13 maggio 2023

«L’oggetto d’amore in Pierre Bonnard» di Nicola D’Ugo


Pierre Bonnard. Nudo davanti a uno specchio. 1931.


Pierre Bonnard è stato uno dei maggiori pittori fra l’Otto e Novecento. Quello che vorrei raccontare in queste poche righe è il meccanismo con cui, nella sua pittura, rappresenta l’oggetto d’amore. I suoi dipinti memorabili, di quelli di cui, se ce ne s’innamora, è poi difficile che l’amore vada perduto con il tempo, sono talmente intrisi di luce che non si sa bene se sia la luce esterna al dipinto a illuminare la scena o quella interna. Dato che, se guardiamo un dipinto al buio, non vediamo che il buio, viene da sé che è la luce esterna, ossia quella in cui è collocato il dipinto, a illuminarne i colori. Eppure, guardando i suoi quadri, sembra che la luce venga dall’interno del quadro, da una finestra o altro; che, insomma, l’artista abbia riposto la luce nel dipinto come per magia. Tale effetto magico, nella storia dell’arte, si chiama impressionismo. Gli impressionisti dipingevano all’aria aperta e cercavano di cogliere gli effetti di luce come li percepivano, talvolta a sprazzi, e i colori che attraversano le loro tele sono talmente pervasi di luce da rendersi variegati e vividi come mai prima era apparso in pittura. Un libro che racconta la giornata tipo dell’impressionista Monet che si alzava la mattina presto per dipingere all’aria aperta si intitola Light (luce, appunto), un breve e intenso romanzo scritto da Eva Figes nel 1983 (non credo sia uscito in italiano).

 

Ma Bonnard non è un impressionista. La luce che diffondono i suoi quadri, anziché sorgere da esigenze di pura rappresentazione, è impiegata come una tecnica, come un elemento che serve una rappresentazione più intensa dell’uomo. L’intensità dell’impressionismo è, se vogliamo, esternamente musicale, rivolta a cogliere l’impressione della luce sull’occhio; quella di Bonnard è, come è stato già detto altrove, della pura memoria, ossia come elaborazione che la mente fa della luce e degli oggetti. Prendiamo un suo dipinto: Il nudo davanti a uno specchio (1931). Che cosa ci racconta Bonnard attraverso questo dipinto? L’oggetto d’amore, la sua donna colta dallo sguardo in un momento della sua esistenza, in un luogo intimo, in cui, cioè, non si preoccupa d’essere vista da occhi indiscreti. Se osserviamo il nudo della donna, ne cogliamo senz’altro la figura ben disegnata, dai calzari ai capelli. Ma se andiamo sul dettaglio, sulla schiena, per esempio, sui glutei o sul retro delle braccia, questa bella figura femminile perde qualsiasi compattezza della forma, può effettivamente essere una bella donna o una donna non proprio bella, e il suo viso è un profilo abbozzato di qualsiasi donna. Bonnard ha dipinto un nudo, ma non lo ha esposto. Avrebbe potuto indicarci dei dettagli, ma è riuscito a vestire una donna, a renderla solo una figura. Tutto quello che ci racconta è l’intimità di una donna in una stanza che si guarda allo specchio. Il resto della stanza c’è, ma è fuori scena: a destra, a sinistra della donna, dalla parte dell’osservatore. Nello specchio vengono riflessi vari oggetti, anzitutto un tavolinetto che vediamo due volte: nella stanza e nello specchio. Ma nello specchio non vediamo il viso della donna. La figura stessa, centrale nell’inquadratura del dipinto, non è centrale fra gli oggetti. Infatti le suppellettili sono riposte in un ordine piuttosto casuale. V’è addirittura una sedia dietro le gambe della donna che quasi la tocca. La sedia è rivolta verso di noi e non verso lei: non è lì perché sia impiegata dal personaggio.


Questo è quello che avviene nella quotidianità, in cui una persona dentro casa si muove a proprio piacimento, ma senza che gli oggetti si spostino automaticamente per essere impiegati.

 

Gli oggetti sono disposti a loro modo e basta, e la donna non si è messa in posa per il pittore. La spontaneità dell’ambientazione ce la rende intima, come se guardassimo la donna seduti su una sedia o sdraiati sul letto. E lei si offre al nostro sguardo senza sfuggirci, con una dignità propria, e ci ammette alla sua intimità: siamo parte di lei, della sua vita.

 

Questa è una donna che amiamo, senza orpelli, giarrettiere o altro. E non è la donna di Bonnard. Il fatto di non aver delineato i tratti femminili in modo deciso contribuisce a permetterci di vedere in lei la nostra donna. Bonnard sapeva bene che noi non amiamo una forma femminile in quanto tale, ma diamo sostanza, contenuto, a una forma che ci ha manifestato la propria interiorità. Bonnard accentra il discorso pittorico proprio su questo, e ci racconta la favola dell’amore quotidiano, non l’epopea e il dramma delle passioni d’amore. Solo dentro di noi sappiamo quanto è straordinaria una donna che per altri non è più che una figura, magari carpita nel dettaglio, affascinante ma non amabile. Questo discorso di Bonnard sull’amore vale per ogni tempo, anche per oggi, non solo per l’inizio del secolo scorso. È una dimensione erotica dell’uomo, ossia immaginativa.

 

Ma ciò che ricopre in qualche modo la donna, il nudo-non nudo di Bonnard (che poi è il vero e solo nudo dell’amore, anche quello più passionale, in cui tutto pare etereo e intriso di una piacevole nebbiolina, tutto il contrario del porno) è avvolto in una atmosfera di luce rosa e arancione.

 

La pelle della donna è rosa e arancione, ma anche le sedie e il tavolino sono rosa e arancioni. Il colore si è diffuso su tutti gli oggetti, conferendogli una ‘atmosfera’ cromatica, in cui ogni particolare rimanda all’altro, e ognuno, senza l’altro, smette di acquisire il suo sapore. La testolona insignificante della donna, che pare una palla o una maschera per nulla piacevole, e in cui anche i capelli sono arancioni (oltre che castani), annulla ogni biografia, ogni riferimento personale.

 

Com’era la donna di Bonnard? Non è questa la domanda a cui Bonnard risponde. Mitizzare la propria donna per lui avrebbe significato smettere di parlare del vero oggetto d’amore e avrebbe decantato il proprio oggetto d’amore (le sue labbra, i suoi occhi, i suoi seni) con dettagli che in arte sono del tutto insignificanti rispetto al tema dell’amore. Pensiamo alle istantanee, alle foto di famiglia o in gita: le persone a noi care che ci illuminano di sentimenti piacevoli risultano del tutto indifferenti allo sguardo degli altri.

 

Non volendo idealizzare la donna, Pierre Bonnard non cade nella trappola di credere che ciò che è il suo oggetto d’amore sia nella fisionomia. La sua magia pittorica e il suo scarso interesse per l’idealizzazione della bellezza raccontano l’amore oltre la bellezza dei canoni, e toccano la memoria individuale di chi guarda i suoi dipinti. Con la grazia che gli è propria, ha vestito un nudo di luce, ma lo ha lasciato nudo a imbeversi dei colori del giorno. Dov’era prima e dove sarà in seguito la donna dipinta sta a chi guarda il dipinto scoprirlo. Ognuno ha la propria donna: si ricordi se vuole – suggerisce Bonnard – di riconoscere da dove viene l’amore che circonda qualsiasi figura che ci innamora.

 

Nicola d’Ugo

 

(Notizie in… Controluce, n. IX/6, giugno 2000, p. 20)

 

 

 

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