28 novembre 2017

«Recensione di "Envoi Gramsci. Cultura, filosofia, umanismo" (a cura di Neil Novello)» di Luciano Albanese



La recente pubblicazione della raccolta di saggi su Antonio Gramsci curata da Neil Novello, Envoi Gramsci. Cultura,filosofia, umanismo (Campanotto ed., Pasian di Prato 2017, pp. 174), cade in un momento particolarmente appropriato, il centenario della Rivoluzione d’ottobre. Infatti sarebbe difficile spiegare il pensiero di Gramsci e la sua evoluzione senza fare riferimento a questo evento. Come ricorda Michele Maggi nel suo contributo, la rivoluzione bolscevica venne definita da Gramsci, nel celebre articolo dell’Avanti! del 24 novembre del ’17, una «rivoluzione contro il Capitale». Gramsci aveva ragioni da vendere, perché la rivoluzione comunista era scoppiata dove meno il marxismo se lo sarebbe aspettato, vale a dire non in un paese di avanzato sviluppo capitalistico, come l’Inghilterra, la Francia, la Germania o anche gli Stati Uniti, ma in un paese costituito in maggioranza da contadini, e con poche sacche di capitalismo ancora agli albori dello sviluppo. Ciò rappresentò un forte argomento per tutti coloro, compreso il ‘rinnegato’ Kautsky (secondo la colorita espressione di Lenin), che pensavano che la rivoluzione si sarebbe dovuta arrestare alla fase democratico-borghese, cioè a Kerenskij, e (eventualmente) aspettare tempi più opportuni per decollare.

Ma Gramsci non era disposto a gettare la spugna. Da questa rivoluzione contro il Capitale egli trasse la dottrina e la forza che gli fecero pensare che la rivoluzione comunista non era una ‘missione impossibile’, né in paesi arretrati – come era ancora sotto molti aspetti l’Italia – né in paesi altamente sviluppati, come la Germania, dove era stata soffocata nel sangue. La prima e più importante ‘vittima’ della rivoluzione contro il marxismo ortodosso operata da Gramsci fu – come dimostrò Bobbio in un celebre intervento – il concetto di ‘società civile’. Si tratta di un nodo centrale del pensiero di Marx e Engels. Engels, nello scritto del 1885 «Per la storia della Lega dei Comunisti» è molto esplicito su questo punto: «Non lo Stato condiziona e regola la società civile, ma la società civile condiziona e regola lo Stato [e] dunque la politica e la sua storia devono essere spiegate sulla base dei loro rapporti economici e del loro sviluppo, e non viceversa».

Come si capisce, nella visione di Engels e Marx la società civile è il luogo della lotta fra capitale e lavoro salariato, e quindi – tradotta in un linguaggio approssimativo, che Marx ha usato di rado, e che richiederebbe molte precisazioni – appartiene all’ordine della ‘struttura’ (del modo di produzione capitalistico). Ma Gramsci capovolge questo caposaldo dottrinale, perché in lui la società civile appartiene all’ordine della ‘sovrastruttura’, e quindi all’ordine delle idee, della cultura, della filosofia, anziché a quello dell’economia politica. Emerge bene qui la distanza di Gramsci sia dai bolscevichi – ai quali pure deve lo stimolo a uscire dalla camicia di forza del marxismo ortodosso – che dalla corrente di sinistra della II Internazionale (divenuta poi III Internazionale).

Il primo punto è illustrato ottimamente dal contributo di Benedetto Fontana:

Dove la società civile è forte, e le sue istituzioni indipendenti e resilienti, sarà necessario lanciare prima una ‘battaglia di idee’ all’interno della società civile per trasformare le istituzioni civili, e solo dopo aver realizzato uno status egemone sarà possibile trasformare di pari passo l’apparato dello Stato. L’assalto diretto contro gli organi dello Stato è una guerra di movimento, che generalmente è possibile nell’Est, dove la società civile è primordiale, mentre il lento attacco metodico delle idee e delle egemonie è una guerra di posizione, che vediamo nell’Occidente.

Per quanto riguarda il secondo punto, tutto il marxismo della II Internazionale vede negli sviluppi dell’economia il necessario presupposto materiale della rivoluzione. Tanto L’imperialismo di Lenin, quanto L’accumulazione del capitale della Luxemburg e Il capitale finanziario di Hilferding studiano le tendenze del capitalismo coevo alla ricerca del punto di rottura del sistema, senza il quale la volontà politica e la spinta ideale – certamente necessarie – sarebbero sospese nel vuoto. In questo disinteresse per il carattere scientifico dell’economia marxista, proclamato a chiare lettere da Hilferding nella prefazione al Capitale finanziario, gioca un ruolo non secondario l’avversione, ereditata dall’idealismo italiano, per le scienze esatte.

Non è motivo di stupore, quindi, che di economia Gramsci non si sia mai occupato, e ben a ragione. Infatti la rivoluzione bolscevica aveva dimostrato, dal suo punto di vista, che una rivoluzione comunista può scoppiare anche dove i presupposti economici sono carenti o mancano del tutto. Quindi tutto si riduce al rapporto fra Stato e società civile, intesa non più come l’arena dello scontro economico, ma come il luogo della ‘battaglia delle idee’ e della lotta per l’egemonia culturale. Non a caso, la critica rivolta da Gramsci al potere sovietico instaurato da Lenin, e successivamente da Stalin, era quella di aver messo in piedi una dittatura del proletariato (di cui Gramsci non ha mai negato la necessità) senza egemonia. Il problema discusso nell’Ordine Nuovo sarà infatti proprie quello di come ottenere, attraverso i consigli operai, una dittatura del proletariato attraverso l’egemonia (vedi in proposito i contributi di Carlo Angelino, Remo Mazzacurati e Stefania Calledda).

Più che naturale, quindi, che larga parte del volume sia dedicata al rapporto di Gramsci con la cultura, quella italiana in particolare. Penso qui al prezioso contributo del curatore del volume, Neil Novello, su Gramsci e le culture subalterne. Neil Novello ricorda, molto opportunamente, come le riflessioni di Gramsci anticiparono e stimolarono anche la composizione del Mondo magico di de Martino. Altri contributi di notevole interesse sono quelli di Roberto Salsano sulle cronache teatrali di Gramsci e di Matteo Veronesi su Gramsci e la critica d’arte.

Nella battaglia delle idee la filosofia ha sicuramente il primo posto. Sulla formazione filosofica di Gramsci hanno pesato – né poteva essere diversamente – Croce e Gentile. Estremamente importante, da questo punto di vista, appare il contributo di Fabio Frosini, che analizza la traduzione gramsciana della XI Tesi su Feuerbach di Marx. La traduzione di Gramsci suona «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta ora di mutarlo», mentre l'originale di Engels suona «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta invece di trasformarlo». Nella versione di Gramsci scompare l’avversativa, e la cosa non è certo casuale; per Gramsci le Tesi non annunciano la ‘miseria della filosofia’ e la sua scomparsa, ma al contrario, il ruolo centrale della stessa nella trasformazione del mondo. Nasce la filosofia della prassi di Gramsci, su cui vedi il contributo di Angela Michelis, che mette giustamente in luce il versante antipositivistico e antiscientistico della stessa. L’eredità dell’idealismo italiano qui si fa sentire particolarmente. Infatti le Tesi su Feuerbach, radice della filosofia gramsciana, erano anche il testo di Marx preferito da Giovanni Gentile.


(Novembre 2017)







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