La
recente pubblicazione della raccolta di saggi su Antonio Gramsci curata da Neil
Novello, Envoi Gramsci. Cultura,filosofia, umanismo (Campanotto ed., Pasian di Prato 2017, pp. 174), cade in
un momento particolarmente appropriato, il centenario della Rivoluzione
d’ottobre. Infatti sarebbe difficile spiegare il pensiero di Gramsci e la sua
evoluzione senza fare riferimento a questo evento. Come ricorda Michele Maggi
nel suo contributo, la rivoluzione bolscevica venne definita da Gramsci, nel
celebre articolo dell’Avanti! del 24 novembre
del ’17, una «rivoluzione contro il Capitale».
Gramsci aveva ragioni da vendere, perché la rivoluzione comunista era scoppiata
dove meno il marxismo se lo sarebbe aspettato, vale a dire non in un paese di
avanzato sviluppo capitalistico, come l’Inghilterra, la Francia, la Germania o
anche gli Stati Uniti, ma in un paese costituito in maggioranza da contadini, e
con poche sacche di capitalismo ancora agli albori dello sviluppo. Ciò
rappresentò un forte argomento per tutti coloro, compreso il ‘rinnegato’
Kautsky (secondo la colorita espressione di Lenin), che pensavano che la
rivoluzione si sarebbe dovuta arrestare alla fase democratico-borghese, cioè a Kerenskij,
e (eventualmente) aspettare tempi più opportuni per decollare.
Ma
Gramsci non era disposto a gettare la spugna. Da questa rivoluzione contro il Capitale egli trasse la dottrina e la
forza che gli fecero pensare che la rivoluzione comunista non era una ‘missione
impossibile’, né in paesi arretrati – come era ancora sotto molti aspetti
l’Italia – né in paesi altamente sviluppati, come la Germania, dove era stata
soffocata nel sangue. La prima e più importante ‘vittima’ della rivoluzione
contro il marxismo ortodosso operata da Gramsci fu – come dimostrò Bobbio in un
celebre intervento – il concetto di ‘società civile’. Si tratta di un nodo
centrale del pensiero di Marx e Engels. Engels, nello scritto del 1885 «Per la
storia della Lega dei Comunisti» è molto esplicito su questo punto: «Non lo
Stato condiziona e regola la società civile, ma la società civile condiziona e
regola lo Stato [e] dunque la politica e la sua storia devono essere spiegate
sulla base dei loro rapporti economici e del loro sviluppo, e non viceversa».
Come
si capisce, nella visione di Engels e Marx la società civile è il luogo della
lotta fra capitale e lavoro salariato, e quindi – tradotta in un linguaggio
approssimativo, che Marx ha usato di rado, e che richiederebbe molte
precisazioni – appartiene all’ordine della ‘struttura’ (del modo di produzione
capitalistico). Ma Gramsci capovolge questo caposaldo dottrinale, perché in lui
la società civile appartiene all’ordine della ‘sovrastruttura’, e quindi
all’ordine delle idee, della cultura, della filosofia, anziché a quello
dell’economia politica. Emerge bene qui la distanza di Gramsci sia dai
bolscevichi – ai quali pure deve lo stimolo a uscire dalla camicia di forza del
marxismo ortodosso – che dalla corrente di sinistra della II Internazionale
(divenuta poi III Internazionale).
Il primo punto è illustrato ottimamente dal contributo di Benedetto Fontana:
Dove la società civile è forte, e le sue istituzioni indipendenti e resilienti, sarà necessario lanciare prima una ‘battaglia di idee’ all’interno della società civile per trasformare le istituzioni civili, e solo dopo aver realizzato uno status egemone sarà possibile trasformare di pari passo l’apparato dello Stato. L’assalto diretto contro gli organi dello Stato è una guerra di movimento, che generalmente è possibile nell’Est, dove la società civile è primordiale, mentre il lento attacco metodico delle idee e delle egemonie è una guerra di posizione, che vediamo nell’Occidente.
Per
quanto riguarda il secondo punto, tutto il marxismo della II Internazionale
vede negli sviluppi dell’economia il necessario presupposto materiale della
rivoluzione. Tanto L’imperialismo di
Lenin, quanto L’accumulazione del
capitale della Luxemburg e Il capitale finanziario di Hilferding
studiano le tendenze del capitalismo coevo alla ricerca del punto di rottura
del sistema, senza il quale la volontà politica e la spinta ideale – certamente
necessarie – sarebbero sospese nel vuoto. In questo disinteresse per il
carattere scientifico dell’economia
marxista, proclamato a chiare lettere da Hilferding nella prefazione al Capitale finanziario, gioca un ruolo non
secondario l’avversione, ereditata dall’idealismo italiano, per le scienze
esatte.
Non
è motivo di stupore, quindi, che di economia Gramsci non si sia mai occupato, e
ben a ragione. Infatti la rivoluzione bolscevica aveva dimostrato, dal suo
punto di vista, che una rivoluzione comunista può scoppiare anche dove i
presupposti economici sono carenti o mancano del tutto. Quindi tutto si riduce
al rapporto fra Stato e società civile, intesa non più come l’arena dello
scontro economico, ma come il luogo della ‘battaglia delle idee’ e della lotta
per l’egemonia culturale. Non a caso, la critica rivolta da Gramsci al potere
sovietico instaurato da Lenin, e successivamente da Stalin, era quella di aver
messo in piedi una dittatura del proletariato (di cui Gramsci non ha mai negato
la necessità) senza egemonia. Il
problema discusso nell’Ordine Nuovo sarà
infatti proprie quello di come ottenere, attraverso i consigli operai, una
dittatura del proletariato attraverso l’egemonia
(vedi in proposito i contributi di Carlo Angelino, Remo Mazzacurati e Stefania
Calledda).
Più
che naturale, quindi, che larga parte del volume sia dedicata al rapporto di
Gramsci con la cultura, quella italiana in particolare. Penso qui al prezioso
contributo del curatore del volume, Neil Novello, su Gramsci e le culture
subalterne. Neil Novello ricorda, molto opportunamente, come le riflessioni di
Gramsci anticiparono e stimolarono anche la composizione del Mondo magico di de Martino. Altri
contributi di notevole interesse sono quelli di Roberto Salsano sulle cronache
teatrali di Gramsci e di Matteo Veronesi su Gramsci e la critica d’arte.
Nella
battaglia delle idee la filosofia ha sicuramente il primo posto. Sulla
formazione filosofica di Gramsci hanno pesato – né poteva essere diversamente –
Croce e Gentile. Estremamente importante, da questo punto di vista, appare il
contributo di Fabio Frosini, che analizza la traduzione gramsciana della XI Tesi su Feuerbach di Marx. La traduzione
di Gramsci suona «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi;
si tratta ora di mutarlo», mentre l'originale di Engels suona «I
filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta invece di trasformarlo». Nella versione
di Gramsci scompare l’avversativa, e la cosa non è certo casuale; per Gramsci
le Tesi non annunciano la ‘miseria
della filosofia’ e la sua scomparsa, ma al contrario, il ruolo centrale della
stessa nella trasformazione del mondo. Nasce la filosofia della prassi di
Gramsci, su cui vedi il contributo di Angela Michelis, che mette giustamente in
luce il versante antipositivistico e antiscientistico della stessa. L’eredità
dell’idealismo italiano qui si fa sentire particolarmente. Infatti le Tesi su Feuerbach, radice della
filosofia gramsciana, erano anche il testo di Marx preferito da Giovanni
Gentile.
(Novembre 2017)
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