22 maggio 2020

«Su “Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci” di Sigmund Freud (Parte 2)» di Valter Santilli


Leonardo da Vinci, Cartone di sant'Anna, 1499-1500,
gessetto nero, biacca e sfumino su carta, Londra, National Gallery




L’errore di Leonardo: «Mercoledì a ore 7 morì ser Piero da Vinci […]. Mercoledì vicino alle 7 ore».


Nel quinto capitolo del saggio su Leonardo, Freud analizza il rapporto che Leonardo, artista e scienziato, ebbe con la figura paterna. Egli riporta pertanto una breve nota scritta su uno dei diari leonardeschi, un’annotazione importante per il contenuto e interessante per la forma tanto da suscitare l’attenzione dello psicoanalista; la piccola nota contiene un «minuscolo errore formale». Leonardo nel mese di luglio del 1504 annota giorno, mese, anno e ora della morte di suo padre, Ser Piero da Vinci, di anni 80; egli annota inoltre il numero dei figli che l’anziano padre lasciava «10 figlioli maschi e 2 femmine».

«Il piccolo errore formale consiste nel fatto che l’indicazione di tempo “a ore 7” viene ripetuta due volte». Freud in prima battuta commenta il «minuscolo errore» di Leonardo come fosse stata la comprensibile distrazione di un figlio mentre appuntava l’ora della morte del padre, ma subito non trattiene l’interpretazione psicoanalitica e addebita l’errore alla inibizione affettiva di Leonardo nei confronti di suo padre. Liberato da questa inibizione, scrive Freud, Leonardo avrebbe voluto o potuto scrivere: «Oggi alle ore 7 è morto mio padre, Ser Piero da Vinci, povero padre mio!».

È certo che il padre di Leonardo ebbe «un ruolo importante nella sua evoluzione psicosessuale». Freud delinea sinteticamente un bel ritratto di Ser Piero da Vinci: «fu uomo di grande forza vitale che raggiunse stima ed agiatezza». Sottolinea con enfasi gli aspetti socialmente volitivi e umanamente virili di questo «notaio discendente di notai»:

Si sposò quattro volte, le prime due mogli gli morirono senza figlioli e solo dalla terza ebbe nel 1476 il primo figlio legittimo, quando Leonardo aveva già ventiquattr’anni […]; con la quarta e ultima moglie, che sposò già cinquantenne, generò altri nove figli e due figlie.

Curioso destino familiare quello di Leonardo: fino all’età di ventiquattro anni egli fu l’unico figlio, ma illegittimo, di un agiato notaio fiorentino. La condizione di illegittimità negli ambienti urbani borghesi era allora causa di svantaggi sociali: ad esempio un figlio illegittimo non avrebbe mai potuto accedere agli studi umanistici ordinari, e Leonardo, nel caso, non sarebbe mai potuto diventare a sua volta notaio, come da tradizione familiare. All’età di 17 anni il padre con acume aveva riconosciuto in lui una inclinazione artistica e lo aveva indirizzato verso lo studio delle arti e delle tecniche. Il giovane Leonardo venne per questo affidato alla bottega di Andrea Verrocchio, una delle più rinomate della città di Firenze. La città era allora governata dal giovane Lorenzo dei Medici detto il Magnifico per la disposizione che aveva verso le arti e per lo sfarzo dei suoi costumi. Firenze stava vivendo un’età d’oro: la città era non solo la culla del Rinascimento delle arti e delle lettere, ma anche il luogo privilegiato dove gli architetti e gli artigiani iniziavano a sperimentare nella loro pratica delle nuove tecniche, le più varie. Il mondo non piangerà certo Leonardo da Vinci ‘mancato notaio’.

Nel 1476, in forma anonima, Leonardo venne accusato insieme ad altri tre giovani di aver abusato sessualmente di un ragazzo: la segnalazione attiverà un processo penale: «Il prestigio del figlio [illegittimo] di ser Piero da Vinci subisce una rapida caduta e probabilmente anche quella del padre ne risente» (Leonardo da Vinci. Il genio universale). Nella cronachistica descrizione di questa vicenda potremmo individuare una delle cause dei turbamenti emotivi e familiari che investirono il giovane Leonardo: il giudice a conclusione del processo mandò assolti tutti gli accusati. «C’è chi dice che da quel momento Leonardo, pur conservando le sue preferenze sessuali, osserverà una definitiva castità».

Leonardo si descriveva, con ironia, «omo sanza lettere» dolendosi forse di non aver potuto imparare il latino, la lingua che dava accesso al sapere dei classici. Raccontano che tra i libri che egli sempre portava con sé, nelle sue tante peregrinazioni, ci fosse anche una grammatica latina. Sappiamo «con certezza» da Carlo Vecce, studioso del Rinascimento, quale fosse il libro alla base della formazione culturale di Leonardo; esso è registrato nei suoi manoscritti «con tanto di nota di possesso», in un foglio del Codice Atlantico: «questo libro è di Michele di Francesco Bernabini e di sua disciendenza». Il libro in questione contiene testi tratti dalle Metamorfosi di Ovidio «nel volgarizzamento di Arrigo de’ Simintendi da Prato (ca. 1330, disponibile in un’ampia tradizione manoscritta di area toscana» (Vecce, 2017).


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La famiglia di Leonardo e quella di Freud: Mater semper certa, pater autem incertus


Leonardo era ormai adulto e già dimorato a Milano quando il padre si sposa per la quarta volta con Lucrezia di Guglielmo Cortigiani, nel 1488. Sarà un matrimonio dal quale nasceranno numerosi figli. L’ultimo figlio, il dodicesimo dei figli legittimi di Ser Piero da Vinci, nascerà nel 1498 e si chiamerà Giovanni. Leonardo, l’unico figlio non legittimo, all’epoca aveva ormai quarantasei anni.

Sulla ‘incertezza del padre’ che la condizione di illegittimità necessariamente evoca, anche Freud dovette riflettere nella forma del ‘romanzo familiare’: è questo una creazione psichica, ‘scoperta’ da Freud stesso, che si costruisce nella mente di tutti i bambini quando iniziano a interrogarsi sulle origini, fantasticando su di esse. Il romanzo familiare dopo l’infanzia solitamente viene rimosso. In alcuni individui esso può continuare ad essere psichicamente attivo e ne condiziona pesantemente la vita, fino a quando non viene ‘risolto’ grazie ad un adeguato trattamento psicoanalitico o psicoterapico.

Abbozzando la mappa generazionale e i tratti psicologici caratterizzanti la famiglia di origine di Leonardo, è possibile fantasticare sulla presenza di qualche analogia con la configurazione della famiglia di origine di Freud.

Nel libro di Gabrielle Rubin, Le roman familial de Freud, vengono focalizzati i complessi rapporti che il giovane Freud ebbe con la sua famiglia di origine, con i genitori in particolare. Jacob, il padre di Freud, viene descritto come un uomo di poco spessore culturale e di scarsa fortuna economica ma, di contro, emerge di lui anche la figura di uomo socialmente vivace e amante del buon vivere, tombeur de femmes. Come al notaio Ser Piero da Vinci, anche a lui il destino riservò numerosi matrimoni. Il padre di Freud si sposò tre volte, la prima volta all’età di 16 anni, forse un matrimonio riparatore dal quale nacquero due figli, Emanuel e Philipp. Jacob Freud fece un secondo matrimonio dal quale non nacquero figli e infine un terzo con Amalia Nathanson, la futura madre di Freud. Il futuro padre di Freud aveva allora quarant’anni e Amalia appena venti, pressappoco l’età dei due figliastri. Fu un matrimonio che durò a lungo, felice e prolifico, fino alla morte di Jacob; da questa unione nacquero otto figli, il primogenito dei quali era Sigismund Freud.

A differenza di Leonardo, figlio primogenito nato illegittimo, Freud ebbe genitori che per tutto il corso della loro vita formarono una coppia molto unita e per lui , primogenito molto amato, crearono le condizioni perché potesse accedere agli studi che gli avrebbero permesso di raggiungere una posizione professionale di grande rilievo e una agiata condizione economica. Nel libro della Rubin viene condotta una documentata ricerca tracciata sulle orme di un inciampo psichico che tenne impegnato il giovane Freud nella necessità psicologica di ‘risolvere’ il proprio romanzo familiare.

Jacob, in diversi momenti cruciali della vita, apparve al giovane figlio come un padre incerto e inaffidabile: ad esempio quando non seppe materialmente sostenerlo nell’ambizione, coltivata da Freud, di intraprendere la carriera accademica.

Nel ‘romanzo familiare’ fantasticato il giovane Freud era alla ricerca del padre: questa spinta proveniva da un livello profondo della psiche e lo rendeva incerto sulle sue origini. Nel libro viene plausibilmente narrato e documentato come e perché – a causa di complesse e inconsce motivazioni psicologiche sostenute a volte da indizi provenienti dalla realtà – l’inventore della psicoanalisi avesse messo in dubbio la certezza della propria ‘filiazione legittima’.

L’ambigua e complessa realtà della ‘configurazione familiare’ di Leonardo sembrerebbe avere poco a che fare con la costruzione di uno psicologico romanzo familiare, vi sono a riguardo delle suggestive narrazioni – qualcuna favolistica e popolare altre invece ben documentate e suggerite da colti studiosi – che introducono nuovi elementi capaci di mettere in discussione quanto è stato storicamente già acquisito , sulla base degli scarsi documenti disponibili, della confusa origine familiare di Leonardo.

Uno studio – sebbene epistemologicamente forzato per la distanza delle epoche storiche alle quali dovrebbe riferirsi – che mettesse a confronto la mappa della famiglia di origine di Leonardo con quella di Freud e i loro specifici genogrammi, riuscirebbe forse ad evidenziare tra loro l’esistenza di analogie. Potremmo dire con relativa certezza che ciò che accomuna idealmente le due realtà familiari, storicamente così lontane nel tempo da non poter essere messe a confronto, è che entrambe furono il crogiolo affettivo e relazionale nel quale nacquero e crebbero due geni: è facile pensare che sulla personale autenticità storica dei padri, se non fossero stati essi genitori di figli tanto geniali, nessuna ricerca ci sarebbe stata e dunque nessuna memoria. Dario Olivero, nel trattare il tema delle oscure origini familiari di un grande scrittore e filosofo del Novecento, Albert Camus, ha scritto che ci sono «generazioni […] che talvolta riescono a lasciare un segno grazie a uno dei loro figli, nato per volere del caso, con doti non comuni» (Olivero, 2019).


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Il romanzo familiare di Leonardo


Nelle Ricordanze, i libri dove sin dal Trecento venivano annotate le cronache di famiglia, il nonno di Leonardo,Antonio, messere in Vinci, scrive:

Nacque un mio nipote, figliolo di ser Piero mio figliolo a dì 15 aprile in sabato a ore 3 di notte. Ebbe nome Lionardo. Battizzollo prete Piero di Bartolomeo da Vinci, in presenza di Papino di Nanni, Meo di Tonino, Pier di Malvolto, Nanni di Venzo, Arigo di Giovanni Tedesco, monna Lisa di Domenico di Brettone, monna Antonia di Giuliano, monna Niccolosa del Barna, monna Maria, figlia di Nanni di Venzo, monna Pippa di Previcone.

Nell’edizione divulgativa della De Agostini Leonardo da Vinci. Il genio universale, ricca di notizie storiche, viene rievocato l’evento del battesimo di Leonardo; gli autori tentano di ricostruire narrativamente, in maniera suggestiva, l’atmosfera pubblica che poteva circondare l’evento: «Partecipa mezzo paese, e non senza mormorazione, al battesimo del piccolo Leonardo di ser Piero da Vinci, giovane notaio di anni ventiquattro, e della povera Caterina». Colpisce i paesani l’assenza dei genitori naturali, Piero e Caterina: Leonardo è un figlio illegittimo, figlio dunque di genitori che non potevano esporsi in pubblico. La ricostruzione diviene ancor più romanzesca quando narra la ‘dicerìa’ che passa di bocca in bocca, fantasiosa e oltremodo scandalosa: Caterina sarebbe una schiava di ser Piero, una schiava non cristiana ma araba o turco-ottomana. Nella casa di ser Antonio e di ser Piero la gente mormora che di schiave ve ne siano diverse e tutte provenienti dal Nord Africa o dal Medio Oriente: si conclude che il piccolo Leonardo è un meticcio, un mezzo sangue arabo.

Caterina viene descritta come una donna bellissima, ella andrà in sposa ad Antonio del Vacca di Campo Zeppi, un uomo rude che tutti chiamano l’Accattabrighe. Leonardo vivrà con loro i suoi primi anni di vita, almeno fino al 1457 data in cui Antonio da Vinci, figlio di notaio, annota presso il catasto di Vinci che, insieme alla moglie Lucia, egli abita nel popolo di Santa Croce e ha per figli Francesco e Piero. Piero ha trent’anni ed è sposato con Albiera che ha ventun’anni. Il documento attesta che con Piero e Albiera vive «Lionardo figliuolo di detto ser Piero non legittimo nato di lui e della Chatarina, al presente donna d’Achattabriga di Piero del Vacca da Vinci, d’anni 5».

Nel terzo capitolo del suo saggio Freud si affida al romanziere Dmitrij Sergeevič Merežkovskij per avere notizie sulla presenza di Caterina nella vita del figlio Leonardo: «Il romanziere Merežkovskij è l’unico che sappia dirci chi fosse questa Caterina». Da lui si apprende che la madre di Leonardo era andata a Milano nell’anno 1493 per fare visita al figlio, si ammala e, ricoverata in ospedale, lì muore. A sostegno di questa tesi è stato rinvenuto tra le carte di Leonardo l’elenco delle consistenti spese che dovette affrontare «per la sotterratura di Caterina», spese che potevano essere giustificate solo per saldare il costo di «sfarzose onoranze».

Freud commenta che per quanto Leonardo fosse inibito nella espressione dei sentimenti, anche per lui esistevano casi in cui «ciò che era stato represso riusciva con la forza a manifestarsi, e la morte della madre, una volta così ardentemente amata, era uno di questi». Conclude che il pesante conto sostenuto da Leonardo per le spese di sepoltura di Caterina rappresentasse l’espressione del profondo e intimo cordoglio di un figlio per la morte della madre.

Albiera Amadori figlia di un notaio e legittima sposa di Piero da Vinci, notaio a Firenze, si prenderà cura del piccolo Leonardo, ed è facile immaginare il suo affetto materno visto che ella non avrà figli suoi. Albiera morirà giovanissima, nel 1464, all’età di ventotto anni. Leonardo allora aveva appena dodici anni, a distanza di pochi anni dal forzato distacco dalla madre naturale, Caterina, la morte di Albiera sarà la seconda gravosa perdita. Ser Piero non si perde d’animo e nello stesso anno sposerà una giovanissima donna, di appena quindic’anni, Francesca di ser Giuliano Lanfredini.

Molti sostengono che Leonardo, quando ser Piero e la moglie Albiera si trasferirono a Firenze, andrà a vivere a Vinci con i nonni paterni, Antonio e Lucia; di lui si prenderà cura anche lo zio Francesco, una figura parentale alla quale Leonardo rimarrà a lungo affettuosamente legato.

Nell’antico borgo Leonardo riceve i primi rudimenti culturali fondati su percorsi didattici poco ordinari. Alcuni sostengono che fu allora che il bambino Leonardo imparò a scrivere in forma bizzarra, con la mano sinistra e da destra a sinistra, come gli arabi.


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Chi era il padre di Leonardo?


È la secca domanda che pone Carlo Vecce, in un paragrafo dell’ultimo capitolo del suo bel libro La biblioteca perduta. I libri di Leonardo. L’autore scrive che Leonardo ebbe non solo molte ‘madri’, ma anche molti ‘padri’:

Nei documenti fiorentini fino al 1481 Leonardo è sempre indicato come ‘Lionardo di ser Piero da Vinci’, ma poi, a Milano, diventa ‘Lionardo da Vinci’ (così si firma nel contratto della Vergine delle Rocce nel 1483). 

Vecce ci informa che la confusione riguardo alle ‘madri’ e ai ‘padri’ di Leonardo continuerà ad esserci ben «oltre la sua morte». Sulla base di alcuni testi degli autori dell’epoca, l’Anonimo Gaddiano e il Vasari, il prof. Vecce segnala una confusione allora esistente in merito a chi fosse realmente figlio, o nipote, il giovane Leonardo. Nella prima redazione della vita di Leonardo, del 1550, il Vasari scrive: «Lionardo nipote di ser Piero da Vinci, che veramente bonissimo zio e parente gli fu nell’aiutarlo in giovinezza».

Il prof. Vecce scrive che il Vasari, nella giuntina del 1568, si affrettò poi a cambiare nipote in figliuolo e zio in padre e si chiede perché mai il biografo avesse fatto confusione tra Piero e suo fratello Francesco. Vecce ipotizza che la confusione potrebbe essere derivata dalle incerte notizie che il Vasari poté raccogliere dalle famiglie dei fratellastri di Leonardo che, sappiamo, non avevano piacere di ricordare «quel congiunto illegittimo e irregolare».

«Nel primo libro della sua vita, Le Metamorfosi di Ovidio, il giovane Leonardo aveva tante volte trovato sé stesso nei miti che leggeva» (Vecce, 2017). Il prof. Vecce con grande slancio intellettuale, a conclusione dell’ultimo capitolo del suo pregevole libro, approda su un suggestivo e mitologico ‘romanzo familiare’ che Leonardo avrebbe creato e coltivato. Egli scrive che Leonardo:

Era nato e rinato in forme favolose, immaginando di essere figlio di un dio che si era congiunto di nascosto con fanciulle bellissime (Danae, Leda), e di essere un eroe (Perseo) che aveva vinto creature terrificanti… e vendicato i torti subiti dalla madre (Danae), uccidendo i suoi importuni pretendenti e infine anche il nonno (Acrisio), colpevole di aver perseguitato la madre. 

Lo studioso ci informa che Leonardo una sola volta cita il mito di Adone «sul verso del foglio in cui aveva trascritto […] un abbozzo di lettera in cui chiede informazioni su Caterina (la madre?)». Vecce, avendo in mente precisi e documentati riferimenti, accenna qui una misteriosa quanto affascinante narrazione che introduce la materia mitica che è alla base dell'inaudito ‘romanzo familiare’ di Leonardo:

Per un breve momento Leonardo si identificò in quel “bellissimo fanciullo” (Adone) che scaturiva miracolosamente dalla corteccia di un albero, frutto dell’incesto tra un padre (Cinira) e sua figlia (Mirra).

Dove condurranno questi criptici racconti è presto detto nelle battute conclusive del libro. Con grande audacia intellettuale l’autore rimette in gioco la realtà storica della configurazione familiare di Leonardo da Vinci, dalla sua narrazione emerge un’altra realtà la cui matrice è nel mito: la realtà generatrice di fantasmi psichici presenti negli antichi drammi familiari che i tragici greci seppero narrare poeticamente e che solo Freud, in epoca moderna, ha saputo rievocare. Quando, con la psicoanalisi, scopre che al centro e nel cuore della psiche umana si trova l’Edipo, il mito della incerta paternità, «dichiarandolo nucleo essenziale della personalità» (Hillman, 1972).

Nella sua immaginazione si confondevano le carte di quel gioco di tarocchi che era la sua vita, rivelando come in un sogno le figure di una storia inconfessabile: una madre che sarebbe stata una sorella (illegittima: la Caterina), un nonno-padre (Antonio), e uno zio-fratello (Piero) che avrebbe dovuto fingere per sempre di essergli padre. (Vecce, 2017)


Bottega di Leonardo da Vinci, Bacco su un precedente di San Giovanni Battista, 1510-1515 ca.,
olio su tavola di legno trasportata su tela, Parigi, Museo del Louvre



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«Quel che abbiamo potuto indovinare»


Nel capitolo conclusivo del suo Leonardo, Freud riassume e scrive «quel che abbiamo potuto indovinare sullo svolgimento del suo sviluppo psichico». Usa il verbo indovinare per sottolineare il carattere intuitivo e immaginativo della sua ricerca, un approccio reso necessario dalla scarsità di documenti sui quali egli poteva basare le sue ricostruzioni.

In una lettera a Arnold Zweig, Freud scrive: 

Quando nella storia o in una biografia c’è una lacuna insormontabile, lo scrittore può penetrarvi e tentare di indovinare come stessero in realtà le cose. Può benissimo popolare una contrada disabitata con creature della sua fantasia.

Mario Lavagetto in un capitolo del suo bel libro Freud, la letteratura e altro, ricostruisce la genesi del Leonardodi Freud segnalando il ‘caso’ che aveva spinto Freud ad occuparsene. L’autore riporta lo stralcio della lettera di Freud, datata 17 ottobre 1909, indirizzata a Jung:

In questa sua lettera Freud annuncia con singolare ed euforico slancio: «Nel frattempo voglio svelarle il segreto […] anche il grande Leonardo, che era sessualmente inattivo od omosessuale, nei suoi anni infantili ha trasferito la sua sessualità nella pulsione di sapere […]. Poco tempo fa ho incontrato il suo perfetto ritratto (senza il suo genio) in un nevrotico».

Lavagetto fa notare che fu l’incontro fortuito con un particolare paziente a spingere Freud a realizzare il suo progetto su Leonardo da Vinci, un progetto su cui da tempo stava meditandoFreud dunque decise finalmente di occuparsi di Leonardo quando, in qualità di psicoanalista, incontra una persona che a suo giudizio aveva delle caratteristiche, fisiche e psichiche, tali da apparire «il suo perfetto ritratto», era un sosia del Leonardo che Freud aveva in mente, sebbene privo del suo genio. Questo elemento di realtà – la vitale presenza di un paziente/sosia che il medico viennese stava trattando con la psicoanalisi – impregna la freudiana psicobiografia di Leonardo da Vinci. 

Fu dunque determinante per la messa in opera del saggio il casuale incontro che il Dr. Freud, nella Vienna agli inizi del Novecento, fece con un paziente nevrotico che ai suoi occhi e alla sua mente apparve come un ‘caso’ speciale. Per questo la lettura del saggio, il tributo di Sigmund Freud a Leonardo da Vinci, permette di sentir vibrare le corde umane del grande artista e scienziato. Freud, sebbene pieno di ammirazione nei confronti del genio da Vinci, volle avventurarsi da ‘scienziato’ nella esplorazione dei meandri psichici dell’illustre personaggio storico, allo scopo di avvicinarsi quanto più possibile alla conoscenza delle basi costitutive della sua personalità. Una personalità unica e speciale, ma necessariamente formata da basi psicologiche comprensibili con gli strumenti della psicoanalisi. Ne consegue che i tratti psicologici costitutivi della personalità di da Vinci, a parte il suo genio, si sarebbero potuti riscontrare in altri esseri umani vissuti in quell'epoca e, sappiamo, all’epoca di Freud, e dunque riscontrabili in persone della nostra epoca.

Le basi essenziali della psicoanalisi sono costituite da elementi ‘naturalistici’, per questo Freud è stato capace di creare un ritratto psicologico vivo di Leonardo da Vinci, un ritratto che non ha avuto bisogno di polverose cornici celebrative né di complicate cornici teoriche. 

Freud attribuisce agli ‘accidenti’ dell’infanzia di Leonardo i condizionamenti nevrotici della sua personalità: essere stato, nei primi anni della vita, lontano dagli influssi del padre, «in balìa della tenera seduzione di una madre della quale egli era l’unico conforto». Nell’inconscio rimarrà la fissazione alla madre e al periodo di solitaria ‘beatitudine infantile’ vissuto con lei, sebbene poi il sopravvenire di una energica rimozione pone fine «a questa esuberanza infantile».

Secondo Freud, in Leonardo – grazie alla precoce curiosità sessuale – la pulsione sessuale dell’età puberale riesce a sublimarsi in una potente brama di sapere e solo una piccola parte della libido viene rivolta a fini sessuali. Questo è il motivo per cui «Leonardo potrà vivere nell’astinenza e dare l’impressione di un essere asessuato».

Freud scrive che il genio di Leonardo riuscì ad esprimersi senza particolari inibizioni nel primo periodo della sua vita milanese, in quanto l’artista prese finalmente a modello il padre, grazie alla «benevolenza del destino [che] gli fa trovare nel duca Ludovico il Moro un sostituto paterno»: in quel periodo Leonardo attraverso un’energica produttività artistica espresse pienamente la sua potente forza creativa. Ma, aggiunge Freud, il prevalere in lui della spinta a ‘ricercare’ e a inventare andrà a scapito della sua arte pittorica: questo sviluppo segnala il compimento di un «processo che si può paragonare unicamente alle regressioni che avvengono nei nevrotici». Persa la protezione di Ludovico il Moro, Leonardo si allontanò progressivamente dall’arte pittorica e «questa sostituzione regressiva guadagnò sempre più terreno».

La geniale arte pittorica di Leonardo rischiò dunque di inaridirsi proprio al culmine della sua vita. Freud spiega che ciò non accadde perché Leonardo «incontra la donna che desta in lui il ricordo della felicità e dell’estasi sensuale racchiuse nel sorriso della madre». Dipinse allora Monna LisaSant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino e una serie di figure contraddistinte da un misterioso sorriso: «Con l’aiuto dei suoi più antichi impulsi erotici, egli assurge al trionfo di superare, ancora una volta, l’inibizione che grava sulla sua arte».

Nel corso del suo studio su Leonardo, Freud avverte la necessità di segnalare il limite della ‘conoscenza’ che di una persona si può avere per mezzo dell’indagine psicoanalitica: essa «non riuscirà mai a illuminarci sulla necessità che l’individuo sia divenuto quello che è e nessun altro». Pertanto nel ‘caso descritto’ egli dichiara che non vi è alcuna certezza che un’altra persona sarebbe stata capace di sottrarre alla rimozione gran parte della libido per sublimarla in sete di conoscenza. È probabile invece che un’altra persona «sottoposta agli stessi influssi di Leonardo, ne avrebbe riportato un danno permanente dell’attività intellettuale o un’insuperabile disposizione alla nevrosi ossessiva»Lo scienziato dell’anima riconosce umilmente che la psicoanalisi non può avere l’ambizione di chiarire il mistero dell’artisticità di Leonardo, essa semplicemente «ne rende comprensibili le manifestazioni e i limiti». Ribadisce però che solo un uomo con le particolari esperienze infantili di Leonardo, cresciuto in una particolare realtà familiare, avrebbe potuto dipingere la Gioconda e la Sant’Anna.

Sigmund Freud, a conclusione del suo splendido saggio sul 'ricordo d'infanzia' di Leonardo da Vinci, sottolinea filosoficamente il ruolo decisivo della ‘casualità’ nella vita degli esseri umani e si chiede se sia lecito «scandalizzarsi» all’idea che un genio siffatto debba il suo destino al caso che volle che lui nascesse illegittimo e venisse allevato da una matrigna sterile.

E così conclude:

[D]imentichiamo troppo facilmente che nella nostra vita tutto è dovuto al caso, sin dalla nostra origine che scaturisce dall’incontro dello spermatozoo e dell’uovo […]. Tutti noi mostriamo ancora poco rispetto per la Natura, la quale, secondo le parole sibilline di Leonardo “è piena di infinite ragioni che non furon mai in isperienza”. 


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L’errore di Freud: il caso e la necessità


In un capitolo del libro (1992) Révélations de l'inachèvement. À propos du Carton de Londres de Léonard de Vinci, André Green commenta l’errore commesso da Freud nel riportare in tedesco la breve trascrizione che Leonardo fece del suo celeberrimo sogno:

Questo scriver sì distintamente del nibbio par che sia mio destino, perché ne la mia prima ricordazione della mia infanzia e’ mi parea che, essendo io in culla, che un nibbio venissi a me e mi aprissi la bocca colla sua coda, e molte volte mi percotessi con tale coda dentro alle labbra.

L’errore riguarda il nome della specie di uccello che Leonardo cita nel testo, il nibbio. Freud riporta nel suo saggio la traduzione tedesca della Herzfeld che aveva erroneamente tradotto la parola ‘nibbio’ con ‘geier’ che in tedesco significa ‘avvoltoio’. Scrive Green: 

Hühnergeier è uno dei termini tedeschi con i quali viene designato il nibbio, avvoltoio di pulcini.

Il nibbio è un rapace che, poco gloriosamente, sceglie le sue vittime tra i pulcini. Green fa notare che la soppressione della prima parte di questa parola tedesca composta trasformerebbe tout court l’animale in Geier,avvoltoio. Lo psicoanalista francese scrive che all’immaginazione di Freud, uomo di cultura e amante di cose antiche, l’avvoltoio evidentemente ispirasse più del prosaico nibbio.

Si potrebbe pensare che quello che viene considerato un errore o, meglio, una forzata traduzione visto che Freud aveva una buona conoscenza della lingua italiana, la metamorfosi del nibbio in avvoltoio, sia stato invece una metamorfosi letterale generatasi grazie a un fenomeno psichico di associazione, il risultato di una creativa (e geniale) lettura di Freud del breve e prezioso testo di Leonardo. 

Freud ebbe modo di curare due successive edizioni del Leonardo, nel 1919 e nel 1923, e in ciascuna di esse aggiunse delle annotazioni. Nell’edizione del 1919, in una nota aggiunta, Freud commenta la recensione di Havelock Ellis dove l’autore ipotizza che il ricordo di Leonardo potesse avere un fondamento reale, inoltre nella sua recensione Ellis mette in dubbio che il grosso volatile potesse essere un nibbio/avvoltoio. Freud accoglie senza difficoltà l’ipotesi di Ellis: a suo parere essa non inficiava la sostanza della interpretazione psicoanalitica del ‘ricordo d’infanzia’, basata sulla figura dell’avvoltoio quale simbolo della maternità. Accogliendo l’ipotesi di Ellis, Freud elabora l’idea che fosse stata la madre di Leonardo a notare «la visita di un grosso uccello al suo bambino» e che da questo evento ella ne avesse tratto dei presagi. La madre avrebbe potuto narrare più volte al suo bambino questo speciale accadimento e questi «come spesso succede, avrebbe potuto scambiarlo con il ricordo di un’esperienza personale».

Nella edizione del 1919, Freud riporta inoltre la «scoperta» che fece Oskar Pfister nel dipinto Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino di Leonardo, conservato al Louvre: «Nel panneggiamento di Maria, disposto in modo da lasciare interdetti, egli ha rintracciato il profilo dell’avvoltoio e lo interpreta come un crittogramma inconscio.» Freud nel riportare la ‘scoperta’ vorrebbe mantenere un neutro distacco, fa pertanto una premessa: «Oskar Pfister ha fatto una singolare scoperta, il cui interesse è innegabile, benché non tutti si sentiranno disposti a riconoscerne incondizionatamente la validità.» Traspare però la sua soddisfazione nello scoprire che altri confermassero la ‘giustezza’ della sua intuizione e subito manifesta la propria disponibilità a riconoscerne la validità. La disponibilità a riconoscere incondizionatamente la validità del crittogramma scoperto da Pfister esporrà Freud a forti critiche che, nel corso di alcuni decenni, verranno espresse non solo dal mondo accademico degli storici dell’arte ma anche da esponenti di spicco della psicoanalisi.

A mio parere l’imbarazzo che potrebbe causare il ‘riconoscimento della validità’ del crittogramma inconscio scoperto da Pfister proviene dal fatto che esso può essere ‘visto’ solo se ci impegniamo nel gioco di una momentanea e incerta percezione visiva: per accedere alla misteriosa visione di quella primitiva immagine dovremmo riuscire a mantenere, come in gioco infantile, la percezione alterata che l’immaginazione richiede. 

Il “crittogramma inconscio” scoperto da Pfister delineato tra le volute del panneggiamento di Maria nel dipinto di Leonardo, è un pittogramma che, persuasivamente, ci ‘appare’ per suggestione se a indicarcelo con autorevolezza è Sigmund Freud stesso: «A questo punto son certo che il lettore non si sottrarrà alla fatica di osservare la figura […] per cercarvi i contorni dell’avvoltoio visto da Pfister».

Francesco Melzi (1493-1570), Ritratto di Leonardo da Vinci, gesso rosso, Royal Collection Trust 

L’‘errore’ di Freud venne segnalato solamente nel 1923, da Eric Maclagan, su una rivista inglese di storia dell’arte.

Quello che viene considerato un errore di trascrizione/traduzione letterale potrebbe essere invece l’espressione di una diversa e più profonda comprensione del testo letterario: quando ‘l’errore’ scaturisce da una creativa intuizione che proviene in gran parte dall’inconscio del lettore.

Nel corso della temporanea alterazione psichica e intellettiva che genera l’intuizione, chi legge ‘riscrive’ il testo nella sua mente arricchendolo di nuovi e aggiuntivi significati, spesso essi vanno oltre le intenzioni espresse dall’autore del testo, a volte tanto oltre da sorprendere il lettore stesso.

Le novità che casualmente scaturiscono dalla visionaria immaginazione di un lettore emotivamente e intellettivamente coinvolto, possono indurre ‘salti di significato’ che danno nuova vita al testo e lo rendono attuale.

La metamorfosi letterale che può derivare da questo creativo processo, una volta acquisita attraverso la scrittura e resa pubblica, trasmetterà a nuovi lettori questa diversa e più complessa comprensione del testo: nel nostro caso nessun attento lettore contemporaneo del sogno di Leonardo trascritto nell’anno 1505 potrà non tener conto dei nuovi significati che l’incidentale errore di traduzione, inscrittosi nel testo di Leonardo che Freud ha pubblicato nell’anno 1910, ha portato con sé.

Quanto ho cercato di dire si ispira al ‘principio evoluzionistico’ operante in Natura, dove troviamo un elegante modello di facile comprensione: quando un microscopico e casuale errore nel meccanismo di trascrizione del materiale genetico – tra le centinaia di migliaia che naturalmente e casualmente avvengono – non è riparato ma viene assunto nel patrimonio genetico stesso e poi trasmesso, questo causerà nuove combinazioni molecolari che imprimeranno infine una definita mutazione. La ‘casuale’ mutazione genetica si rivela essere ‘necessaria’ a realizzare un vantaggioso salto adattativo, e dunque evolutivo, in una data specie. Questo necessario e creativo fenomeno naturale è stato suggestivamente descritto da un grande scienziato del Novecento, Jacques Monod, in un testo divulgativo Il caso e la necessità, un libro prezioso che mantiene la freschezza dei classici che i lettori ‘rileggono’ perché fonte inesauribile di meraviglia e di conoscenza. Riguardo all’evoluzione come processo “necessariamente irreversibile che definisce una direzione nel tempo…”, Monod scrive:

[T]ale principio non esclude la possibilità che un sistema macroscopico qualunque, in un movimento di piccolissima ampiezza e per una brevissima durata, possa risalire la china dell’entropia, cioè vada in qualche modo a ritroso nel tempo […] l’evoluzione selettiva, fondata sulla scelta dei rari e preziosi incidenti che l’immensa riserva di eventi casuali a livello microscopico contiene, in mezzo a infiniti altri, rappresenta una specie di macchina per risalire il corso del tempo.

Concludo con le parole di André Green: «Il Ricordo d’infanzia rimane un’opera capace di dire qualcosa su Leonardo che solo Freud poteva dire».


(Maggio 2020)

Bibliografia

  • Leonardo da Vinci. Il genio universale, collezione «I Geni del Rinascimento», De Agostini, Novara 2018.
  • Freud, SigmundUn ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci, (1910), in Id.Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, Torino 1991.
  • Freud, Sigmund e Zweig, ArnoldBriefwechsel, Fischer, Frankfurt am Main 1968.
  • Da Vinci, LeonardoL’uomo e la natura, a cura di Mario De Micheli, Feltrinelli, Milano 2018.
  • De Mijolla, AlainPreistorie di Famiglia, (2004), Astrolabio-Ubaldini, Roma 2012.
  • Ellis, Havelock, «A Psycho-analytic Study of Leonardo da Vinci [Eine Kindheitserin-nerung des Leonardo da Vinci]. (Schriften zur Angewandten Seelenkunde, H. 7, 1910.) Freud, S.», Journal of Mental Science, Volume 56, Issue 234, July 1910, pp. 522-523.
  • Green, AndréRévélations de l'inachèvement. À propos du Carton de Londres de Léonard de Vinci, Flammarion, Paris 1992.
  • Fumagalli, Giuseppina (a cura di), Leonardo omo senza lettere, Sansoni, Firenze 1939.
  • LavagettoMarioFreud la letteratura e altro, Einaudi, Torino 2001.
  • Maclagan, Eric, «Leonardo in the Consulting Room», The Burlington Magazine, n. 42, London: January 1923.
  • Hillman, JamesIl mito dell'analisi, (1972), Adelphi, Milano 2012.
  • Monod, JacquesIl caso e la necessità, Mondadori, Milano 1974.
  • Nabokov, VladimirLezioni di Letteratura, (1980), Adelphi, Milano 2018.
  • Ogden, Thomas H., Il leggere creativo, CIS Editore, Milano 2012.
  • Olivero, Dario, «Tutto iniziò e finì con “Il primo uomo”», Robinsonla Repubblica, 28 dicembre 2019.
  • Pfister, Oskar, «Kryptolalie, Kryptographie und unbewusstes Vexierbild bei Normalen», Jahrbuch für Psychoanalytische und Psychopathologische Forschungen 5, 1913, pp. 117–156.
  • Rubin, GabrielleIl romanzo familiare di Freud, (2002), Alpes, Roma 2018.
  • Vasari, GiorgioLe vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori, Einaudi, Torino 1991.
  • Vecce, CarloLa biblioteca perduta. I libri di Leonardo, Salerno Editrice, Roma 2017.




1 commento:

  1. se non sbaglio, è il primo saggio monografico italiano sul bellissimo “Leonardo” di Freud dopo quasi un decennio (dalle “Note” di Alessandro Serra), e che ne sia venuto a conoscenza il giorno dopo la pubblicazione della seconda parte lo ascrivo all’imperscrutabilità delle vie sincroniche. buona fortuna!

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