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10 giugno 2016

«Breve nota sull'universo gender di Giancarlo Ricci» di Giovanni Sias

 

 

 

Sessualità e politica. Viaggio nell'arcipelago gender
Giancarlo Ricci
SugarCo
Milano 2016
EUR 16,80
240 pp.
ISBN: 88-71-98701-2

 

 

 

 

 

La lettura dell’ultimo lavoro di Giancarlo Ricci, Sessualità e politica (2016, SugarCo ed.), impegna in alcune riflessioni che riguardano da vicino la nostra vita nella contingenza storica, ed è anche, e forse soprattutto, occasione per trovare una via non ideologica per tentare di cogliere che cosa passa oggi a livello mediatico e dei luoghi comuni che attraversano le società del nostro tempo. Forse è questa l’indicazione contenuta nel sottotitolo del libro «Viaggio nell’arcipelago gender». E che il «gender», espressione di una libertà falsa e distorta, sia di ordine squisitamente ideologico mi sembra fuori di dubbio. Che una persona ritenga di poter scegliere il «genere» a cui appartenere benché nasca maschio o femmina, e si ritenga in potere di sovvertire tale statuto biologico ancor prima che antropologico, non può che essere frutto di un’idea di onnipotenza sostenuta dalla potenza della tecnica.

Che si tratti di ideologia lo sottolinea anche il fatto non irrilevante che in questo dibattito sociale non sembra che ci sia spazio per discutere, sia sul piano etico sia su quello scientifico: il pensiero gender, sostenuto dai programmi accademici di psicologi e sociologi (e cioè di quelle teorie che il nostro Ugo Spirito chiamava «false scienze») che ne hanno costruito l’ideologia, si presenta come indiscutibile e corre per la sua strada egemonica senza trovare ostacoli, sostenuto dalla politica e dalla falsa-scienza dei nostri tempi.

Che Giancarlo Ricci abbia voluto, con questo libro, portare il confronto sul piano del linguaggio, evitando ogni trabocchetto ideologico, è il suo merito, ed è il suo tentativo di riportare un dibattito sul piano della scienza.

Infatti, se vogliamo leggerlo dobbiamo partire dalla frase tratta da Freud e messa in esergo: «La psicanalisi non ha il compito di rendere impossibili le relazioni problematiche, ma di creare per l’Io del paziente la libertà di optare per una soluzione». Qui si trova, o almeno così a me pare, l’indirizzo per leggere in modo corretto il libro di Ricci.

La struttura del libro poi rimanda a questioni e temi che si sviluppano eminentemente sul piano linguistico. Organizzato come un dizionario prende in considerazione tutti i termini (dalla A di abuso alla V di vittimismo) che caratterizzano il linguaggio intorno a tali questioni, e se seguiamo il percorso che analizza il senso che le parole acquisiscono nell’«arcipelago gender», e più in generale nel linguaggio corrente, ci accorgiamo come tutto questo discorso su una presunta facoltà umana, che non vuole tener presente la sessualità come elemento determinato dal caso (naturale, biologico, e anche antropologico per quanto riguarda una cultura dell’umano), ma lo considera solo un elemento sociale, in cui la sessualità è pensata come scelta «libera» di un ipostatizzato e illusorio soggetto a cui la filosofia da lunghi anni (quattro secoli!) ci ha assuefatti, ci troviamo a constatare come il trionfo del narcisismo scivoli sempre più nella perversione, e che le società attuali, sul piano finanziario, tecnologico, economico e politico, attuano la perversione come espressa possibilità di dominio, di controllo e di assuefazione delle coscienze.

Qui non si tratta più di porre la questione intorno alla libertà di essere o di riconoscersi omosessuale, per esempio, ma ben peggio, di confinare l’omosessualità in una specie di enclave antroposociogiuridica per specie protette, e di dare a essa uno statuto sociale che nulla ha a che fare con quanto viene sbandierato come libertà sessuale o umana. In realtà, se grattiamo anche solo un poco l’apparenza, ci accorgiamo che non di libertà si tratta, perché un tale meccanismo di controllo, attuato sul piano tecnico e politico, comporta esattamente il suo contrario dal momento che procede dalla negazione di uno statuto simbolico dell’umano e amputa per ciascuno la possibilità di riconoscersi per ciò che è sul piano della sua nascita: nato maschio, nata femmina, destinato dal caso a essere uomo o donna. Tolto il caso che mi ha generato che cosa mi resta di una mia autentica libertà? Tolto il caso che ci ha fatto maschi o femmine non ci resta forse solo la sottomissione alla tecnica, la cui realizzazione di potenza può prevedere solo che l’uomo diventi niente più altro che «un mezzo» per accrescerla?

Ricci se ne avvede, coglie i rischi insiti nell’ideologia, e lo scrive in conclusione della sua «Introduzione»: «L’ideologia gender risulta così la punta più avanzata, ipermoderna e neoliberale di gestione e controllo della soggettività. In nome di una tecno-biologizzazione essa propone una negazione dello psichico per celebrare il trionfo narcisistico dell’Io a discapito del bene comune». E qui, «bene comune», dovrebbe essere inteso come la sessualità che concerne ciascuno e non come una ipotetica «libera scelta»; come quel processo di individuazione che ci fa uomini e donne, indipendentemente dalla «scelta» sessuale (omosessuale o eterosessuale) in cui siamo implicati nostro malgrado.