L’inconscio e l’aporia del nulla (Moretti & Vitali,
pp. 108, euro 12), l’ultimo libro di Gabriele Pulli, professore di Psicologia
filosofica presso l’Università di Salerno, è una sorta di seconda parte del
precedente Freud e Severino (Moretti
& Vitali 2009; premio De Risio 2010).
Doriano Fasoli: Un altro suo libro, dunque, al confine fra tematiche
psicoanalitiche e tematiche filosofiche…
Gabriele Pulli: Non
è una cosa cercata ma una cosa trovata. Inizialmente, per me, per puro caso.
Ero da poco tempo uno studente di filosofia e – all’epoca alla Standa – trovai
in uno scaffale un libricino arancione dal titolo Al di là del principio del piacere, all’epoca al costo di mille
lire. L’autore, ovviamente, era Sigmund Freud. Poiché non avevo ancora avuto
un’esperienza forte con testi di filosofia, quello fu il mio primo rapporto
diretto con la filosofia. Lo so che non si tratta di un testo filosofico in
senso stretto, e neanche intendo dire che Freud sia stato un filosofo, ma vi trovai
una gran quantità di problemi filosofici. E per di più di quelli che interessavano
me. Intendo dire problemi in cui Freud si era imbattuto suo malgrado. Da allora
mi è rimasta la convinzione che i problemi filosofici più profondi non siano
quelli che ci si pone ma quelli nei quali ci si imbatte indipendentemente dalla
propria volontà, quelli contro i quali si sbatte la testa. Come era capitato
appunto a Freud.
Ma che rapporto c’è fra l’inconscio e
l’aporia del nulla?
L’aporia
del nulla è appunto un problema filosofico. Probabilmente il più profondo. Il
non essere non è, ma con il solo pensarlo lo si tratta come qualcosa che è,
appunto come l’oggetto del pensiero. Ed è in questo, nel trattare il nulla come
qualcosa, che consiste l’aporia del nulla. Il nulla però può essere pensato,
qualora lo si riesca a pensare come inesistente. In questo caso, non è trattato
come qualcosa ma appunto come nulla, sicché l’aporia può essere risolta. È
quanto fa Severino. Anche l’inconscio è di per sé la sfera dell’impensabile e
tuttavia le teorie dell’inconscio in quanto tali mirano a pensarla in qualche
modo. Ora, il tema della impensabilità o pensabilità del nulla e il tema
dell’impensabilità o pensabilità dell’inconscio sono strettamente connessi.
Forse sono addirittura lo stesso tema: un tema che può sembrare astratto ma che
racchiude il senso del dolore, del desiderio, della nostalgia, della
solidarietà, e di tutto ciò che più intimamente riguarda ciascuno di noi.
Lei ha citato la soluzione severiniana
dell’aporia, più volte contestata e altrettante volte ribadita. Come si pone il
suo libro rispetto a questa?
La
mia intenzione non è fare un passo indietro rispetto alla soluzione severiniana
dell’aporia, contestandone la validità, bensì un passo avanti, accettandone dunque
la validità, ma affrontando al tempo stesso temi e problemi che si aprono a
partire da tale soluzione. Dunque, in questo senso, se mi posso permettere di
dirlo, integrandola.
Per esempio?
La
soluzione dell’aporia può essere ancora più pervasiva. Trattare il nulla come
qualcosa, che è la causa dell’aporia, può essere inteso nel contempo come una
soluzione dell’aporia stessa. Se anche, persino, il nulla è qualcosa allora non
c’è proprio niente, assolutamente niente al di fuori di ciò che è, niente che
non sia qualcosa. Allora proprio, assolutamente, il non essere non è. Dunque il
nulla è pensato come inesistente, e pensare il nulla come inesistente è ciò che
risolve l’aporia. Ma tutto questo sarebbe qualcosa di astratto, un vuoto gioco
di parole, se non avesse un posto preciso nella vita psichica, se non
corrispondesse addirittura all’intera sfera affettiva. Tale trattare il nulla
come qualcosa, inteso come un altro più radicale modo di trattare il nulla come
nulla, corrisponde infatti al dolore da una parte, al desiderio dall’altra.
In che senso?
Quando
ci dispiace che qualcosa che amiamo finisca nel nulla, quando ci dispiace per
ciò che amiamo, vuol dire che stiamo supponendo che ciò che amiamo stia
soffrendo. E dunque stiamo trattando il nulla in cui pensiamo sia finito come
qualcosa: come un luogo in cui si ha nostalgia del mondo. Se trattassimo il
nulla come nulla non potremmo soffrire perché ciò che ci sta a cuore soffre.
Perché ciò che ci sta a cuore, finendo nel nulla che non è qualcosa ma è nulla,
cesserebbe di esistere, e non esistendo non potrebbe soffrire. Dunque
preferiamo soffrire a nostra volta piuttosto che pensare che ciò che amiamo non
esista. Il nostro dolore è, per così dire, un modo per tenere in vita ciò che
amiamo. Il dolore ci protegge dall’angoscia dell’annullamento. Questo,
naturalmente, detto in modo molto schematico e incompleto.
E il desiderio?
Il
desiderio si genera quando il nulla prende le vesti di qualcosa. L’oggetto del
desiderio è un nulla che ha preso le vesti di qualcosa. E il senso del desiderio
sta proprio in questo: nell’affermarsi dell’essere sul nulla. Anche il nulla,
persino il nulla diventa qualcosa. Dunque appunto l’essere si afferma sul
nulla. E ciò è appunto quanto più c’è di desiderabile, l’essenza del
desiderabile. Si potrebbe pensare che se l’oggetto del desiderio è un nulla,
esso resti irraggiungibile, che si creda di raggiungerlo ma non si raggiunga
nulla. Si potrebbe pensare insomma che il desiderio sia pura illusione. Io ritendo
invece che proprio in ragione di questo rapporto, di questo determinato
rapporto, con il nulla, e cioè in quanto il suo oggetto è appunto un nulla
trattato come qualcosa, il desiderio divenga appagabile. E spero anche di
essere riuscito a mostrarlo. Voglio dire: nel libro.
(Marzo 2018)
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