Questa intervista ad Annamaria Franza e Vincenzo Lusa si incentra sul loro recente volume, edito da Alpes Italia, Il Caso Roso. Da uno studio forense la rivelazione del terzo sesso: problematiche legali, antropologiche, criminologiche sul sex and gender. Annarita Franza è professore a contratto di Antropologia presso la Scuola di Scienze della Salute Umana (ex Facoltà di Medicina e Chirurgia) dell’Università di Firenze; dottoressa di ricerca presso l’Università di Pisa, è autrice di diverse pubblicazioni nazionali ed internazionali nell’ambito dell’antropologia, delle scienze forensi e della museologia scientifica. Vincenzo Lusa è avvocato, antropologo, criminologo e docente di Diritto penale presso numerosi atenei universitari; autore e coautore di molteplici pubblicazioni accademiche e di sette monografie a stampa nei vari campi del diritto penale, dell’antropologia criminologica e della criminologia edite sia in Italia e che all’estero, è stato il primo giurista italiano ad essere insignito del titolo di Fellow in Jurisprudence dall’American Academy of Forensic Sciences (USA); è, inoltre, vice presidente dell’Associazione Nazionale Criminologi e Criminalisti, nonché collaboratore pubblicista nella materia del diritto penale per il gruppo editoriale Il Sole 24 Ore.
Doriano Fasoli: Come nasce questo libro?
Annamaria Franza e Vincenzo Lusa: In un caldo e afoso pomeriggio di fine luglio, mentre eravamo impegnati in una ricognizione archivistica da terminarsi prima della pausa estiva. Nel riporre il volume che stavamo consultando, l’occhio è caduto su alcuni documenti che riportavano sul frontespizio un nome alquanto insolito: Roso o Maria Rosa. Abbiamo iniziato la lettura del documento e il resto è storia di carta e inchiostro. Per parafrasare Balzac: il caso è il sovrano legittimo di questo saggio.
Di cosa si occupa l’opera?
Come il titolo suggerisce, Il Caso Roso ricostruisce la vita, la morte e, se ci consente l’ardire, la resurrezione di Maria Rosa Fantini (1764-1839), una sconosciuta filatrice, originaria di Agna, una rocca nei dintorni di Firenze. La straordinarietà della sua vita, che per qualità e quantità di avventure non è da meno alla trama di un film hollywoodiano, racconta di una sensazionale scoperta scientifica: una forma a oggi non identificata di sessualità umana.
Potete spiegarvi meglio?
L’analisi delle fonti che raccontano la vita e la morte di Maria Rosa ha condotto all’individuazione di uno stato intersessuale attualmente non descritto nella letteratura scientifica per variazione anatomica e caratteristiche psicologiche.
Qual è stato il risalto mediatico della scoperta?
Nel 2015, l’American Academy of Forensic Sciences, la massima organizzazione e società scientifica a livello mondiale per lo studio e la ricerca nell’ambito delle scienze forensi, ha ritenuto a tal punto il nostro lavoro così scientificamente rilevante da proporci, nel corso della riunione annuale tenutasi ad Orlando nel 2015, di tenere un seminario a pagamento indetto a numero chiuso, i cui posti sono stati esauriti in pochissime ore. Da lì, la notizia è rimbalzata su oltre 400 testate giornalistiche nazionali ed internazionali. La scoperta è stata poi discussa in Senato nel maggio dello stesso anno ed è stata materia di un documentario monografico a cura della trasmissione Rai Voyager.
In quale ambito scientifico si colloca l’opera?
Nel Caso Roso non abbiamo voluto solo portare all’attenzione del lettore una disamina dei principali studi nel campo dei disordini dello sviluppo sessuale, ma soprattutto invitarlo a riflettere su quanto l’unicità di una vita, spesso misconosciuta, possa gettare un ponte fra passato e presente, costruendo quindi le fondamenta per un futuro più consapevole. L’esame delle fonti archivistiche e giudiziarie contenute nel libro restituisce al pubblico non solo uno spaccato della storia sociale e istituzionale del nostro paese assolutamente inedito, ma porta alla luce tematiche ad oggi assolutamente sottovalutate tanto dagli studi di settore quanto dalla riflessione politica e pubblica come la gestione in ambito carcerario di persone presentanti stati intersessuali, siano esse vittime o carnefici.
Quanto tempo è occorso per portare a compimento il testo?
Possiamo dire che dalla prima epifania alla completa stesura dell’opera sono intercorsi circa tre anni. Il libro racchiude fonti archivistiche inedite, la cui raccolta ha richiesto la disamina di svariati fondi documentari, la cui individuazione non è stata per nulla agevole.
Ricostruire la permanenza terrena di un individuo, infatti, non è cosa semplice oggigiorno nell’età della globalizzazione digitale. Pensate quando le banche anagrafiche e i social diventano, ad esempio, i registri parrocchiali di un’oscura badia, San Giusto ad Agna, perduta nella coltre dell’Ottocento italiano…
Quali materiali sono dunque raccolti?
Materiale documentario inedito e fonti a stampa proveniente da archivi e biblioteche ubicate a Fiesole, Firenze e Bologna. Il libro sottrae quindi all’oblio del dimenticatoio documenti civili, ecclesiastici e forensi di eccezionale valore come la ricostruzione delle due cause di annullamento matrimoniale a cui Maria Rosa fu sottoposta o le note cliniche che il medico Stanislao Preti redasse al suo capezzale. Questo ultimo documento, in particolare, rappresenta un unicum nel suo genere, essendo infatti inframmezzato di riflessioni personali fra cui l’arbitraria decisione di mutare il nome dell’assista da «Maria Rosa» in «Roso», ponendo così in essere, nei confronti di un essere umano, un atto di palese prevaricazione. Sempre lo stesso documento conserva le ultime parole che Maria Rosa pronunciò prima di morire e che rappresentano il lascito spirituale. Ella infatti subendo la mascolinizzazione del suo nome ebbe a dichiarare: «io sono donna, fui donna e morirò come donna.»
In cosa quest’opera diverge dalle altre dello stesso genere?
Il Caso Roso, proprio come la scoperta scientifica che racconta, è un genere che non ha genere. Sotto l’etichetta «caso» fioriscono spesso studi compilativi, caratterizzati da un approccio monodisciplinare e qualitativo, ovvero da un impianto strettamente arroccato attorno ad una unica disciplina (o parte di essa) e che predilige l’accumulo di dati al confronto dialogico. In questo libro, invece, l’utilizzo della metodologia dell’antropologia della storia analizza i documenti raccolti secondo una metodologia comparativa che tratta il documento archivistico come una fonte etnografica, esaminandola all’interno del contesto culturale di riferimento. Le note manoscritte in cui Petri raccoglie l’estremo afflato di Maria Rosa divengono così l’eco di una vera e propria testimonianza, la cui analisi, al posto di un’erudita anticaglia, diviene una problematica tavolozza di riflessione per la scienza e la società contemporanea.
È per questo che l’opera affronta differenti tematiche scientifiche come l’antropologia, la criminologia e la giurisprudenza?
Esattamente. È la metodologia impiegata che apre la possibile e sterile narrazione di una scoperta scientifica all’indagine multidisciplinare. La testimonianza di Maria Rosa che ebbe a dichiarare «io sono donna, fui donna e morirò come donna» evidenzia come fosse esclusiva prerogativa della scienza volerne medicalizzare il corpo all’interno del paradigma binario maschio-femmina. La violenza che su Maria Rosa fu eseguita, a tal punto che il suo corpo non reclamato venne sepolto col nome di «Roso Fantini, maschio, celibe», ci spinge a ripensare il concetto di «violenza di genere» ed i suoi angusti confini.
Qual è dunque il lascito di Maria Rosa Fantini?
Una rivoluzione epistemologica che porta a ripensare le stereotipate immagini proposte dalla letteratura di genere negli ultimi anni. Maria Rosa non ebbe infatti mai a percepire nel corpo come nello spirito alcuna discrepanza, alcun turbamento, alcun moto interiore che potesse indurla ad una vita borderline o a comportamenti antisociali. Due processi per annullamento matrimoniale, l’ultimo dei quali ebbe all’epoca un risalto mediatico così sensibile da portare la perizia medico-legale ad essere pubblicata come trattato scientifico in breve tempo, nonché ad essere dibattuta, come evidenziato in sede di ricerca, ancora nei primi anni del Novecento, le violenze subite nel corso della malattia fatale: nulla poté scalfire la monolitica costituzione identitaria di Maria Rosa come le sue vive parole ancora oggi testimoniano. La biografia umana e scientifica di Maria Rosa Fantini apre così le porte alla riflessione sull’attribuzione sessuale in casi di stati intersessuali, sulla organizzazione e la gestione di tali sindromi in ambito giudiziario e carcerario, nonché punta l’attenzione sulle violenze di genere all’interno ed all’esterno delle strutture sociali odiernamente consolidate, come gli abusi fra le mura assistenziali ed ospedaliere.
Se fosse Maria Rosa a chiudere questa intervista, quale sarebbe la sua ultima dichiarazione?
I più deboli si vendicano. I più forti perdonano.
(Novembre 2016)
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