27 marzo 2023

«Quattro prose da ‘Finestre sulla memoria. Dissolvenze e sovrapposizioni’» di Doriano Fasoli



 

È per un'opera come Finestre sulla memoria di Doriano Fasoli che un comune, anonimo lettore quale sono, avverte l'impulso di uscire dall'anonimato. Ogni lettera, ogni parola non sono nero segno alfabetico, sono indici di cose potenti che mi hanno fatto sentire una voce: la voce dell'essenzialità di ciò che più conta in noi e di noi fra gli altri. Le Finestre di Doriano Fasoli si aprono su squarci autobiografici e biografici (di Giovanni Macchia, di Celati), poi appaiono intermittenze filosofiche (Heidegger, Deleuze, Foucault ecc.), psicanalitiche (Freud, Lacan ecc.), antropologiche (Girard); riflessi letterari (Flaubert, Celati, Hölderlin, Rimbaud ecc.), cinematografici (Kurosawa, Scorsese), figurativi (van Gogh, Rembrandt), musicali (Rimskij-Korsakov, Coltrane) e quant'altro affondi nell'humus della Vita e della Morte, del Bene e del Male, del Divino, della Libertà, del Tempo, cioè i temi ineludibili della chiaroscurale esistenza umana (l'uomo «è punto d'incontro tra buio e luce», p. 20). Il tutto amalgamato in un periodare denso, per rimandi e balenii, talora consapevolmente sfuggenti, perché «ogni autore calamita solo lacerti, frammenti adatti alla propria calamita» (p. 57) e il linguaggio è un'alchimia che parla «pure come assenza, ma non è mai totalmente silenzioso» (p. 28). Forse, può chiedersi il lettore, devo allora cercare le «pietre rare delle parole nascoste»? (p. 7) Vale a dire il significato che si annida fra le viscere di ogni frase per sanare, o cercare di sanare, qualche dubbio che mi tormenta? Sbaglierebbe. Per citare Seferis, le parole mantengono la forma dell'uomo, nel quale «senso e non senso sono inseparabili», e perciò si deve dubitare di «ogni conclusione convinta di comunicare il vero». Se è vero, come credo lo sia, che «è di risposte che muore l'uomo» (p. 107), non resta che il dialogo sincero e orizzontale con le domande di senso. Insomma, il lettore farà «d'ogni riga profitto» (p. 57) se ascolta la sinfonia delle domande a strapiombo sull'essere umano composta dall'autore, se entra e permane nello spazio dell'interrogativo e si arrende a esso nella speranza di accendere «luci nella valle dell'ombra» (p. 3). Non si autoassolva e non cerchi consolazioni. Non nella Storia, che «nulla insegna, non tanto perché demente quanto perché eminenti cretini sono stati suoi scolari» (p. 43), non nella scrittura perché non arriverà mai a una conclusione, non nella memoria, dal cui affresco cadono «larghi pezzi e le lacune ti provocano con la loro cecità». Doriano Fasoli ha regalato al lettore un libro antidoto e un libro telescopico: l'antidoto contro il consumo bulimico delle semplificazioni e telescopico nel senso della similitudine di Francesco Algarotti. Parafrasandolo, direbbe che quest'opera nel tempo sarà come un telescopio nello spazio: «così l'uno come l'altro avvicinano gli oggetti lontani» (dalla lettera «Al padre Giambattista Roberti, della Compagnìa di Gesù, a Barbiano. Sopra le comparazioni.»)

 

Marco Quarin

 

(Marzo 2023)

 


 

GIALLO MISTICO

 

Che cosa resta della vita di un uomo se lo si priva della notte? 

 

Domenica 27 luglio 1890. van Gogh si incammina per i campi intorno a Auvers e si spara nel petto. L’arma non è stata mai trovata. Praticamente non ci sono indagini. Si tratta, in fondo, di un povero pazzo, epilettico nei lobi frontali, con un orecchio in meno in quanto dopo averlo tagliato l’ha donato a una prostituta. Forse ha anche la sifilide. Forse aveva acquistato il revolver (ma era un revolver?) qualche giorno prima a Pontoise? 

 

Ma quando, da chi e quale tipo d’arma era stata comprata? Con quali soldi? Era un temperamento a volte irritabile, ma bruciava di un ardore religioso, quasi mistico. La sera dello stesso giorno Vincent era tornato a piedi, da solo, verso le nove, alla locanda Auberge Ravoux. Il proprietario dell’albergo chiama il medico, conoscente del pittore, il dott. Gachet, piccolo collezionista d’arte e un altro medico, il dott. Mazary, che non verrà. Gachet si affretta a mandare un biglietto al fratello di Vincent, Theo, a Parigi, scrivendo: “Si è ferito da solo”. Spiegazione non richiesta e quasi giustificativa. Quindi Vincent era rientrato senza proferire parola, poi sarebbe salito sulle scale fino alla sua camera. La moglie del locandiere racconta di aver sentito dei gemiti e insospettita era entrata nella stanza trovandolo sanguinante nel letto. Gachet lo benda, ma non pensa neppure per un attimo di estrarre la pallottola. Testimonianze affermano che van Gogh è tranquillo. Fuma persino la pipa. E poi perché Gachet chiede a Vincent l’indirizzo di Theo, quando c’era una vecchia corrispondenza tra i due? van Gogh si rifiuta di darglielo. 

 

Nove o dieci giorni prima Vincent aveva scritto a Theo che sul dott. Gachet “non bisogna assolutamente contare”. Certo, come medico Gachet si è mostrato totalmente inaffidabile, dato che si limita alla sola fasciatura, senza preoccuparsi della ferita. Vincent è sereno. Il proiettile è entrato dall’alto nel petto, sopra il cuore, evidentemente producendo un’emorragia polmonare, ma non così devastante, visto che morirà all’una e trenta del 29; esattamente dopo ventotto ore e mezza dal rientro in albergo. Più volte si era lamentato, nella corrispondenza con il fratello, del dott. Gachet. Qualche giorno prima, testimonianza del figlio di Gachet, era avvenuta una lite furibonda tra il medico e il pittore, a proposito di una cornice di un quadro appartenente al dott. Gachet. Forse l’ultimo quadro dipinto è Campo di grano con corvi. 

 

Questi i fatti essenziali che la storia ci ha tramandato.

 

C’è qualcosa di irrisolto in questa morte?

 

Nel 1990, cento anni dopo, esce nelle sale il film Sogni di Akira Kurosawa, diviso in otto episodi. Nell’episodio dal titolo Corvi, il regista, che cammina in un campo di grano, incontra il suo alter-ego van Gogh, interpretato da Martin Scorsese, che ignora le domande del regista e si dirige imperterrito verso quella immensa distesa di grano e svanisce. Si sente un colpo di pistola che fa innalzare un nugolo di corvi e il regista si ritrova a fissare il quadro Campo di grano con corvi, in cui sognando era entrato a passeggiare. 

 

Neppure Kurosawa ha sciolto il mistero, pur essendo il mistero dinanzi a lui nel quadro, perché è quasi impossibile ascoltare l’abisso senza fondo di quel campo di grano, da cui sale il mormorio cupo della catastrofe. 

 

Per Artaud, ormai in cura manicomiale, nel suo libro sul suicidio di van Gogh, “l’inondazione dei corvi neri” non è il suicidio di Vincent, ma il crimine nero organizzato che ci governa. 

 

Eppure, van Gogh l’aveva scritto: “La vita in astratto è già un enigma; la realtà la rende un enigma dentro un enigma”. Per poi precisare meglio: “la tristezza non avrà mai fine”. La vita, il mistero della sua morte, sta lì, in quell’enigma che il campo di grano risucchia. 

 

 

*  * *

 

 

OMOSESSUALITÀ

 

Cosa sai dirmi di me questa sera, quando mi dolgo sul letto dell’attenzione e in questo moltiplicarsi di specchi mi frango? Non so chi sono, che anima ho. Quando parlo con sincerità non so con quale sincerità parlo. Sono variamente altro da un io che non so se esiste (o se è quegli altri). Sento fedi che non ho. Caduche son tutte le speranze… quando mi sento assalito da ansie e da angosce che ripudio riconosco un carattere che mi tradisce. Amico mio, le tue parole hanno un sapore antico, supportano la mia fragilità… un po’ inebriato, le assaporo con tutti i sensi e lascio che i miei pensieri si posino su questo sapore… languidamente, aderisco a idee che non appartengono al mio genere… Venuto al mondo di lato, ho impiegato una vita nel tentativo di entrare nella fila… sono il punto d’incontro tra la luce e il buio… ferito ed esiliato, mi ritrovo a crescere in te, nella tua solitudine così simile alla mia, ritrovo denti per sorridere, prima di baluginare e scomparire… 

 

Ma che epoca di trasmutazioni la nostra, che natali sulla terra! Il grande Alessandro che imposta il modello, e noi a seguito come tanti adriani o eliogabali. Sempre in preda al dubbio. A cinque anni entrai in una panetteria e vidi che mi garbava il fornaio. Andai al cinema, davano King Kong e vidi che mi garbava anche il gorilla. 

 

Poi col cristianesimo puntuale arriva il sadomasochismo; tra boia e martiri, la fiamma delle fascine è sempre presente a confortare e a riscaldare il cuore della normalità e dopo secoli la scienza si converte al vittorianesimo. È tutto un giubilo di ponderosi volumi sulle patologie dell’amore e del sesso. “Era una scienza fatta di elusioni, poiché nell’incapacità o nel rifiuto di parlare, nel rifiuto di parlare del sesso in quanto tale si è riferita soprattutto alle sue aberrazioni, perversioni, stranezze eccezionali, annullamenti patologici, esasperazioni morbose. Una morale sotto forma del linguaggio medico”. Anche se la diffusione di un’opera monumentale come il My secret life, del presunto Henry Spencer Ashbee, che ben separa il suo diario da ogni superflua fantasia, resta un’autentica memoria di ciò che un uomo percepì, provò, vide, credette e volle credere. Essa, in ogni caso, resta l’ombra contrinformativa, rispetto a Dickens, Meredith, George Eliot, Thomas Hardy, di ciò che questi non riuscirono a scrivere. 

 

Così Foucault, finalmente, cerca d’impostare una Critica della ragione omosessuale. Merita, certamente, uno scandaglio nell’empiria delle sue azioni che divengono sistema aperto e di stupefacente erudizione accumulata in anni e anni nelle biblioteche e archivi francesi. Partiremo dal suo auto- svelamento in California, a fine maggio del 1975. Foucault si sdoppia e lancia nel pattume il suo io e, al tempo stesso stende una copertura analitica talentuosa sulla sua omosessualità, mettendo in moto, da una parte, uno sgretolamento di tutti i sensi (rammenta il veggente Rimbaud), dall’altra riservando un’osservazione di copertura: “Credo che la parola omosessuale sia diventata obsoleta. E la ragione è la trasformazione della nostra concezione della sessualità. Vediamo fino a che punto la nostra ricerca del piacere sia stata in gran parte limitata da un vocabolario che ci è stato imposto. Le persone non sono né l’uno né l’altro, né omosessuali né eterosessuali. Esiste una gamma infinita di ciò che definiamo comportamento sessuale”. Poteva anche di risparmiarsi di scrivere ciò, avendo a disposizione la prossimità e la lezione di De Sade, che mentalmente lo precedeva di gran lunga. Ma la sorpresa in Foucault è l’episodio, credo centrale, avvenuto nella Valle della Morte, a Zabriskie Point (che emblema!), nell’ascolto tramite un registratore che irradiava martellante Kontakte di Stockhausen. Lì farà esperienza dello LSD-25 puro, per la prima volta (di altri psicomimetici aveva già fatto conoscenza). La definirà l’esperienza più importante della sua vita (esattamente come Cicerone quando uscì dal tempio sacro di Eleusi). Affermò, infatti, senza ombra di dubbio, che lì, aveva avuto l’esperienza più importante della sua esistenza, nel più severo esercizio di depersonalizzazione e deliberata autodistruzione (Deleuze). Scoprì infatti la risposta alla domanda di Nietzsche che “l’aveva crocefisso tutta la vita”: Come sono divenuto qual sono, e perché soffro di essere così? Secondo il suo testimone- biografo “si ritrovò sospeso sull’orlo di una roccia in mezzo al deserto, governato dallo LSD”. Una pletora d’intellettuali e scrittori lo precedeva da circa trent’anni. Tutti sull’autostrada di coscienza altra, condotti per mano dal “bambino ribelle” del dott. Albert Hofmann, l’acido lisergico. 

 

Sessualità, sentimenti, memoria. Tre aspetti della mente. Separati o unificati nella mente? Se i sentimenti abbracciano la memoria immediatamente acquistiamo la ricchezza dei ricordi, che formeranno una collana di senso a ciò che siamo. Ma se i sentimenti smarriscono la memoria si inoltrano in un labirinto senza uscita e la memoria diviene vuota come una conchiglia senza il suo mollusco. C’è qui tutto il Bene e il Male umano o, se preferite, direzioni equilibrate o orrori incomprensibili. L’errore è insistere sul significato che è uno sviamento superfluo. Restano solo piccole colorate diapositive nel film di ogni vita. Si dice: non ti far sopraffare dai sentimenti; è la paura che si camuffa da saggezza, oppure: non ti dimenticare; ma da sola la memoria, come quella conchiglia, rimanda solo il suono artificiale del mare. È questo il vero enigma cui Edipo doveva rispondere. Ci sono miracolose occasioni che accendono l’intuizione e la verità chiusa in essa. Ma questa ricerca della verità non può oscurare la volontà di sapere, la volontà della sessualità, qualunque stato mentale essa assuma. Né, d’altra parte, ci si può adeguare a una raffica di dissociazioni affinché corpo sessuale, sentimenti e memoria esplodano simultaneamente. Ciò che resterebbe assomiglia molto a un cadavere. Credo che basti il palese sacrificio di Artaud per arrestare un cammino falsificante. “Non è nell’ideale promesso dalla medicina, di una sessualità sana, o nella chimera umanista d’una sessualità completa e rigogliosa, soprattutto non è nel lirismo dell’orgasmo e nei buoni sentimenti della bioenergetica che bisognerebbe cercare gli elementi più importanti di un’arte erotica legata al nostro sapere sulla sessualità, ma nella moltiplicazione ed intensificazione dei piaceri legati alla produzione della verità sul sesso”. Siamo a entrati così nelle sue esperienze sadomaso californiane, nell’unità di piacere e dolore. Si comincia a intravedere il concetto e la pratica della degenitalizzazione. Così l’erotica della verità, da Origene a Foucault, non è certo la sede del daimon socratico. È assai probabile che una contro-verità, quale una frantumazione dell’organismo dell’uomo, conduca non a un diverso punto di osservazione ma piuttosto a un totale dissolvimento dell’organismo. Se ci si illude di frantumare l’ordine pur vastissimo della sessualità, praticando una degenitalizzazione, allora non si cerca verità ma solo programmi estremi. De Sade lo aveva capito fino in fondo. La sua distruzione del corpo come pratica di piacere, può sussistere solo perché, per il Divin Marchese e come extrema ratio per Hitler (i due poli infuocati della fine dell’illuminismo), i corpi sono innumerevoli e sostituibili. Ma il piacere, i sentimenti e la memoria sono l’organismo e questo organismo organizzato sta bene così com’è. Non ci sono alternative a questo stato di cose. 

 

La volontà della sessualità non può sospendere nei corpi i sentimenti e la memoria. Per essere tutto deve coesistere. Altrimenti resta il suicidio della mente, forma senza ritorno del paradossale annullamento nell’ascetismo. Alla base di questo groviglio che il pensiero corsaro pone con Foucault, ma anche con Pasolini (che lega il suo senso di colpa a una formazione cattolica), c’è una corsa all’autoannientamento.

 

E il fantasma di Edipo prende nuovamente forma. Da millenni lo chiamiamo Edipo, ma chi è Edipo? Quello fissato dalla tragedia greca? Quello che spinge Freud a rivestire un mito ossificato, dislocandolo per andare più in profondità? Temo che le vie che Edipo percorre siano tante quante il numero degli uomini e di donne che si sono susseguiti. Un mito è una fonte di energia inesauribile, in cui ciascuno si riflette e ricava i propri singolari limiti. L’anti-Edipo deleuziano è destinato a sfarinarsi davanti al muro dell’organico. La classificazione dei corpi e dei piaceri sadiana resta invariata, anche nelle propaggini della sua crudeltà. La prova raffinata di Foucault è destinata al fallimento e la voce di una nuova Delfi si rende pressante. Necessita riprendere il respiro dei sentimenti, della memoria e della sessualità. Chi incontra il mito proteiforme non potrà tornare indietro. Edipo ha risposto alla Sfinge, ma non ha mai risposto al vero monito di Delfi: Conosci te stesso. Egli parla se stesso come fosse a se stesso straniero. La profezia di Tiresia è profezia che include, come il corpo di Tiresia, il maschile e il femminile e il parere sul piacere sessuale. Tiresia valuta l’intensità del piacere, non la verità sullo stesso. Un bosco fitto di segni circonda Edipo (l’uomo che claudica), ma nonostante la sua furia rabbiosa di sapere (ha ucciso, ha posseduto sua madre, è divenuto padre e fratello dei suoi figli), non sa ricomporlo in un “sapere in cui tutte le cose si concateneranno”. (Eraclito) 

 

Sarà Euripide ad anticipare una risposta alla volontà di sapere insita nella domanda nicciana e al conseguente vasto sondaggio foucaultiano: la cura di sé è un potente desiderio di disorganizzazione, un oltrepassamento del corpo che attraverso il piacere-dolore in definitiva invita a delle pratiche collettive, come quelle sperimentate negli appositi “laboratori” della California, dove tutto era nato. Euripide, al contrario, afferma nelle Baccanti che “il sapere è non sapere”, che non c’è nulla da sapere e che nessun trapano filosofico penetrerà il mistero del sé e il mistero del corpo. Ogni risposta tentata porterà danno e rovina. E così sarà per Edipo quando compresa la verità entrerà nell’oscurità della cecità. L’organico resta il sacro inviolabile. 

 

Anche se ci si sente altro da un io e si dubita persino della propria esistenza, resta il solo sentimento insindacabile di essere il punto di incontro tra buio e luce e affermare che sì ogni uomo è straniero in attesa di scomparire, ma con il sì che lo prepara ad accettare che il corpo è quell’inizio e quella fine necessaria, perché il corpo è un confine totemico. 

 

 

*  * *

 

 

HEIDEGGERIANA

 

Tutti i versi in citazione al termine del testo fanno parte del libro di poesie di Martin Heidegger Aus der Erfahrung des Denkens – Esperienza del pensare. 

 

 

Il tempo della vita passa cristallizzando immagini e ricordi 

 

Trovarsi solo nella tua città natale e percepirla sconosciuta, oscura dimora, come qualsiasi altra città del mondo Piove molto ed è notte. L’asfalto è uno specchio che geme per abbandono. Ti rifugi sotto l’unico lampione acceso e parli ad alta voce. Le eterne domande: che cosa sono stato? Che cosa sono? Una inaggirabile corona di faville, di io e di me. A chi rendere conto di ciò? Qual’ è il prezzo da pagare? L’ombra che ti appare davanti ti fissa vitrea e, con suono metallico, sentenzia: Egli fece. Egli disse. Ti fai coraggio e rispondi tremulo: Non è possibile. Non ho fatto, non ho detto. Non ho avuto mai un pubblico. 

 

L’ombra si ritrae e ai tuoi piedi c’è un cane randagio, zuppo d’acqua, con occhi grandi e dolci e lacrimosi. Ti implora di allontanarti dal lampione, da quell’ultimo lampione acceso, perché deve urinare. 

 

 

Citazione 

 

Incamminati,

e mancanza e domanda sopporta

lungo il tuo solo sentiero 

 

 

Come impedire che la memoria si deformi? 

 

E se restassero solo immagini, come dopo una visita museale e le scambiassi per la vita reale? Dall’affresco della memoria sono caduti larghi pezzi e le lacune ti provocano con la loro cecità. 

 

Nonostante tutti gli sforzi, se mi penso penso ad un altro. Forse è solo un sogno dell’altro. Dovrei tentare, provare a svegliarmi. E se poi mi trovassi davanti a uno specchio che corrode lentamente il mio riflesso? Meglio raccontarsi, tra sé e sé, fatti da nulla, o provare a camminare in un antico cimitero con i nomi sulle tombe cancellati. Ma il presente possiede un’insopportabile pressione. 

 

 

Citazione 

 

InChi mai potrebbe, finché vuole sfuggire

alla tristezza,

suscitare intorno a sé un risveglio?

Ma il dolore elargisce la sua forza che risana,

là dove nessuno l’attende. 

 

 

“Proviamo davvero quell’angosciante convulsione dell’anima che si chiama spavento solo quando alla paura si mescola un po’ del terrore superstizioso dei secoli passati”, scrive Maupassant. 

 

Il silenzio, l’infinito, l’eternità: questo è l’ancestrale. Ma c’è anche la ricetta di Jacob Boheme: Attraverso l’angoscia e superandola, la vita eterna esce dal nulla. Troppi respiri profondi. Forse siamo alle soglie della fine di una cronaca della storia umana. La malattia vera è l’ipertrofia dell’intelligenza e del pensiero che cessa di pensare. 

 

Ai bordi estremi del baratro c’è chi urla e schiamazza ignaro, chi prende comodamente seduto un aperitivo e discetta amabilmente di investimenti in borsa, chi canta a squarciagola nostalgici inni rivoluzionari in cui si dissolve, chi cerca di penetrare nel labirinto dell’eros cercando un orgasmo tra i saldi di fine stagione, chi è risucchiato dalla fame e sbarra gli occhi sull’orrore, chi spende patrimoni per simulare un’eterna giovinezza. Siamo nella paura o ancora nella superstizione, Maupassant? Dove si è rifugiato il pensiero che dispera e tuttavia mettendosi in ascolto pensa la salvezza? 

 

 

Citazione 

 

InIl pensiero si aggrappa al punto

ove perviene il passato,

è esso memoria. 

 

 

Ho sempre trovato incomprensibile e, in fondo, simpaticamente ridicolo, affannarsi nel calcolare gli anni e i giorni, i compleanni. Alle stagioni pensa il clima. Avere come modello di ciò un giro completo della terra intorno al sole e la rotazione della stessa e ascoltare il ticchettio della pendola o fissare il percorso delle lancette intorno a un asse. Misurare il tempo come antichi agrimensori, insomma. Dietro c’è sempre l’ansia del fare, del produrre, dell’affare. Non voglio certo fare un ennesimo elogio dell’ozio. Ma il tempo del nomade non è lo stesso dello stanziale. La fisica, fatti i suoi calcoli, nega il tempo. Ma la fisica non si interessa, non si può interessare, al pensiero atemporale, deve piuttosto trasformare il piccolo universo conosciuto nella bottega incantata di un orologiaio, dove non c’è un solo orologio che segni la stessa ora, nell’ipnotico ticchettio dei meccanismi. Ma la crisi radicale che investe la civiltà nel suo insieme non è calcolabile, quando si approssima “la mezzanotte della notte del mondo” 

 

Kepler e Galileo fecero del loro per svincolare una falsa centralità dell’ordine antico, ma misero Shakespeare e molti altri poeti pensanti nella condizione di un panico universale, di uno spiazzamento tragico. Cosa si prova a constatare la perdita di un centro? Gli scienziati, i medici quando affermano nella loro incerta saldezza che la loro scienza è più veritiera di quella del XVII secolo è solo perché appartengono al XX secolo e saranno polverizzati dai loro pari nel XXX secolo. Ma, nonostante tutto, siamo ancora immobili dinanzi alla mezzanotte della notte del mondo. Il silenzio sidereo che spaventava Pascal è sempre dove lui lo ha lasciato. Ed è ciò che vale, ed è quanto non può essere espresso. 

 

 

Citazione 

 

InChe mai ci sia e all’improvviso

un pensiero il cui stupore potrebbe

misurare il profondo? 

 

 

Accendo una sigaretta, osservo attento le bianche spire del fumo nelle variabili del loro disordine apparente e mi pongo nella condizione di soffocare le parole, che non vogliono mai abbandonarci. Le parole esigono di avere sempre degli ascoltatori. Le parole in solitudine appartengono solo agli anacoreti, ai folli senza un metodo o ai mistici che parlano all’orecchio di dio. Nell’antichità si leggeva solo ad alta voce. Basterà ricordare lo stupore di Agostino che vede leggere mentalmente Ambrogio e non riesce a darsi pace. Scriveva Louis Lavelle: La parola umana è a metà strada tra il mutismo degli animali e il silenzio di dio. Anche se quest’ultimo si dice che abbia creato l’universo mondo nominandolo. Quel Logos resterà sempre un bel pasticcio, poiché dopo la creazione venne il silenzio. Per questo motivo ciò che resta inespresso nel nostro parlare è la costante condizione di meraviglia di ciò che non riusciamo a dire. 

 

E anche vero che Arbasino avrebbe osservato: Provate a far tacere Colette. 

 

 

Citazione 

 

Mai, e in lingua alcuna, ciò che è

parlato

è tutt’uno con ciò che è detto…

incapace di dire ciò che deve rimanere

non detto. 

 

 

Guardate bene, lentamente, gli occhi degli autoritratti di Rembrandt e di van Gogh o gli occhi dei ritratti di Caravaggio. 

 

Il minimo che si possa dire è che essi ci donano la luce dell’ombra, il singolare avvento del preambolo dell’essere. Chi siamo noi difronte a quegli sguardi? Dove il loro destino si fonde con il nostro? e che sentieri prendere in ciò che può essere solo rappresentato, se ci si chiama Rembrandt, van Gogh, Caravaggio? Sono porte che ci fissano e si aprono sulle nostre storie? Sono silenziose o cigolano? In questa oscillazione non va trascurato il fatto che la prima radice del ritratto è un’illusiva ambizione di vincere la morte. L’unica risposta netta è di Kafka: sarà il silenzio, là dove sono, non so, non lo saprò mai, dentro il silenzio non si sa, bisogna continuare, e io continuerò. Pensiero appaiato ai versi di Valery: Il vento si leva, bisogna tentare di vivere. Ma è proprio necessario contrapporre un atteggiamento a quegli sguardi? L’abisso ci scruta da quegli occhi, a noi resta solo la vertigine. Il pensiero stesso diviene vertigine. Tutto, allora, ritorna nel ricordo del limite che siamo. 

 

 

Citazione 

 

Colui che nella grandezza pensa,

nella grandezza è costretto ad errare 

 

 

Cosa cerca da me l’insonnia, utero di immagini senza pensiero? Che lezione vuole darmi? Una folla di profili grigi, ombre in movimento di amici, di amori, di passioni accese e spente in un grande falò, di chi mi corrispondeva. Tutti in questa nebbia trasparente, relitti che mi chiamano taciturni. Ofelia non è morta, galleggia e i suoi occhi splendono colmi di innocenza e le sue labbra rosse come succo di ciliegia accennano a una cantilena. Li vedo tutti, ma l’insonnia non mi permette di riflettere, neanche di sussurrare. Perché non sappiamo cogliere lucidamente un pensiero nell’alba della sua nascita e accompagnarlo nella sua formazione? Se pensare è ringraziare perché occorre dimenticare il passato e le sue immagini, schiere di congiurati? Gli orientali chiamano tutto ciò Impermanenza, ma se boccheggi nell’insonnia non ti consola il transitorio. Ti aggrappi alla ricerca di un pensiero, magari un solo pensiero. Invece divento incomprensibile a me stesso e riesco solo a balbettare. Dove sei pensiero? 

 

 

Citazione 

 

Mai siamo noi a pervenire ai pensieri,

sono essi che ci raggiungono. 

 

 

*  * *

 

 

ATTORNO A RENÈ DAUMAL

 

Sono morto perché non ho il desiderio, non ho desiderio perché credo di possedere, credo di possedere perché non cerco di dare. Cercando di dare, si vede che non si ha niente, vedendo che non si ha niente, si cerca di dare se stessi, cercando di dare se stessi, si vede che non si è niente, vedendo che non si è niente, si desidera divenire, desiderando divenire, si vive. Ci crediamo così bravi a interpretare, fuori dal Grand Jeu, che a furia di scrutare, indagare emerge massiccio il dubbio se c’è veramente qualcosa da interpretare, mentre si vive. Come affermava Oswald Wiener, è più verosimile pensare che l’organizzazione della realtà mediante il linguaggio è insopportabile. Ma gli asceti del Monte Analogo erano seduti sull’essenziale.


Doriano Fasoli

 

 

(da: Doriano Fasoli, Finestre sulla memoria. Dissolvenze e sovrapposizioni, Alpes, Roma 2022. Saggio introduttivo di Stefano Santuari. Con uno scritto di Cesare Mazzonis)

 

 

 

 

 

 

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