23 ottobre 2019

«“A sinistra in fondo al corridoio”. Intervista a Patrizia Carrano» di Doriano Fasoli


Patrizia Carrano nella sua casa romana (foto di Roberto Canò, ottobre 2019)

Patrizia Carrano è nata a Venezia dove ha trascorso l'infanzia, ma vive e lavora a Roma. Scrive per la radio e la televisione; come scrittrice ha esordito con Malafemmina. La donna del cinema italiano (1977), cui è seguito Le signore Grandifirme (1978). È autrice, tra l'altro, dei libri La Magnani (1982), Stupro (1983), Baciami stupido (1984), Una furtiva lacrima (1986), Erna Rossofuoco (1989), Cattivi compleanni (1991), L'ostacolo dei sogni (1992). La sua produzione narrativa più recente comprende la raccolta di racconti Notturno con galoppo (1996), Campo di prova (2002) e i romanzi A lettere di fuoco (1999) e Illuminata. I suoi libri sono tradotti in cinque lingue.

È in libreria da due settimane un nuovo romanzo di Patrizia Carrano, dal titolo A sinistra in fondo al corridoio (1000eunanotte). Una saga familiare, che intreccia le vicende spesso rissose di genitori, figli e figliastri, cognate intriganti di stretta osservanza cattolica e anziani professori nostalgicamente legati al ricordo del vecchio Partito Comunista. Il tutto visto e raccontato da una angolatura abbastanza inedita: quella dei domestici che nei decenni si sono avvicendati a lavorare nel vasto appartamento del quartiere Nomentano a Roma dove abitano i protagonisti. 

Doriano Fasoli: Cosa c'è a sinistra in fondo al corridoio?

Patrizia Carrano: Solo la stanzetta della domestica – o del domestico – così come l'aveva previsto l'architetto che nel 1935 ha progettato l'appartamento dove vivono i miei protagonisti: una casa costruita con agio, con salone doppio, stanza da pranzo, studio, ampia zona notte. Ma per la persona di servizio un bugigattolo di due metri per due collocata, appunto, a sinistra in fondo al corridoio.

Poiché questo romanzo racconta la storia di una famiglia attraverso lo sguardo delle persone che hanno lavorato in quella casa, mi sembrava giusto partire da lì.

Da dove nasce la decisione di dar voce ai domestici? 

Perché mi sono resa conto che fra la domestica veneta e semianalfabeta che negli anni Cinquanta andava a servizio quasi gratis, e il badante peruviano, che oggi ha dovuto smettere di fare l'università nel suo paese e cercare lavoro in Europa, corre un intero universo che fino ad oggi la narrativa italiana non ha mai raccontato. Mi è piaciuto osservare, capire e narrare gli intrecci fra colf, badanti, portinaie e i personaggi della famiglia dove hanno lavorato. Il libro si svolge quasi tutto in un appartamento, ma in quelle stanze confluiscono filippini, equadoregni, e prima ancora donne del Frusinate, oppure dell'Appenino marchigiano. Ognuno con il proprio mondo, le proprie necessità. Tutte stipate in una stanzetta due per due.

Nel lancio del romanzo si parla di una sorta di Downton Abbey italiano. È per questo che esce ora, in concomitanza con il film ispirato alla serie?

Ho cominciato a lavorare a questa storia quattro anni fa, ancor prima di dare alle stampe il mio memoir su Giorgio Manganelli Un ossimoro in Lambretta. Ma è indubitabile che l'editore abbia acchiappato al volo questa coincidenza. Anche se là si parla di aristocrazia inglese e qui di una famiglia della media borghesia. Il marito della protagonista, che poi resta vedova, è un dotto studioso del Vicino Oriente Antico. Nella casa del professore e di sua moglie corrono più libri che soldi. Ma questo non elimina certe grettezze che i “signori" scaricano sui domestici che si avvicendano negli anni. Se il professore fosse stato un commerciante destrorso, forse avrei intitolato il romanzo A destra in fondo al corridoio. Invece lui e sua moglie Clara si considerano dei ferventi democratici. Temo che la sinistra abbia perso ormai da tanto tempo la sua capacità di interagire con molte parti della società. È uno dei suoi grandi problemi. 

Ma succede qualcosa di particolare in quell'appartamento e in quel corridoio?

Se cerchiamo un delitto, con tanto di cadavere e omicida, questo no. Non siamo dalle parti de Le serve di Jean Genet. Ma quotidiani e crudeli delitti contro la dignità, e alcuni omaggi all'indifferenza, sono assicurati. Ho scelto volutamente un tono lieve, un po' sarcastico, che spero diverta il lettore. Posso avere una scrittura che sfiora la malinconia o il dolore (è successo in altri miei libri), ma per natura rifuggo dal mugugno letterario. Senza contare che questo sguardo obliquo mi ha consentito di mettere in scena personaggi e luoghi che di solito non abitano la nostra narrativa. Per esempio, sono molto affezionata a un ciabattino della Bufalotta che ha un suo peso nel racconto; o alla banca filippina che sta alla Stazione Termini dove va la domestica Melinda a spedire i suoi denari a casa… E dove, parlando la sua lingua, medica la propria nostalgia.

E poi, ogni tanto, c'è un box con dei dati…

Inusuale per un romanzo. Vogliamo chiamarla "commistione dei generi"? In realtà sono dieci righe per ognuno degli otto capitoli. Tenevo a illuminare lo stato delle cose con qualche elemento in più. La mia speranza è che i personaggi abbiano la forza di trascinare il lettore fino alla fine con la vivacità dei loro caratteri. Mi pare che questo succeda, ma non sono io a poterlo dire.

La maggior parte dei domestici sono stranieri

Oggi sì. Vista la nostra endemica scarsità di servizi sono ormai indispensabili per assistere gli anziani. Però è un esercito di invisibili, i cui diritti sono spesso elusi, ignorati e traditi. Le cui emozioni, ferite, nostalgie, hanno scarso diritto di cittadinanza. Ma ripeto, questo è un romanzo, non un saggio: e dunque ci sono amori e disamori, tradimenti e sgambetti, sorellastre invidiose e belle ragazze, e non mancano dei fatali colpi di scena, delle trattative all'ultimo sangue sulla proprietà dell'appartamento. Che ha un debito con quello costruito per dallo scenografo Luciano Ricceri per film di Ettore Scola La famiglia: per segnare il trascorrere dei decenni la macchina da presa faceva un lungo carrello in avanti in un lungo corridoio. Una sequenza che si ripeteva più volte nel film, e che non ha mai smesso di suggestionarmi.

Non credo sia un caso che negli appartamenti di oggi il corridoio è quasi scomparso. È uno spreco di spazio, ma è anche una terra di nessuno, un altrove fortemente simbolico, un «luogo non luogo», per dirla con Manganelli. È stato divertente metterlo al centro di un romanzo.

Doriano Fasoli

(Ottobre 2019)





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