Doriano Fasoli. Foto di Roberto Canò. Roma 2019. |
Il nuovo libro di Doriano Fasoli, Finestre sulla memoria (Alpes, Roma 2022, pp. XII-157), è in parte, come il precedente Derive, costellato dal ricordo di molte esperienze personali, in cui l’ispirazione poetica – poesie in prosa anche queste – avvolge il lettore, specie quello coetaneo dell’autore – in una nube di malinconica nostalgia per un tempo irrimediabilmente perduto. A questo ordine tematico appartengono, ad esempio, i ritratti di Giovanni Macchia ed Enrico Guaraldo, l’addio a Gianni Celati, i «Frammenti di un dialogo amoroso», i ricordi del Filmstudio a Via degli Orti d’Alibert, dove andavamo tutti alla fine degli anni ’60 (nessuno dimenticherà mai il grido «americani a casa!» – uno degli slogan del Movimento studentesco – lanciato dal fondo della sala da Massimiliano Fuksas, durante la proiezione di Lonesome Cowboys di Andy Warhol, alla vista dell’ennesima fellatio), Jeanne, o la contadina del Caso fortuito. E ancora, il lirismo di Sempre più solo e vinto, Giornata di sole, Breve nota sull’imbecillità, Due donne, e di quasi tutta l’intera sezione «Impressioni di orizzonti», di cui segnalo, in particolare, Parigi, o cara (pochi soldi, i libri trafugati e nascosti nel giubbotto, e la lunga sfilata di mostri sacri, Henry Miller e Céline in testa, che aveva vissuto nella mitica Parigi dell’immaginario europeo) e Al mattino, in cui sembra riecheggiare il finale del monologo di Molly nell’Ulisse di Joyce.
Ma, oltre a questo, dal libro emerge un tema cruciale per tutta la modernità: che cosa succede quando il sapere fallisce completamente i suoi scopi, e diventa solo erudizione? «Ho studiato filosofia, – diceva il Faust di Goethe in apertura della sua tragedia – medicina, teologia, da cima a fondo, e con tenace ardore, e mi ritrovo a saperne quanto sapevo prima. Anzi, ho finito per accorgermi che non ci è dato di sapere nulla di nulla». Lo scetticismo di Fasoli sul valore conoscitivo della cultura filosofica e scientifica prese nel loro insieme è abbastanza simile a quello di Faust, e questo si avverte già dalle prime pagine del libro, «La valle dell’ombra» e «Essere o non essere» (il famoso dilemma di Amleto), in cui svaniscono tre pietre angolari della nostra esistenza, Io, Dio e l’Essere. Doriano è un uomo di ampie letture, perché è un individuo curioso, nel senso più nobile del termine, e la sua conoscenza della cultura sia antica che moderna è molto vasta. Cominciando dal cogito ergo sum di Cartesio, le pagine di Finestre sulla memoria offrono al lettore una galleria di temi e di personaggi che non ha nulla da invidiare a quanto possiamo apprendere da una enciclopedia del sapere. Bertrand Russell, Heidegger guardiano dell’Essere, il topo di Schrödinger, la lettura manichea della vagina, il suicidio di van Gogh, Carmelo Bene e Artaud, Foucault in California nella Valle della Morte, col Marchese de Sade ideale compagno, le Baccanti di Euripide, il Concilio di Nicea, Gadda e Roscellino – sintomatico questo accoppiamento –, la difficoltà di scrivere usando parole che non ci appartengono, perché hanno già una loro storia (ancora Foucault), le oscure radici del sacrificio – tema comune, per motivi diversi, al Burkert di Homo necans e a Bataille –, Libertà e Necessità, Alice attraverso lo specchio letta da Lacan, il mistero del corpo, della sua nascita e della sua morte, e quindi la sua costante esposizione al pericolo, la Rivoluzione scientifica che ci ha tragicamente “spiazzati” (il tema centrale di John Donne e del Controrinascimento), le tragedie di Euripide, etica e scienza, Aristotele e la babele delle lingue, sull’anima, le Memorie del sottosuolo di Dostoevskij, le mosche, esseri tutt’altro che irrazionali (grazie ad esse è stato scoperto il principio di reafferenza), il Libro e la tela di Penelope, post coitum tristitiam, lo Stige e Caronte, l’ottuso moralismo del “politicamente corretto”, Deleuze, Spinoza e la tirannia, il daimon, fisici e filosofi, elogio dei sensi, la vecchiaia e il suo mistero, ultimo capitolo del più grande mistero di vivere.
Alla fine di questa lunga carrellata, come in Bouvard e Pécuchet di Flaubert, ci attende sogghignando non il sapere, ma il non sapere della tradizione scettica, da Sesto Empirico a Hume, passando per Cicerone, Montaigne e La Mothe Le Vayer. «Non c’è nulla che si nasconda dietro i termini che usiamo o crediamo di usare, i rumori della lingua valgono solo per se stessi». Private del sapere, le parole precipitano l’una sull’altra, come gli input di HAL 9000, il cervello elettronico di Odissea nello spazio di Kubrick, quando David, l’unico sopravvissuto alla ribellione dello stesso, lo disattiva pezzo per pezzo, trasformando la sua memoria universale in una filastrocca di bambini priva di significato.
La Cultura nel senso pieno del termine, quello che tradizionalmente ne faceva l’espressione di profonde Verità su Dio, il Mondo e il posto del Genere Umano all’interno dello stesso, nel libro di Fasoli si presenta malinconicamente per quello che, a partire dalla crisi del mondo moderno – di cui non è facile indicare un inizio preciso –, essa è diventata: mera erudizione ovvero gioco che, come tutti i giochi, dal tresette agli scacchi e a tutto il resto, trova il proprio fondamento e le proprie regole in se stesso, ignorando il problema del suo significato complessivo all’interno di quello che potrebbe essere solo un gioco più grande.
La nostra condizione di bipedi implumi privi di tutto l’armamentario naturale di altre razze animali, rappresenta, da sola, un motivo di grande preoccupazione, che ci spinge a inventare continuamente strumenti di sopravvivenza che, proprio per il fatto di complicarci la vita, ci distolgono quotidianamente dalla ricerca del significato delle cose. Ma ha poi senso porci un problema che la cultura – come dimostra il nuovo libro di Fasoli – non è riuscita a risolvere? Penso – e credo che Doriano sia d’accordo – che, nonostante tutto, sia giusto continuare a cercare. I misteri che ci circondano sono troppi, e rappresentano uno sfida che non ci permette di guardare altrove.
(Maggio 2023)
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