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1 giugno 2018

«Discorso interno e auto-comunicazione. Conversazione con Franco Fanelli» di Doriano Fasoli



Franco Fanelli, laureato in Lettere, conduce da lungo tempo ricerche nel campo delle scienze del linguaggio ed ha avuto esperienze di regia documentaristica e di critica cinematografica. Con Francesco Contaldo ha pubblicato L’affare cinema (Feltrinelli, 1979) e di recente, con lo stesso autore, Hollywood e Colossal. Nascita, splendori e morte della grande Hollywood (Alpes, 2017). Il suo nuovo libro, Discorso interno e auto-comunicazione, edito da Alpes, si incentra su delicate questioni di psicolinguistica, che qui ci illustra.

Doriano Fasoli: Fanelli, quali temi affrontano i cinque saggi che compongono il suo nuovo libro Discorso interno e auto-comunicazione?

Franco Fanelli: Il sottotitolo del volume, «Cinque saggi sulle forme del discorso verbale», ci può dare una prima indicazione. Ho dedicato, infatti, uno specifico saggio a ciascuna delle cinque principali forme del discorso verbale: orale, scritto, gestuale (come lingua dei segni dei sordi), testuale e interno, descrivendo le loro caratteristiche e sottolineando la complessità della sfera comunicativa umana che mi interessava mettere in luce. Si tratta, in sostanza, di cinque ricerche nel campo delle scienze del linguaggio con cui si osserva da più punti di vista il discorso verbale e le sue forme. Affrontando, ad esempio, il tema del linguaggio orale, ho potuto svelare i punti di contatto tra le tesi storico-culturali di Eric Havelock e quelle linguistiche di Roman Jakobson oppure, trattando il tema della lettura silenziosa dei testi, ho potuto tenere presente sia gli studi dello storico inglese Paul Saenger sia quelli del neuroscienziato sovietico Aleksandr Sokolov. La particolare attenzione, rivolta ai processi di auto-comunicazione, poi, mi ha permesso di chiarire aspetti controversi delle diverse forme del discorso verbale ed anche di effettuare una rilettura imprevista di un passo del Cours de linguistique générale che ad un tratto mi è sembrato incomprensibile senza un riferimento al «linguaggio interno».

Da quale idea prende le mosse il suo lavoro?

Un’idea-guida che circola in tutti i saggi è quella secondo cui le diverse forme del discorso verbale sono in relazione storica e funzionale con le tecnologie attraverso le quali sono espresse (fonia, grafia, gestualità, testualità, endofonia) e si fondano su una base semantico-cognitiva comune derivata dalla natura sociale del processo comunicativo umano. Da questa premessa deriva una conseguenza metodologica basilare per poter impostare correttamente l’analisi delle forme del discorso ovvero l’idea che la comunicazione umana non si attua attraverso linguaggi (verbali o non verbali), al contrario essa è la premessa al costituirsi di forme linguistiche. Questa impostazione fatica a palesarsi nel campo delle teorie linguistiche mentre è più evidente negli studi sulle lingue dei segni dei sordi (vedi Volterra) oppure in quelli sull’origine della comunicazione (vedi Tomasello), dove è molto chiaro quanto la competenza sociale sia una premessa e una condizione indispensabile al costituirsi di qualunque scambio semantico comunque veicolato. Ovvero, come afferma anche Bruner, la competenza comunicativa si può sviluppare solo come parte di una più vasta competenza sociale. 

Cos’è propriamente il «discorso interno»?

Il «discorso interno» è un argomento estremamente poco frequentato sia negli studi linguistici che psicologici. Questo lavoro è in gran parte anche il tentativo di restituire a questo tema la dignità che dovrebbe avere soprattutto nel campo delle scienze del linguaggio. Nell’analisi di tutte le forme di discorso trattate ci si sforza di mettere in luce quanto siano decisivi i processi di comunicazione interna per la corretta realizzazione della comunicazione esterna. Ad esempio, nei saggi sul discorso scritto e su quello testuale si mostra che i processi di riformulazione endofonica propri della lettura/scrittura, che sono stati sempre pressoché ignorati, sono invece decisivi per chiarire il ruolo della sintassi e dell’ordine del discorso nella comunicazione scritta. L’ultimo saggio, poi, intitolato appunto «Il discorso interno», delinea un inquadramento generale di questo tema ripercorrendo gli studi di Lev S. Vygotskij e quelli di Pavel P. Blonskij, che hanno dibattuto sull’argomento negli anni Trenta, e riproponendo anche, in una nuova chiave, la storica contrapposizione Vygotskij/Piaget sul linguaggio egocentrico. Il saggio chiarisce un punto fondante dell’analisi dei processi comunicativi umani: non può sussistere alcuna forma di comunicazione esterna che non si basi sulla comunicazione interna. Dunque, il vero oggetto di una teoria della comunicazione è la comunicazione interna, un fenomeno multistratificato che va di conseguenza analizzato a più livelli. Il discorso interno è certamente il tratto più identificabile della comunicazione interna. Per cercare di chiarirne i contorni e metterne a fuoco gli aspetti salienti ho fatto ricorso a parametri provenienti da numerosi campi: storico, filosofico, semiotico, linguistico, psicologico, glottoantropologico, neurofisiologico. Ma certamente si tratta di un primo approccio per un lavoro di ricerca in gran parte ancora di là da venire.

30 gennaio 2018

«Hollywood & Colossal. Intervista a Francesco Contaldo e Franco Fanelli» di Doriano Fasoli



Francesco Contaldo, laureato in filosofia, ha lavorato nel cinema, alla radio e alla televisione. È sceneggiatore, saggista e autore di romanzi per ragazzi. Con Franco Fanelli si è occupato a più riprese di tematiche inerenti all’industria cinematografica e alle dinamiche generali dei mass media. Franco Fanelli, laureato in lettere, conduce da lungo tempo ricerche nel campo delle scienze del linguaggio ed ha avuto esperienze di regia documentaristica e di critica cinematografica. Insieme, nel 1979, hanno pubblicato L’affare cinema. Multinazionali, produttori e politici nella crisi del cinema italiano.

Doriano Fasoli: Contaldo, Fanelli, com’è nata l’idea di questo libro, Hollywood & Colossal. Nascita, splendori e morte della grandeHollywood (pubblicato in questi giorni da Alpes)?

Contaldo e Fanelli: Dalla precedente pubblicazione, ormai lontana nel tempo, di L’affare cinema per conto della Feltrinelli. Là esploravamo le ragioni di una crisi epocale del cinema italiano, quella degli anni Settanta che portò la produzione annuale dei nostri film da oltre duecento a qualche sparuta decina. I più la leggevano come crisi di talento e di idee, invece scoprimmo ragioni più profonde e strutturali. Oggi abbiamo deciso di mettere a frutto l’esperienza acquisita in ambito statistico ed economico per entrare direttamente nella stanza dei bottoni dell’unica, autentica industria cinematografica del mondo occidentale ed esplorarne accuratamente il funzionamento.

Perché date tanta importanza ai colossal?

Perché ci siamo accorti quasi subito che il vero motore propulsivo del settore – in ogni suo comparto, dalla realizzazione all’uscita in sala – sono sempre stati proprio i film considerati da tutti come “eventi”, cioè picchi unici e irripetibili dello spettacolo sul grande schermo. Abbiamo cioè scoperto – questa, almeno, è la nostra tesi di fondo – che essi hanno storicamente esercitato una funzione entropica indispensabile per lo sviluppo stesso del cinema americano, quantomeno di quello hollywoodiano. Basti pensare a Via col vento o a I dieci comandamenti per i classici oppure, in tempi più recenti, a Superman, ad Apocalypse Now o alla saga di Guerre stellari. Da una parte, infatti, scompaginavano gli standard, cioè la normale produzione filmica, tanto in termini di costi che di finanziamenti, di estensione delle campagne promozionali e di trasversalità del profitto attraverso il merchandising in tutte le aree contigue al cinema; dall’altra, garantivano il movimento di ingenti capitali e, quindi, catturavano l’attenzione crescente dei grandi gruppi di potere finanziario. Ciò che ha portato Hollywood alle vette dello show business, ma anche – ed è questa l’altra tesi di fondo – alla morte negli anni Novanta per svuotamento progressivo delle sue caratteristiche specifiche, sacrificate sull’altare dei movimenti di Borsa e delle macrostrategie del capitale finanziario.