Che cosa hanno in comune gli irlandesi con i Vichinghi? Come può il filo spezzato della storia rivelarsi solo assottigliato a perdita d'occhio? Perché l'archeologia può farsi motivo antropologico di riconoscimento sentimentale? Ce lo spiega il Premio Nobel Seamus Heaney in North, una raccolta poetica del 1975 che esce solo ora per i tipi Mondadori.
Rifacendosi a The Bog People (Il popolo delle torbiere) dell'archeologo danese P. V. Glob, Heaney instaura un colloquio con una serie di personaggi dell'età del ferro, focalizzando l'attenzione su ciò che resta dei loro corpi straordinariamente preservati nelle torbiere. La pietà è rivolta a personaggi malridotti, di cui ci restano però alcuni stupefacenti tratti del volto. Sono anzitutto dei condannati a morte, per cui l'enunciazione di Heaney si fa pietà sentita e motivata per l'uomo, quale sentimento di fratellanza e d'amore. Ma si fa anche giudizio su se stesso e sulla cecità etnica, culturale, evidenziando l'aspetto di chiusura di un mondo entro i confini di una cultura e d'una costumanza. Probabilmente – ci dice Heaney – se avessi partecipato all'esecuzione capitale di uno di quei personaggi dell'età del ferro, avrei fatto come tutti, ossia mi sarei astenuto dal salvarlo!