Alberto Angelini, psicoanalista, ha insegnato Psicofisiologia all’Università La Sapienza di Roma e svolto ricerche presso l’Istituto di Psicologia del Cnr. Diplomatosi in Regia al Centro Sperimentale di Cinematografia, è stato consulente dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e docente di Psicologia clinica presso l’Istituto internazionale delle Nazioni Unite per la ricerca sul crimine e la giustizia (UNICRI). Direttore responsabile della rivista Eidos. Cinema Psyche e Arti visive dal 2004 e direttore vicario della rivista Letteratura e cinema, è autore di oltre cinquanta articoli scientifici e di diversi volumi, tradotti in più lingue. Tra le opere principali di Angelini si ricordano: La psicoanalisi in Russia. Dai precursori agli anni Trenta, prefazione di C. Musatti (1988); Psicologia del cinema, prefazione di L. Mecacci (1992); Pionieri dell’inconscio in Russia (2002); Un enciclopedista romantico. Psicoanalisi e società nell'opera di Otto Fenichel (2009), pubblicati per i tipi Liguori. Psicoanalisi e Arte teatrale (2014) e il recente Otto Fenichel. Psicoanalisi, metodo e storia (2019), entrambi editi da Alpes Italia.
Doriano Fasoli: Dottor Angelini, in quale periodo Otto Fenichel ha esercitato la sua professione di psicoanalista?
Alberto Angelini: Fenichel lavorò, negli anni Venti e Trenta, prima a Vienna, dov’era nato nel 1897, poi a Berlino. Il giovane Otto apparteneva ad una famiglia borghese. Fin dall’infanzia tenne un diario dei concerti e del teatro, tipico oggetto viennese, dove commentava ogni rappresentazione. Dotato di grande ingegno psicoanalitico e di una formazione culturale classica, oltre a svolgere una intensa attività clinica, fu autore di numerosi lavori scientifici. Gli amici sapevano com’egli possedesse una memoria fotografica non solo per le citazioni di Freud, con relativo numero di pagina, ma, ad esempio, per l’intero orario ferroviario europeo. Le sue proposte psicoanalitiche, tuttavia, sono basate sulla novità e profondità dei concetti avanzati e non sull’accumulo dei dati. Nel 1938 si trasferì negli Stati Uniti, dove esercitò la psicoanalisi in California fino all’anno della sua scomparsa, il 1946. La morte prematura impedì al suo pensiero di svilupparsi pienamente.
Qual è l’attualità del suo pensiero?
Fenichel considerava come valori non solo scientifici, ma addirittura etici, la razionalità e l’aspirazione al rigore metodologico. Egli, già negli anni Trenta, percepiva l’incombere, sul movimento psicoanalitico, d’idee antirazionaliste e antilluministe. In epoca contemporanea assistiamo ad un attacco alla razionalità, non solo in ambito psicoanalitico, ma in generale, su più fronti, socialmente e culturalmente. Fatta salva la casistica clinica che comunque possiede sempre una sua grande utilità riguardo al metodo, nella psicoanalisi, con il dilagare del pensiero bioniano, si è scivolati verso la metafisica, escludendo la dimensione di filosofica realtà che il pensiero psicoanalitico dovrebbe avere per aspirare ad uno statuto scientifico. Per altri versi sono addirittura ridicoli i criptolinguaggi di discendenza lacaniana, la cui sofisticata complicazione linguistica non trova motivi di sostegno. Anche il banale empirismo psicoanalitico, pur utile, non offre solidità di metodo. Chi, opponendosi a tutto ciò, volesse cercare le fondamenta metodologiche della psicoanalisi appellandosi ai neuroni e al cervello andrebbe incontro ad analoghe difficoltà di principio, su un altro versante. Infatti la strada del meccanicismo materialista si è sempre scontrata con le enormi diversità degli esseri umani. I cervelli, anatomicamente, sono uguali in tutto il pianeta, ma le persone no. Gli esseri umani sono profondamente diversi, per tutto ciò che riguarda le funzioni psichiche superiori, come il linguaggio, l’attenzione, la memoria e altro.
Ciò avviene anche per le regole di comportamento indicate dal Super Io. Queste differenze non sono dovute a diversità anatomiche o neuronali. Provengono dalla storia e dalla cultura in cui gli individui crescono. Filosoficamente, si può cercare una base materiale per la psicoanalisi anche senza appellarsi ai neuroni. Questo è il grande insegnamento del russo Lev S. Vygotskij, che fece parte del movimento psicoanalitico e, a suo tempo, dovette combattere contro la moda dei riflessi condizionati pavloviani. La storia umana è materiale, anche se non la tocchiamo con un dito. Tutta l’evoluzione della coscienza e, probabilmente, anche di certi aspetti del non conscio è determinata dall’ambiente storico e culturale in cui l’individuo nasce e cresce. È lì e nei percorsi educativi individuali, come diceva l’amico e allievo di Vygotskij, Aleksandr R. Lurija, che dobbiamo cercare l’origine di quel che si definisce personalità. Sul piano dei concetti, si fa appello non al materialismo, ma al realismo filosofico. Tutto ciò va visto come un ritorno, di cui si sente il bisogno, alla dimensione di razionalità e scientificità nella psicoanalisi. Fenichel è attuale per aver sostenuto questa cristallina posizione e, probabilmente, proprio per questo è stato trascurato. La strada del ragionamento scientifico non consente illusioni o scorciatoie e può non essere agevole. Ma beate siano le idee chiare e distinte, rispetto al caos contemporaneo.
È una figura a tutt’oggi molto riconosciuta?
Fenichel è noto e apprezzato nella storia del movimento psicoanalitico, ma non è valorizzato come meriterebbe. Personalmente, non parlo contagiato dalla solita sindrome dello studioso che s’invaghisce di un autore minore e vuole portarlo alla ribalta. Fenichel scrisse il più noto, sul piano storico, Trattato di psicoanalisi, sulle cui pagine si sono formate generazioni di psicoanalisti. Oltre alla clinica, però, è fondamentale il suo vasto interesse, come psicoanalista, per le più diverse manifestazioni della cultura e della società umana. Scrisse saggi di tipo filosofico e di argomento politico, occupandosi perfino, sempre dal versante psicoanalitico, della psicologia della recitazione e dell’attore. Intraprese un contenzioso con Erich Fromm, contestando la debolezza metodologica di alcune sue posizioni. In gioventù fu molto attratto dalla filosofia marxista del materialismo dialettico e tale impostazione scientista e razionalista, attenta ai problemi fondamentali del metodo, si manifesta in tutte le sue opere. Nella psicoanalisi contemporanea, minacciata dall’irrazionalismo metodologico, le opere di Fenichel rappresentano un valido punto di riferimento.
Quali furono i suoi legami con Wilhelm Reich?
Wilhelm Reich e Otto Fenichel erano nati nello stesso anno, il 1897. La loro amicizia, nella giovinezza, fu intensa e turbolenta, sempre dominata da rivalità e delusioni. Si mantenne intatta fino all’emigrazione negli Stati Uniti, per trasformarsi, infine, in un rifiuto reciproco. Entrambi appartennero alla seconda generazione degli psicoanalisti freudiani ed entrambi si appellarono al marxismo, o meglio al materialismo filosofico, nella ricerca dei fondamenti metodologici della psicoanalisi. Non sono importanti i limiti di questo tentativo, che acquisisce il giusto significato solo quando viene inserito nel suo contesto storico. Contano gli obiettivi comuni che entrambi, per un certo tempo, perseguirono. Lavorarono assieme, prima a Vienna, poi a Berlino, negli stessi anni in cui il nazismo assumeva il potere. È poco noto ma agli esordi, quando tutto sembrava possibile e la scure della storia che conosciamo non si era ancora abbattuta sugli entusiasmi e sugli ideali, addirittura le organizzazioni giovanili di destra erano sensibili ai discorsi sulla “libertà sessuale” avanzati da Reich. A Berlino, Fenichel assieme a un manipolo di colleghi come Karl Abraham, Franz Alexander, Max Eitingon, Ernst Simmel, Melanie Klein, Karen Horney e altri, poi passati alla storia tra i più importanti psicoanalisti del Novecento, organizzò un policlinico psicoanalitico che riceveva tutti e curava tutti gratuitamente.
Ciò avveniva in una Germania che, a quel tempo, era il centro culturale del mondo, ma era sconvolta dalla crisi economica e dal nazismo, dove il solo fatto di essere ebrei costituiva già una grande rischio. Si pensi che gli ebrei della Società Psicoanalitica Tedesca chiesero di essere trasferiti dall’elenco dei soci ordinari nella lista degli ospiti, per evitare problemi con le autorità naziste, alla loro istituzione. Ovviamente non servì a nulla; l’associazione tedesca scomparve e la sede fu acquisita dal cugino di Hermann Göring che dichiarava di occuparsi di psicoterapia. Comunque, il Policlinico psicoanalitico è divenuto un esempio per le società psicoanalitiche di tutto il mondo, che, in vari modi, hanno rielaborato e riproposto quell’esperienza. L’impegno di Fenichel per la clinica fu sempre costante; egli sosteneva che se la psicoanalisi non avesse cercato verifiche cliniche, per quanto andava elaborando, i suoi risultati sarebbero stati dello stesso ordine di una professione religiosa: basati sulla fede. Contemporaneamente, una clinica priva di una teoria metodologicamente fondata avrebbe potuto sostenere qualunque cosa, comprese le pure opinioni.
Nello stesso anno, il 1934, Wilhelm Reich fu espulso sia dalla Società Psicoanalitica Tedesca, sia dal Partito Comunista. Gli psicoanalisti lo consideravano un pericoloso estremista, mentre i compagni comunisti lo vedevano come un borghese corrotto, perché si occupava di sessualità. Da allora in poi, Reich avrebbe iniziato a cercare di individuare, fisicamente, il corrispettivo della libido freudiana. Voleva trovare qualcosa, nella realtà materiale, che corrispondesse alla libido e, a un certo punto, sostenne di aver scoperto una mitica particella energetica, che chiamò «orgone» e che indicava la presenza della libido negli organismi biologici. Anche questo è un esempio dell’errore metodologico che si può commettere quando si pensa che qualcosa è reale solo se si può toccarlo con un immaginario dito. L’allontanamento tra Fenichel e Reich corrisponde a questo periodo. Otto Fenichel, scienziato classico, non condivideva le posizioni di Reich, valutandole poco fondate, e temeva che l’amico, in un modo tutto suo, stesse imboccando una strada priva di vero raziocinio.
Fenichel visitò la Russia sovietica, poi si trasferì negli USA: che tipo di accoglienza ebbe?
Sia Fenichel, sia Reich, a cavallo degli anni Trenta, visitarono l’Unione Sovietica. Reich, essendo iscritto al Partito Comunista di Germania, fu, addirittura, ricevuto dall’Accademia delle Scienze di Mosca. Ovviamente, i suoi discorsi sulla libertà sessuale non solo non convinsero, ma scandalizzarono gli austeri accademici sovietici, che presero, rapidamente, le distanze. Sempre in URSS, a Fenichel, in un diverso periodo, fu fatto visitare un riformatorio modello per giovani criminali. Tornato in Germania, scrisse un articolo elogiativo su tale istituto che, probabilmente, funzionava da ‘vetrina espositiva’ per tutti i visitatori stranieri filosovietici. Poco tempo dopo, la psicoanalisi sarebbe divenuta bersaglio per feroci critiche da parte degli intellettuali russi allineati. Gli psicoanalisti che, fatto poco noto, nei primi anni della Russia sovietica erano numerosi, sarebbero stati accusati di trotskismo e indotti, per evitare ritorsioni, a disperdersi. In seguito, perfino una risoluzione del Comitato Centrale del Partito Comunista Sovietico avrebbe condannato la psicoanalisi, assieme alla teoria della relatività e alla biologia molecolare, come “scienza borghese”. Tuttavia, per circa un decennio dopo la rivoluzione, fra il 1917 e il 1927, il movimento psicoanalitico fiorì rigogliosamente in URSS. Furono fondate due società psicoanalitiche: a Kazan' e a Mosca, dove già esisteva un nucleo di psicoanalisti ancor prima della rivoluzione.
Nel “decennio psicoanalitico” grandi personalità della psicologia russa aderirono alla psicoanalisi. Soprattutto va ricordato Lev Vygotskij, il ‘Mozart della psicologia’ del Novecento, che concepì il metodo «storico-culturale» per comprendere la formazione delle attività psichiche superiori e della coscienza. Egli fece parte dell’Istituto psicologico L. G. Šukina di Mosca e si occupò, non occasionalmente, di psicoanalisi. Purtroppo, in Occidente si iniziò a conoscere e a tradurre l’opera di Vygotskij solo nella seconda metà del secolo scorso. Lurija, i cui scritti erano sicuramente noti ai colleghi tedeschi, fu segretario dell’Istituto psicologico moscovita. Sia Fenichel, sia Reich, a volte anche esagerando, furono influenzati, sia pur indirettamente, dal pensiero degli psicologi sovietici. Il rigore metodologico di Fenichel, la sua esigenza di fondare realisticamente e scientificamente le idee psicoanalitiche corrispondono, pienamente, ai concetti e al tipo di ricerche che impegnavano, in quegli anni, gli psicologi sovietici. Probabilmente, Fenichel e Reich conoscevano, anche direttamente, alcuni lavori degli psicoanalisti russi, ma non avrebbero potuto mai citarli nei loro lavori editi in Germania. Nella società nazista, valorizzare idee provenienti dalla realtà sovietica, o dal mondo ebraico, significava correre grossi rischi. Anzi, a un certo punto divenne pericoloso citare lo stesso Freud. Al progressivo avvento del nazismo corrispondeva un sistematico impoverimento della precedente e ricca, sia pur confusa, cultura di Weimar. In qualche occasione, i libri di Freud furono bruciati pubblicamente. Non c’era più spazio per la psicoanalisi, figurarsi per le idee provenienti dalla Russia dei soviet. Più o meno nello stesso periodo, sia Fenichel, sia Reich presero la via dell’esilio e, dopo varie peripezie, entrambi emigrarono in America.
Quando Fenichel, nel 1938, si trasferì negli USA, questo retroterra ideologico, scientista e progressista, proveniente dalle sue ricche esperienze giovanili europee, non venne recepito dal rigido e conformista mondo psicoanalitico americano, che pensava al socialismo sovietico come a un prodotto diabolico. I contributi di Fenichel, di tipo politico e sociale, vennero rimossi e taciuti, anche se grande spazio ebbero i lavori relativi alla clinica e alla tecnica psicoanalitica. Fu accantonato un periodo fecondo nell’impegno intellettuale di un eccezionale pensatore. Il Trattato di psicoanalisi (1945) conquistò il rango di un modello della più classica formazione psicoanalitica, ma la promozione della razionalità e del metodo scientifico, in psicoanalisi, furono sottovalutati. Psicoanaliticamente, questa non è nemmeno una sorpresa: gli individui, ma anche gli organismi sociali, rimuovono e dimenticano quel che va contro i loro desideri più immediati, diretti e comodi. Storicamente però, per quanto riguarda Fenichel, ciò costituisce una grande mancanza di rispetto verso la collocazione di questo autore, nella storia del movimento psicoanalitico e una ingenua carenza nei riguardi di quelle idee attuali e forti, che potrebbero molto arricchire la psicoanalisi contemporanea.
Com’è articolata questa raccolta Otto Fenichel. Psicoanalisi, metodo e storia da lei curata per Alpes? Quali lavori contiene?
In questo volume si cerca di raccogliere i maggiori articoli scientifici di Otto Fenichel. Nella magica atmosfera della Repubblica di Weimar, ricca di nobili illusioni politiche ed esistenziali, egli si dedicò allo studio, in ambito psicoanalitico, delle questioni metodologiche, storiche e sociali. Si va da un articolo giovanile, del 1923, in cui Fenichel cerca di separare la psicoanalisi dalla filosofia metafisica, ad uno dei suoi ultimi lavori, del 1946, il cui intento è collocare l’opera di Freud nel quadro più vasto della storia della scienza. In mezzo ci sono scritti che indagano sulla politica, sulle scienze sociali e su alcuni aspetti teorici della psicoanalisi. Un discorso a sé merita un articolo del 1934 che rappresenta il “manifesto di adesione” di Fenichel al materialismo dialettico marxista e la polemica, del 1944, con Erich Fromm sul libro, di quest’ultimo, Fuga dalla libertà. Queste opere illustrano lo sviluppo del complesso percorso mentale fatto dall’autore, evidenziando le progressive differenziazioni del suo pensiero.
Nel saggio introduttivo, da me redatto, che conta una ottantina di pagine, si cerca di mettere in risalto l’attualità dell’autore, il suo entusiasmo civile oltre che scientifico e la sua avversione per le fatue chiacchiere, imbevute di termini psicoanalitici ad effetto, senza garanzie di scientificità. Questa ‘aria fritta’ profumata di psicoanalismo, ma lontana dalla psicoanalisi, imperversa oggi, come nella prima metà del secolo. È interessante constatare che Fenichel conosceva la situazione della psicoanalisi in Italia, con i pionieri Marco Levi Bianchini ed Edoardo Weiss, che stimava e di cui narrò le paradossali peripezie con le autorità fasciste. Inoltre aveva letto Ignazio Silone e lo considerava, per la sua opera letteraria, un buon cultore della psicoanalisi. Esemplare la sua posizione metodologica che, pur senza possedere la trasparenza del pensiero eminente di Lev Vygotskij, riecheggia le idee dello psicologo sovietico e del suo mondo. Purtroppo non abbiamo, a tutt’oggi, prove storiografiche in grado di confermare un qualche diretto contatto fra queste due personalità scientifiche. Fenichel ha molto da insegnare alla psicoanalisi contemporanea. Per tutta la vita, nei cenacoli ideologicamente settari e tempestosi del movimento psicoanalitico, mantenne una sua indiscussa autonomia di pensiero, rispetto al metodo e alla teoria. Nella sostanza delle sue idee si scopre, anche ai giorni nostri, un eccezionale equilibrio che gli permise di percorrere il crinale della teoria psicoanalitica della mente, senza precipitare nei due baratri metodologici gemelli: l’anima da una parte e il cervello dall’altra. La scomparsa prematura non gli consentì di sviluppare, pienamente, queste sue concezioni e intuizioni.
I lavori contenuti nella raccolta aspirano a rendere giustizia scientifica e personale all’entusiasmo di un uomo che, per una stagione della sua giovinezza, credette, generosamente, di poter comprendere e migliorare la società anche con gli strumenti offerti dalla psicoanalisi.
(Settembre 2019)
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