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12 settembre 2009

«'L'agguato immortale' di Maria Grazia Lenisa» di Nicola D'Ugo





 L'agguato immortale
 Maria Grazia Lenisa
 Bastogi
 Foggia 1995
 EUR 9,30
 160 pp.
 ISBN 88-86-45239-X





L'esser donna e al tempo stesso essere poeta, avere come modelli per la propria dizione una schiera innumerevole di uomini e una sparuta messe di scrittrici che nei secoli, nella spigolatura che i secoli ci consegnano, hanno cercato nel lessico, nelle tematiche e finanche nel ritmo maschile la propria lingua, di raccontare se stesse e i propri moti più intimi, le proprie vicissitudini, le proprie indicibili fantasie, non è affatto facile, e il risultato lo dimostra. Le voci femminili più note della poesia italiana sono relegate a genere, hanno un territorio segnato in cui muoversi e dire e, spesso, trattando uno dei più alti temi della letteratura (che è il più importante tema della vita), l'amore, si sono dovute accontentare delle metafore che il linguaggio letterario maschile gli forniva o cantare lieve lieve con flebile voce circostanze minime, quasi diaristiche.

Non dovunque si è avuto questo fenomeno, non negli Stati Uniti, la cui autocoscienza femminile ha espresso poetesse celeberrime come Sylvia Plath e Anne Sexton, le due confessionaliste di Alvarez, l'una bardico funambolo di "Fever 103°" o del «great strip-tease» da ribalta di "Lady Lazarus" nel postumo Ariel (pubblicato dalla Faber and Faber nel 1965), l'altra straordinaria voce emancipata che presta la metafora alle verità più intime delle proprie pulsioni quotidiane (All My Pretty Ones, Boston 1962; Love Poems, Houghton Mifflin, Boston 1969). È un peccato che si debbano attribuire etichette quali poesia senza bardo in riferimento alla Cavalli, che peraltro ha spunti e motivi pregevolmente esibiti, o cercare nelle poetesse tragicamente finite come Antonia Pozzi una rilettura garzantiana postuma e suscettibile di sospetti. La voce stessa di Amelia Rosselli, riconoscibilissima, non faceva che rimanere dentro uno spazio tematico neutro, uno spazio in cui poteva muoversi la voce maschile e femminile allo stesso modo, che non scavava e creava un linguaggio femminile alto, non si denudava in quanto voce femminile.