Renzo Paris (Celano, 1944), poeta, romanziere e critico, ha tradotto le poesie di Tristan Corbière e di Guillaume Apollinaire. Tra le sue opere ricordiamo le raccolte di poesie Album di famiglia e Il fumo bianco (Elliot, 2013), i romanzi Frecce avvelenate, La casa in comune, La croce tatuata, La vita personale, Cani sciolti (Elliot, 2016), Bambole e schiavi (Elliot, 2018) e le biografie romanzate La banda Apollinaire (2011), Alberto Moravia. Una vita controvoglia (Castelvecchi, 2013), Il fenicottero. Vita segreta di Ignazio Silone (Elliot, 2014) e Pasolini. Ragazzo a vita (Elliot, 2015). Ha insegnato letteratura francese in diverse università. Collabora con Il Venerdì di Repubblica. Da poco è uscito, sempre per Castelvecchi, Sessantotto visionario, che ci ha fornito il pretesto per incontrarlo.
Doriano Fasoli: «Sono uno di coloro che hanno vissuto gli anni Sessanta come una primavera che prometteva di essere interminabile. Per questo, mi risulta difficile dovermi abituare a questo lungo inverno.» Paris, sei d’accordo con queste parole pronunciate dal filosofo Félix Guattari?
Renzo Paris: La primavera di cui parla Guattari, che conobbi a Sabaudia, nella villa affittata da Laura Betti, è stata anche la mia. Andavo per mostre ogni pomeriggio e la sera mi vedevo un film. Leggevo libri di ogni tipo, soprattutto di critica, ma anche romanzi e ne parlavo con gli amici di allora, che li recensivano per il giornale dei socialisti, la cui pagina culturale era diretta da Walter Pedullà. Ero un cane sciolto fin d'allora e non volli scrivere per quel giornale, che vedeva le prime prove di Alfonso Berardinelli, Franco Cordelli e altri. L'inverno era quello del settarismo e dell'ideologia, che spense la bellezza dell'arte. Io però in quell'inverno non dimenticai la luce.
Chi era Paolo Rossi, il diciannovenne assassinato dai fascisti?
Paolo Rossi era un giovane universitario socialista che mi morì accanto. Eravamo in piedi sul muretto del pianerottolo della Facoltà di Lettere della Sapienza. Reagivamo a parole contro i fascisti che salivano quei gradini armati di bastoni con punteruoli di ferro. La polizia non interveniva. Vidi Paolo cadere come corpo morto fin sul pavimento, rompendosi la testa. Quella mattina era stato picchiato con un pugno di ferro dai fascisti che odiavano quel venticinque aprile di Resistenza. Fu il primo caduto della mia generazione. Avevano poco più di vent'anni quelli che dimostravano contro l'aumento delle tasse universitarie voluto dal ministro Gui. E fu l'inizio di quello che sarà, due anni dopo, il Sessantotto. Ho raccontato tutto nel mio Sessantotto visionario.