14 ottobre 2018

«Le complesse oscurità dell’“Edipo Re”» di Valter Santilli



La rappresentazione dell'Edipo re vista l'8 luglio, in prima mondiale, nella suggestiva e straordinaria cornice del Teatro Grande di Pompei – pieno di un pubblico giovane – non è propriamente la rappresentazione testuale della tragedia scritta da Sofocle, essa è certamente la pregevole realizzazione teatrale di un grande regista, Robert Wilson, considerato tra i più importanti artisti visuali e teatrali al mondo. Wilson ha rivolto il suo sguardo e la sua creativa sensibilità all'antico mito/leggenda del re Edipo. Wilson con linguaggio artistico multisensoriale/sinestesico, poliglotta e multiculturale, particolarmente espressivo, propone al pubblico un originale 'evento teatrale', uno spettacolo di grande potenza evocativa, fatto di danza, musica e poesia. Lo spettacolo è ispirato alla tragedia Edipo re, l'esemplare opera di Sofocle rappresentata la prima volta ad Atene nel 429 a.C. nel teatro di Dioniso, il teatro che servì da modello per la costruzione dell'antico Teatro Romano di Pompei.

Il regista americano in una intervista tiene a marcare le coincidenze che si sono date in un arco temporale che va ben oltre i due millenni: per questo l'Oedipus di Wilson, dopo Pompei, verrà replicato nel mese di ottobre a Vicenza, nel Teatro Olimpico del Palladio e poi di seguito a Napoli presso il Teatro Mercadante, nel gennaio 2019, prima della tournée internazionale.

Pierre Vidal-Naquet ha scritto, nel testo Mito e tragedia due, che la storia moderna del teatro di Sofocle comincia il 3 marzo del 1585, data in cui venne rappresentato Edipo tiranno nel Teatro Olimpico del Palladio a Vicenza. L'illustre grecista ha modo di commentare che, purtroppo, il cielo dipinto che domina la scena del Teatro Olimpico non può essere paragonato all'aria aperta del teatro greco. Da allora, scrive, ogni generazione tenta di scoprire il vero Sofocle e il vero Edipo, di comprendere quanto più possibile il significato che avesse, per il suo autore e per il pubblico ateniese del V secolo, la rappresentazione di questa straordinaria tragedia.

Nell'era moderna, durante il secolo a noi più vicino, Sigmund Freud è stato colui che più di altri è riuscito a 'rivitalizzare' i contenuti di questa antica e 'oscura' tragedia di Sofocle, rendendo di nuovo il nome e le vicende di Edipo culturalmente vivi, 'palpitanti' e popolari. Freud trasse dalla polverosa trama della antica tragedia alcuni attuali e profondi significati psicologici che egli legò a «un evento [psichico] generale della prima infanzia [...]. Se è così, si comprende il potere avvincente dell'Edipo re». In campo letterario, in epoca moderna, diversi grandi autori hanno sentito il bisogno artistico di rivisitare la tragedia di Edipo – secondo Aristotele essa era la tragedia per eccellenza – tra questi Hölderlin, Hofmannsthal, Gide, Cocteau per finire con Pasolini e la sua opera filmica Edipo re.

La saggistica specialistica e gli autori più accreditati leggono in questa mitica vicenda descritta poeticamente da Sofocle un intento prettamente politico: il focus dell'opera, e dunque del suo autore, sarebbe centrato sulla civile volontà di riaffermare la bontà dei valori costitutivi della polis ateniese; a questo scopo, per mezzo della rappresentazione tragica, la comunità della 'democratica' Atene veniva messa a confronto con le vicende di un'altra realtà comunitaria e con le arcaiche istituzioni politiche della città di Tebe: la tirannide esercitata nella città di Tebe viene artisticamente confrontata con l'istituzione della democrazia vigente ad Atene nel V secolo a.C. La rappresentazione tragica delle vicende del re di Tebe, Edipo, avrebbe avuto principalmente lo scopo di mettere in guardia gli ateniesi sul grave rischio per la polis nel caso questa venisse retta da una tirannide: il destino personale del tiranno si intreccia totalmente con il destino dell'intera polis, secondo la personalistica formula del potere assolutistico «L'État, c'est moi». James Hillman, nel saggio «Edipo rivisitato»scrive che per Sofocle la polis è il centro del dramma, egli scrive anche che «i misteri del parricidio e della polis sono inscindibili».


Károly Kerényi in «Edipo: due saggi» scrive che nel dramma teatrale di Sofocle agli spettatori tutto appare chiaro, «nulla vi è da chiarire», ma non è così per i protagonisti del dramma che sono «irretiti nel [loro] destino». La tragedia inizia con le lamentazioni del sacerdote di Zeus e dell'intera comunità tebana mentre si recano al palazzo del tiranno per chiedere al re aiuto e soccorso per le distruttive conseguenze della peste che ammorba la città. Tutti si rivolgono supplici e fiduciosi al loro re che già una volta aveva salvato Tebe dalla tirannide della Sfinge: il mostro alato che interrogava i giovani tebani su enigmi apparentemente insolubili per poi divorarli uno per volta perché nessuno di loro era in grado di dare una giusta soluzione all'enigma che essa poneva. Fu il giovane straniero, Edipo, che dimostrando un grande acume e una grande immaginazione riuscì finalmente a risolvere l'enigma e a sconfiggere così il mostro: avendo egli liberato la città dal tormentoso assedio gli viene data in sposa la regina Giocasta.

La rappresentazione delle conseguenze della peste epidemica, che sulla scena a Tebe causa morte e distruzione, gli ateniesi, realisticamente, ben conoscevano per averla patita storicamente anni prima che la tragedia di Sofocle venisse rappresentata. Il re Edipo rivolgendosi ai giovani tebani, e alla popolazione tutta, stremata, dice: «So che tutti siete malati e pure non v'è nessuno di voi che sia malato al pari di me» (v. 59-61). L'espressione ambigua del re Edipo il pubblico la comprende, ma per «ironia tragica» – scrive Kerényi – non può essere compresa pienamente dal tiranno che sulla scena la esprime. Il peso della malattia che grava su Tebe il re Edipo la assume autorevolmente e responsabilmente su di sé. L'espressione diventa ancora più chiara ed esplicita per il pubblico quando sul finire della tragedia anche Giocasta confesserà: «Già bastantemente malata sono io!» (v. 1061). In queste e in altre soggettive espressioni dei protagonisti della tragedia il dramma politico diventa necessariamente anche un dramma esistenziale e dunque psicologico. Kerényi, nel suo saggio, a proposito della piena comprensione dei significati della tragedia di Sofocle, si chiede, riferendosi alla interpretazione che ne da Freud: «Non sarà forse che il medico si è avvicinato alla concreta realtà di Sofocle più dei filosofi?» Sulla scia di questa domanda si potrebbe inferire che Sofocle volesse 'riflettere' al pubblico ateniese non solo gli aspetti politici che coinvolgevano la comunità intera ma anche alcuni umani temi esistenziali propriamente individuali, e quindi psichici. Kerényi scrive infatti che «Sofocle coglie anche quella sofferenza umana sulle cui tracce Freud incessantemente muoveva».

Nel libro Variazioni su Edipo, scritto a due mani con Kerényi, James Hillman, nel saggio «Edipo rivisitato»scrive sul potere del mito: egli scrive che gli antichi greci non conobbero una psicologia del profondo e tantomeno una psicopatologia perché essi avevano a disposizione una grande risorsa culturale rappresentata dai loro 'miti'.

In questo saggio Hillman cita un interessante passo di Jung tratto da Simboli della trasformazione (1912):

Chiunque sia riuscito a leggere L'interpretazione dei sogni di Freud […] sarà stato certamente scosso dal passo di Freud, là dove egli rammenta che alla base di quel poderoso tema drammatico dell'antichità che è la leggenda di Edipo, vi è un conflitto psicologico individuale, cioè una fantasia incestuosa. [...] [S]e seguiamo il cammino tracciato da Freud […] l'abisso che divide la nostra epoca dall'antichità viene colmato e ci avvediamo allora con stupore che Edipo vive ancora.

Secondo Freud l'azione della tragedia di Sofocle consiste «nella rivelazione gradualmente approfondita e ritardata ad arte – paragonabile al lavoro di una psicoanalisi – che Edipo stesso è l'assassino di Laio.» Hillman deduce che il mito per eccellenza tramite cui la psicoanalisi si congiunge all'antichità è certamente l'Oidípūs týrannos di Sofocle.


Sull'attualità 'psichica' del mito Freud ha scritto che «[s]e il re Edipo riesce a scuotere l'uomo moderno non meno dei greci suoi contemporanei, la spiegazione può trovarsi nel fatto che […] [d]eve esistere nel nostro intimo una voce pronta a riconoscere la forza coattiva del destino di Edipo». Egli non esitò dunque ad introdurre nella clinica psicoanalitica, e di fatto nel pensiero moderno contemporaneo, il basilare concetto di complesso di Edipo. Nella lettera del 15 ottobre del 1897, indirizzata a Wilhelm Fliess, Freud scrive con palpabile emozione: «Ho trovato amore per la madre e gelosia verso il padre […] e ora ritengo che questo sia un fenomeno generale della prima infanzia. Se è così si comprende l'interesse palpitante che suscita l'Edipo re». L'uso che egli fa dell'aggettivo palpitante dice molto del profondo turbamento emotivo provato nel dover riconoscere in sé quegli oscuri e intensi sentimenti, riconoscere insomma il proprio complesso edipico. Suggestivamente – in uno stile volutamente oracolare – un grande psicoanalista contemporaneo, Christopher Bollas, nel finale di alcune sue brillanti riflessioni, argomentate nel testo «Perché Edipo?», scrive che «è il complesso che indica la risoluzione del dilemma edipico.»

Nel poscritto del suo saggio su Edipo, Hillman riconosce che Freud ebbe grande fiuto nell'individuare in questo dramma la materia archetipica e, nello stesso tempo, l'espressione letteraria che meglio riuscivano a descrivere alcune delle 'realtà psichiche' che erano alla base delle geniali intuizioni cliniche di Freud; egli scrive inoltre che «questo dramma mette in scena direttamente il pensiero inquisitorio e il metodo euristico della nostra cultura». Non è dunque un caso che la tragedia Edipo re di Sofocle sia considerata uno dei capisaldi della letteratura occidentale di tutti i tempi, che essa venga tutt'oggi rappresentata, suscitando ancora nel pubblico profonda emozione e grande interesse, e che su di essa gli studiosi di discipline umanistiche continuino ancora a 'riflettere'.

Sono stato parte del pubblico che ha avuto il privilegio di assistere alla suggestiva rappresentazione di Robert Wilson a Pompei, un pubblico di teatro sufficientemente colto per il quale la storia della leggenda di Edipo era certamente nota; sicuramente i particolari della storia erano ben conosciuti dal pubblico degli ateniesi del V secolo a.C.

Nonostante della leggenda vi siano numerose varianti, riportate da diversi autori, sono due i 'fatti' cruciali della storia che rimangono costanti in tutte le versioni che si hanno del mito: Edipo uccide il padre e poi prende in sposa la madre.

Sofocle nel riproporre poeticamente la leggenda tesse una 'spettacolare' e complessa trama narrativa, che è propria della tragedia, attraverso «l'uso frequente di metafore sinestetiche e l'armonizzazione esplicita di esperienze visive e acustiche in momenti di alto valore drammatico» (Charles Segal). Questi multipli piani narrativi danno corpo alla drammatica inchiesta di Edipo e fungono da appigli per le molteplici letture antropologiche; essi riescono a penetrare nella dimensione esistenziale dell'individuo partendo dalla originaria costituzione della dimensione gruppale della famiglia: un crogiuolo di complesse relazioni umane dove convivono differenti livelli generazionali e specifiche differenze di genere. 

La tragedia Edipo re ha dunque inizio con la denuncia dei 'sintomi' del male che affligge la città; gli spettatori della tragedia conoscono la storia – allo stesso modo in cui sulla scena la conoscono gli Oracoli del Dio Apollo e Tiresia, il sapiente, – essi sanno che il male ha le proprie radici in determinati 'fatti' che tutti conoscono, tutti tranne i protagonisti del dramma stesso.

Lo splendore regale di Edipo inizia ad offuscarsi quando le manifestazioni del male che ammorba la città di Tebe vengono denunciate dal popolo tutto e dal sacerdote di Zeus, essi si recano alle porte del Palazzo per invocare la protezione del re che viene così costretto ad interrogare e ad interrogarsi sull'enigma di questo male. Nel corso del dramma l'interrogazione del re Edipo si fa serrata – come serrata era stata l'interrogazione della Sfinge – ed egli rimane fiducioso sulla capacità di 'risolvere' anche questo enigma.

Quello che accade sulla scena è una progressiva presa di coscienza della propria indecidibile identità, un progressivo smascheramento della parziale identità di Edipo, quella 'fittizia', che disperatamente i protagonisti del dramma vorrebbero proteggere: il re Edipo assume su di sé l'onere di legare i 'fatti', che molti conoscono, con gli indizi che nel corso della sua inchiesta egli man mano raccoglie da quei testimoni che videro e vissero gli eventi significativi che precedettero la gloriosa entrata del giovane Edipo nella città di Tebe. La tenacia del re Edipo nel voler conoscere le proprie origini, alla quale Giocasta per prima tenta inutilmente di opporsi, sarà il motore del suo doloroso processo di conoscenza.


Edipo finalmente chiarirà i 'fatti' di cui egli era stato tenuto all'oscuro: all'origine di tutto il precocissimo abbandono di lui neonato da parte dei suoi genitori nella selva del Monte Citerone, a piedi legati. Egli viene dunque a sapere che il pastore che era stato incaricato di abbandonarlo nella selva, pietosamente lo aveva ceduto ad un altro pastore che lo porta a Corinto per farne dono ai regnanti senza prole, il re Polibo e la regina Merope.

Il giovane Edipo ignorava tutto questo e mai avrebbe dubitato della sua identità filiale se un commensale ubriaco, nella reggia di Corinto, non lo avesse messo sull'avviso dicendogli pressappoco: «Chi credi di essere? Tu non sei il figlio del re di Corinto!» La verità tenta di farsi strada ma viene subito censurata, sebbene poi, spinto da quella insinuazione e da un suo interno dubbio, il giovane Edipo sentirà il bisogno di recarsi a Delfi, per interrogare l'Oracolo sulle proprie origini. Ma a Delfi ascolta una tremenda profezia – che lo lascia sgomento – secondo la quale egli avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Per sfuggire ad essa Edipo cambia strada, non farà ritorno a Corinto, e in un trivio si imbatte in un autoritario e superbo uomo su un carro, supportato dai suoi servi: non sarà questo un incontro ma uno 'scontro', il giovane Edipo non riconosce l'autorevolezza di quell'uomo. L'araldo gli intima bruscamente di spostarsi e di far passare il re, ma il giovane Edipo va dritto per la sua strada e Laio allora lo colpisce con una sferza, ferendolo. Il giovane si avventa su di loro e li uccide con un bastone: solo nel corso delle sue interrogazioni il re Edipo saprà che l'uomo che aveva ucciso sul trivio era Laio, il tiranno di Tebe e, con orrore, scoprirà che lui era l'uomo che lo aveva generato.

Edipo arriva a Tebe, la città è assediata dalla Sfinge, scioglie l'enigma che il mostro pone tutti i giorni ai giovani tebani e libera la comunità da questo assillo, che era stato mortale per molti di loro. Il giovane Edipo dunque entra in 'scena', a Tebe, acquisendo immediatamente la fama di 'uomo sapiente' e questa fama coprirà la parte oscura di sé, quella del giovane straniero vagabondo angosciato da una orribile profezia che gli era stata trasmessa dall'oracolo di Apollo: acclamato dal popolo tebano, Edipo rimuove presto da sé il sanguinoso incidente nel corso del quale egli, furioso, aveva compiuto una strage: aveva ucciso un re sul carro insieme al suo araldo e ai suoi servi, tranne uno. 

Il risolutore dell'enigma, liberata la città dal mostro che interroga, viene acclamato dai cittadini di Tebe i quali, riconoscenti, gli offrono in sposa Giocasta, la loro regina, la vedova del re Laio: da lei Edipo avrà quattro figli.

Riprendendo la sintetica formula freudiana, la tragedia descrive dunque il progressivo 'svelamento', attraverso ambigui indizi e colpi di scena, di chi era stato ad uccidere il re Laio, tiranno di Tebe. L'Oracolo di Apollo, che Creonte interrogherà su mandato del re Edipo, sancisce che questo sanguinoso evento è la causa della peste che ammorba la città e che fino a quando il responsabile del delitto non sarà trovato e scacciato il male della città non avrà fine. Sarà allora lo stesso re Edipo che comanderà a tutti i suoi sudditi di scovare costui e di cacciarlo via dalla città per liberare dal male la comunità. Nel corso della sua indagine Edipo, autorevolmente, interrogherà il sapiente Tiresia e tutti coloro che a suo tempo furono testimoni degli eventi all'origine della peste. Egli arriva progressivamente, e drammaticamente, alla consapevolezza della propria duplice identità: essere colui che ha il potere e la volontà di scacciare la causa del male che attanaglia la città, e riconoscere di essere lui stesso la causa di quel male. Edipo svela a se stesso e all'intera comunità di Tebe la sua intollerabile identità, ma essa è tanto abbagliante da accecarlo, preda della rabbia e del dolore, e sulla scena egli letteralmente si acceca con le fibbie d'oro prese dalle vesti di Giocasta, ormai senza vita. La regina ritiratasi nel palazzo si procura la morte, ella era ormai dolorosamente consapevole di chi fosse Edipo. 

La descrizione più chiara e sintetica che ho letto sul profondo significato letterario e filosofico del 'dramma tragico' è quella contenuta in un passo di Jean-Pierre Vernant, in Mito e tragedia due:

Vi è tragedia quando, attraverso la costruzione di questa esperienza immaginaria che costituisce una trama, con la sua progressione drammatizzata, questa mìmesis pràxeos, come dice Aristotele, questa simulazione di un sistema coerente di azioni successive che conducono alla catastrofe, l'esistenza umana accede alla coscienza, insieme esaltata e lucida, tanto del suo inestimabile valore quanto della sua estrema vanità.

I tanti appassionati di teatro che non hanno assistito a Pompei alla prima suggestiva rappresentazione di Oedipus di Robert Wilson non perdano l'occasione di vederla a Vicenza, in ottobre, nella storica cornice del Teatro Olimpico del Palladio, oppure a Napoli, ultima data italiana, nel mese di gennaio del 2019. Da spettatore mi permetto di dare un suggerimento – maturato sulla base di una personale esperienza di imbarazzo mentre assistevo allo spettacolo – che spero sia utile per quanti vogliano apprezzare pienamente questa sfavillante e originale rappresentazione teatrale: per riuscire a godere piacevolmente dello spettacolo è necessario tenere bene a mente l'intera storia di Edipo, per questo è bene rileggere il testo prima di andare a teatro, e non dopo. Sarà sicuramente fruttuoso rileggere il testo originale di Sofocle nella classica traduzione di Romagnoli alla quale Wilson fa esplicito riferimento. La lettura preventiva del testo aiuterà a diradare le oscurità provenienti dalla visione dello spettacolo del regista americano.

Ha scritto con pregevole chiarezza Carl Segal che «è proprio la potenza della scrittura dietro le quinte che permette di mettere insieme in modo organico visione, discorso e ascolto nella rappresentazione multimediale.» È bene premunirsi di rileggere il testo per tenere facilmente a mente il filo di questa straordinaria narrazione che, a distanza di ventiquattro secoli, mantiene intatto il potere di 'interrogarci', questo permetterà di percepire chiaramente l'estetico filo creativo che è alla base della potenza suggestiva dello straordinario spettacolo teatrale di Wilson.


(Settembre 2018)


Bibliografia

  • Bollas, Christopher «Perché Edipo?», in Bollas, Christopher et al.Perché Edipo?, Borla, Roma 1993.
  • Freud, SigmundLe origini della psicoanalisi. Lettere a Wilhelm Fliess, abbozzi e appunti 1887-1904, Boringhieri, Torino 1986.
  • Giannakoulas, AndreasThanopulos, Sarantis (a cura di), L'eredità della Tragedia, Borla, Roma 2006.
  • Jung, Carl GustavSimboli della trasformazione, Boringhieri, Torino 2012.
  • Hillman, JamesKerényi, KárolyVariazioni su Edipo, Cortina, Milano 1992.
  • Segal, Carl, «L'uditore e lo spettatore»in Vernant, Jean-Pierre (a cura di), L'uomo greco, Laterza, Roma-Bari 1991.
  • SofocleEdipo re, Edipo a Colono, Antigone, Mondadori, Milano 1990. Trad. it. di Raffaele Cantarella; a cura di Dario Del Corno.
  • Vernant, Jean-PierreVidal-Naquet, Pierre (a cura di), Mito e tragedia due, Einaudi, Torino 1991.







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