Diego
De Leo è uno psichiatra di fama internazionale. La sua specialità riguarda lo
studio dei comportamenti suicidari, cui ha dedicato l’intera carriera, creando
anche la Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio (10 settembre di
ogni anno), un evento oggi seguito da più di cento nazioni. Professore emerito
di psichiatria alla Griffith University di Brisbane, Australia, dove ha lavorato
negli ultimi 20 anni dirigendovi l’Australian Institute for Suicide Research
and Prevention, De Leo ripropone, a distanza di alcuni anni dalla fortunata
prima edizione, una seconda uscita del suo libro Un'altra vita. Viaggio straordinario nella mente di un suicida
(Alpes Editore, Roma). Pubblicato in origine con il titolo di Turning Points, il libro raccoglie le
storie di persone scampate per puro caso a un tentativo letale di suicidio; anche
persone che, invece, un proprio caro l’hanno perso definitivamente vi narrano
la propria esperienza di ‘sopravvissuti’.
Doriano
Fasoli: Professor De Leo, Lei è abituato a
scrivere testi scientifici, come mai questo libro per il grande pubblico?
Diego De Leo: Perché
la prevenzione del suicidio riguarda tutti, non solo gli esperti del settore.
Volevo quindi cercare di aumentare la conoscenza e la consapevolezza dei
lettori sui molti motivi diversi che spingono un individuo a darsi la morte.
Per raggiungere questo scopo non intendevo far ricorso al linguaggio tecnico ma
usare le parole dei protagonisti delle storie stesse. Il volume raccoglie così una
selezione di esperienze umane fortunosamente non conclusesi con la morte del
loro interprete principale, che nel libro diventa narratore dell’avventura
vissuta. Meglio di qualsiasi testo specialistico, queste storie riescono a
rappresentare con formidabile immediatezza quell’escalation di avvenimenti ed emozioni che ha portato i soggetti a
desiderare di morire.
Dunque è per questo che Lei ha parlato
di «viaggio straordinario» nel titolo del libro?
Di
suicidio, in genere, si parla poco e male. Quando lo si fa, magari in un
articolo di stampa, o si sensazionalizzano le storie o si semplificano
all’eccesso, data la difficoltà di fornire un quadro comprensibile del contesto
esistenziale della persona suicidatasi. Oppure ci si confronta con il
linguaggio scarno del demografo o quello distaccato del medico legale. In
questo libro, una serie di persone narra con il linguaggio della vita di tutti
i giorni la propria terribile esperienza e la decisione di darsi la morte.
Questa poi non è sopraggiunta per ragioni del tutto imprevedibili o fortuite,
come può essere miracoloso sopravvivere ad un colpo di arma da fuoco alla testa
o alla precipitazione dal terzo piano. È chiaro che queste persone avrebbero
potuto morire: il sopravvivere a quella scelta estrema dà invece loro la forza
per ricominciare una vita diversa, «un’altra vita», appunto, come indica il
titolo del libro. E questo è il messaggio principale del mio volume, e cioè che
il desiderio di morire e il tentativo di suicidio rappresentano l’acme di una
crisi, passata la quale però si può tornare a vivere, spesso più forti di
prima.