23 dicembre 2012

«Intervista con Cesare Mazzonis» di Doriano Fasoli


Cesare Mazzonis è nato a Torino nel 1936. Ha ricoperto diversi ruoli nell’ambito della cultura musicale italiana: è stato, infatti, direttore artistico dell’orchestra Rai di Roma; direttore artistico del Teatro alla Scala per dodici anni; direttore del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino per undici anni; consulente al Teatro Bol'šoj di Mosca, ad Atene, e per Claudio Abbado. Dopo aver vissuto e lavorato a Buenos Aires, Londra, Roma, Milano e Firenze, è attualmente di stanza a Torino come direttore artistico dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Oltre alla musica, Cesare Mazzonis si è sempre dedicato alla scrittura. Per Einaudi ha pubblicato due romanzi: La vocazione del superstite (1973) e Il circolo della vela (1975). Poi, per Feltrinelli, La memoria fastosa (1987). Ha tradotto Arno Holz e Bertolt Brecht per spettacoli di Luca Ronconi e Federico Tiezzi. Sempre per Ronconi ha scritto il testo dello spettacolo Nel bosco degli spiriti (2008), – tratto dal romanzo di Amos Tutuola La mia vita nel bosco degli spiriti, edito da Adelphi, – e il libretto da Cuore di cane di Bulgakov per l'opera di Raskatov andata in scena ad Amsterdam e a Londra, e che dovrà approdare alla Scala nella prossima stagione. Il suo ultimo libro si intitola Ragnatele sul nulla (2012), pubblicato da Le Lettere: un insieme di riflessioni sul tempo, la morte, le illusioni umane, imbastito e compilato nel corso di molti anni di vita e di lavoro. L’intervista che segue è stata realizzata a Roma nel dicembre 2012. 

Doriano Fasoli: Partiamo dal titolo: cosa suggerisce «ragnatele sul nulla»?

Cesare Mazzonis: Il titolo del libro è indicato, se vogliamo, dal lemma che antepongo: un verso di Calderón nel quale si giudica «inútil ciencia» studiare «ciò che sarà», e che invece propone l'obbligo di indagare «lo que no ha de ser»: ciò che non avverrà. In due parole: d'obbligo è il «nulla», al quale ritengo con scarsa allegria di essere destinato in conclusione del vivere. E ciononostante tutto «lo que no ha de ser», l'immaginario che dai primordi l'uomo ha opposto al «nulla» iniziale e finale, l'inventario dei luoghi dell'aldilà e i viaggi di andata e ritorno dal Paese dei Morti (i viaggi orfeici) mi affascina straordinariamente.
Sono queste appunto le «ragnatele» che, per nascondere il «nulla», intorno ad esso io tramo e infittisco. «Farà scrivendo a Morte illustri inganni», del cavalier Marino, è il secondo dei tanti lemmi che aprono i capitoli del libro. E faccio intervenire difese fittizie: le «Mura intorno all'Anima» lo sono alle invasioni del pericolo, alla malattia, ai morti e alla morte. Da «La tana» di Kafka ai villaggi coreani, al castello spenseriano di Alma… esempi su esempi. Alla «ragnatela» ho voluto dare un secondo significato: la sua materia nasce dal ventre (o dal cervello) di chi la stende, e che però nella stesura si appiglia a tutto ciò che lo circonda. Ai miti, alle saghe, alle leggende, alle fiabe, ad opere letterarie e di pensiero ho appunto legato le mie «bave» di ragno.