariodante Marianni. 268 pp. EUR 7.75 |
«E là io mi addormentai sul montagnoso
panciotto di mio zio, e, mentre dormivo,
–Chi va là?– gridò Sentry alla luna che volava.»
panciotto di mio zio, e, mentre dormivo,
–Chi va là?– gridò Sentry alla luna che volava.»
Dylan Thomas, «Una storia» (1953)
Di pochi scrittori di questo secolo si sa e si è scritto tanto quanto di Dylan Thomas (Swansea 1914 – New York 1953). Un’attrazione straordinaria ha fatto sì che tutto ciò che lo riguardasse fosse pervaso da un senso di leggenda. Capita così che ogni scrittore aspiri in qualche modo a dire la sua sull’autore, come è evidentemente il mio caso. In altri casi –penso a Bob Dylan– si è preso il nome dell’autore per farne il proprio nome d’arte, o –come è il caso di Dylan Dog– ci si è ispirati per il titolo di un fumetto.
Questo autore lo vorrebbero raccontare in molti. Purtroppo, come nel caso di un ampio articolo di Pietro Citati pubblicato su La Repubblica un paio di anni fa, ognuno descrive il poeta a modo suo, infischiandosi di cosa accadde nella vita di Thomas e nella sua opera. Da un certo punto di vista, questa posizione è legittima, nella misura in cui si vuole sentirsi vivi all’ombra semovente d’uno dei grandi bardi del Novecento, scherzoso e ridanciano e cupo come pochi altri colleghi. Del resto il personaggio pare uscito da un film: povero in canna, ubriacone, donnaiolo, vissuto in uno sperduto paesino gallese di duecento anime e diventato famoso in tutto il mondo.