27 ottobre 2009

«Ted Hughes: "Guerra tra vitalità e morte"» di Nicola D'Ugo







Nella foto da sinistra, Stephen Spender, W. H. Auden, Ted Hughes, T. S. Eliot e Louis MacNeice nella sede londinese di Faber and Faber nel 1960. 





Per decenni, Ted Hughes ha dominato la poesia inglese come da una sorta di retroscena privilegiato, tanto da essere talvolta escluso – poiché era già stato tradotto in singole opere – da antologie significative italiane, come il nutrito volume Giovani poeti inglesi, curato da Renato Oliva ed edito da Einaudi nel lontano 1976. In quell'anno, molti dei poeti che avevano segnato i tratti più significativi di questo secolo erano scomparsi: si può dire che rimanevano ancora in vita solo Graves, Gascoyne e, dei Trentisti, Spender. Giovani poeti stavano dando volto alla nuova poesia inglese, come Larkin e Gunn. E gli irlandesi cominciavano a riconoscersi in un'altra letteratura, scaturita da un'altra terra, motivata da qualcosa di troppo recente per dirsi già Storia.

Nato nel 1930 a Mytholmroyd, nella valle del fiume Calder, nel sud dell'Inghilterra, Edward James Hughes esordì con la raccolta poetica The Hawk in the Rain (Il falco nella pioggia, 1957). Una foto di Mark Gerson del 1960 ce lo ritrae, bicchiere nella mano, con Eliot, Auden, Spender e MacNeice, durante un party della casa editrice londinese Faber & Faber. Una foto che segnalava il passaggio di staffetta, quanto mai corrisposto, di tre generazioni della poesia inglese, quella che ha dominato e segnato profondamente questo secolo letterario: un secolo che, con la morte del poeta inglese, pare ora chiudersi nel 1998, a poco più di un anno dalla fine del millennio.

La poesia di Hughes ha costituito uno dei momenti essenziali dell'incontro fra un mondo tecnologico che mutava rapidamente e una letteratura che aveva percorso le vie di uno sperimentalismo che, al più, si era rifatto al superamento delle tecniche intrinseche della scrittura letteraria e dell'arte. Da quel lontano 1957 ad oggi si sono andate diffondendo, a partire dai paesi anglosassoni, alcune delle tecnologie di comunicazione e di concezione dell'ambiente più rilevanti per la vita dell'uomo contemporaneo: dalla diffusione della televisione al lancio dei primi satelliti orbitali, dallo sbarco sulla Luna alla telecopia (il precursore degli odierni telefax), dalla diffusione delle videocamere a quella dei computer, dalla corsa al nucleare alle biotecnologie, dalla globalizzazione a Internet, dalla Guerra Fredda alla quella 'chirurgica' del Golfo.

Tutti accadimenti, questi, che in un artista e in uno scienziato vengono visti anticipatamente, in modo amplificato, prima ancora della loro massificazione. Per Hughes il presente, come si andava mutando, andava ridisegnato e amplificato attraverso due forme estreme, apparentemente antitetiche, cronologicamente distanti, difficilmente concepibili l'una con l'altra. Andò a pescare l'uomo negli studi antropologici, nei riti e nelle culture antiche e primitive, quelle che pare ci siamo lasciati alle spalle per sempre e che debbano riguardare solo il Terzo mondo. Da quel mondo trasse alcuni elementi, come i tantissimi 'animali' che fanno la loro comparsa nelle sue raccolte di versi e di racconti per bambini. E quella natura, che si opponeva in modo così rilevante alla nostra concezione di mondo tecnologico e artificiale, fu presa a giusto pretesto per ricondurci ai nostri limiti umani, ricordandoci con spietata ironia che noi stessi ne facciamo parte, nonostante cerchiamo di inventarci un mondo 'sviluppato' che ci salvi dai nostri malesseri, in nome di un benessere che resta più che altro una mera prospettiva senza soluzione di continuità.

La domanda che Hughes si era posto è la seguente: Dov'è che riconosciamo la debolezza, il destino e l'automatismo dell'uomo in qualche cosa che non sia l'uomo? Negli animali selvatici. E il mondo che ci circonda, quel mondo che per noi è un mondo trasformato, satellitato, invaso di automobili, cavi di telecomunicazioni ecc.? Nella natura selvatica, in un globo che pare dominato e che invece ci domina, e ci costringe più di prima ad essere all'interno di quel sistema terrestre che, negli anni settanta, Marshall McLuhan avrebbe chiamato "un'astronave", giacché la Terra era divenuta un pianeta globalizzato e come chiuso nelle sue orbite satellitari, nella sua entità diversa da quella della Luna, 'conquistata' già prima del 1969. E non a caso l'immagine 'animalesca' che sarebbe scaturita nella mente di McLuhan, pensando alle automobili, era quella di un animale preistorico, il "dinosauro", nel suo momento di maggiore diffusione e, quindi, secondo la sua idea, di estinzione.

Così Hughes aveva riempito pagine e pagine di animali che, come lui stesso asserì, non erano affatto animali: il falco, la volpe, il corvo, la lontra, le mucche, la giovenca, il vitello ecc. E il titolo della prima raccolta, Il falco nella pioggia, non era l'immagine di un falco, ma di un falco battuto, appunto, dalla pioggia, privato del suo spazio aereo ed essenziale, della sua risorsa di libertà e del suo mezzo di nutrimento. E la celeberrima volpe del "Pensiero-volpe" che appariva da oltre la finestra al poeta fermo dinanzi alla pagina bianca –non ancora scritta e forse inscrivibile– non era che l'apparizione di un essere della natura, che passava sulla neve notturna e vi lasciava le sue impronte, come segni del suo passaggio nel mondo: il pensiero e la scrittura dell'uomo –pareva ci dicesse Hughes– sono, come per la volpe, astuzie, atti compiuti in sordina, quando pare che nessuno ci veda. E al tempo stesso, proprio come per la volpe, sono depredazione del mondo. Un'amara battuta di Mark Lawson sul Guardian dell'ottobre scorso sintetizza questo principio: "La signora Thatcher parlò della simpatia per la sua poesia ed è infatti del tutto possibile che la sua esposizione della depredazione animale l'abbia influenzata nell'approccio al governo."

Distaccato e separato dalla mondanità, Hughes ci dedicò pagine di tragicommedia sottile, andando a rimaneggiare, alterare e tradire testi importanti come la Bibbia. E raramente ci fece ridere, poiché il sorriso che suscitano le pagine meno nere della sua scrittura è quasi sempre amaro. Scrivere, ci aveva mostrato, costituisce un atto di composizione che matura dalla messa in crisi degli emblemi e dei logoi di una serie di tradizioni culturali diverse, talvolta in netto contrasto le une con le altre. Senza polemiche, per lui lavorava l'ironia orrida, la lama affilata e duttile di una lingua che apriva il varco di pagine rivoltanti, volutamente espressionistiche, a pagine di un candore e di una tenerezza disarmanti. L'aspetto antropologico si era andato incarnando in una scrittura essenzialmente difficile da imitare, poiché, come molti grandi scrittori, aveva maturato un atteggiamento di modificazione stilistica che amava inventare forme espressive diverse per i nuovi scenari epocali. Con una caratteristica: ogni pagina pareva prendere origine da una scrittura sicura, già lungamente sperimentata, come se l'operazione dello scrivere fosse un puro atto di ricezione di rivoli e correnti, che solo nelle pagine del poeta inglese apparivano riportate finalmente alla luce.

Nonostante avesse dedicato poesie e racconti al tema della Guerra Fredda e della distruttività dell'uomo contemporaneo –tra questi va ricordata la fiaba moderna L'Uomo di ferro, del 1968– ben altri erano i poeti impegnati nella contestazione che, negli anni sessanta e settanta, si era andata ingrossando, prevalentemente in America. La poesia di Hughes appariva, al contrario, intenta a demistificare linguisticamente un mondo, come appare evidente nei versi dissacranti, blasfemi e pornografici di Crow (Corvo, 1972), uccello sospeso in uno spazio invivibile, maldestra creatura che non può che concepire atti maligni, malvagi e maliziosi e "vomitare" nell'intento di pronunciare la parola "amore", come si legge ne "La prima lezione di Corvo", impartita da un Dio incapace di infondergli un sentimento consustanziale alla Sua persona, in una sospensione apocalittica e rarefatta dello spazio, talvolta pregna di una comicità esilarante per via delle situazioni narrative spinte al limite del grottesco, pur mantenendo un'immanenza tragica: l'impossibilità per un essere (animale o uomo) di superare la propria condizione. O, più tardi, intraprendeva il ritorno a uno spazio vivibile, campagnolo e campestre, ma proprio per questo più micidiale e crudele (Moortown, 1979).

Il confronto con le tecniche figurative fu alla base di Remains of Elmet (Resti di Elmet, 1979) e River (Fiume, 1983), che costituiscono una forma tutta speciale di testo a fronte: fotografia e poesia si corrispondono come in una traduzione di due linguaggi diversi. La più fortunata delle due raccolte, Remains of Elmet, rievoca i bellissimi scenari delle brughiere care alle sorelle Brontë, nel luogo d'infanzia del poeta. Si tratta della valle del Calder (Halifax occidentale), in cui l'industria tessile e mineraria, floridissima agli inizi dell'Ottocento, è decaduta. Le poesie e le fotografie in bianco e nero di Fay Godwin testimoniano ciò che resta, talvolta nella ruggine e nella rovina, tal altra nella sua lucida solidità, com'è il caso di una strada lastricata da enormi pietre che si ostina ad emergere, bordata dalle erbe alte e bellissime della brughiera. Volti anziani segnati dalle rughe, edifici fatiscenti e boschi inselvatichiti contengono ancora una traccia di genealogia biologica e culturale: il compito degli artisti, poeta o fotografa, è quello di individuarne le tracce e di rievocare percorsi a ritroso con una forte consapevolezza dell'ineluttabilità del futuro.

Oltre al glossolalico Orghast realizzato con Peter Brook, l'opera più fortemente innovativa fu Gaudete (1977), un poema epico e fantastico, ambientato nei tempi moderni. Un prete viene rapito dagli spiriti degli elementi e rimpiazzato da un "ciocco di legno", che finisce per traviare le parrocchiane con l'intento di concepire l'Anticristo, senza che gli fosse stato ordinato dagli spiriti. Ed è qui evidente che, se l'uomo seguisse la natura istintiva (come fa il "ciocco di legno" diventato prete), verrebbero rotti gli equilibri sociali e psicologici che culminano nell'adulterio e nel suicidio di una ragazza locale. Dal punto di vista espressivo, Gaudete è uno degli esempi più avanzati dell'influenza delle nuove tecniche artistiche sulla poesia: il suo verso è concepito come un susseguirsi di immagini che fanno pensare alla vignetta e al fotogramma in sequenza.

Nel 1984, Ted Hughes fu nominato Poeta Laureato, su segnalazione dell'allora primo ministro Margaret Thatcher. L'ultimo suo lavoro poetico, Birthday Letters (Lettere di compleanno), dedicato alla prima moglie, la poeta americana Sylvia Plath, morta suicida nel 1963, ha raggiunto cifre di vendita da record: 100.000 copie in circa sette mesi. Qui Hughes dimostra di voler sposare la propria secchezza espressiva con il confessionalismo della moglie, come a voler aprire, prima della morte, una finestra amorevole su quella parte di sé tenuta in riserbo per decenni.

In Italia sono poche le traduzioni di Hughes, tutte edite da Mondadori: alcune raccolte di fiabe e Pensiero-volpe e altre poesie (1973), da anni fuori catalogo. Sull'autore, va segnalato il raro e quasi introvabile L'inno e l'enigma di Maria Stella, ricca analisi, quasi completa, dell'opera in versi del poeta inglese.

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[pubblicato in: Notizie in... Controluce, n. VIII/1-2, gennaio-febbraio 1999, p. 19.]


Bibliografia: 
  • AA.VV., Giovani poeti inglesi, Einaudi, Torino 1976. A cura di Renato Oliva.
  • Crivelli, Renzo S., L'universo indifferente: miti di aggressione nella poesia di Ted Hughes, ETS, Pisa 1981.
  • D'Ugo, Nicola, «Gaudete e Three Books di Ted Hughes», Avvenimenti, 4 settembre 1996.
  • Hughes, Ted, Il pensiero-volpe e altre poesie, Mondadori, Milano 1973.
  • --, L'uomo di ferro, Mondadori, Milano 1997.
  • --, Lettere di compleanno, Mondadori, Milano 1999.
  • --, Poesie, Mondadori, Milano 2008. A cura di Nicola Gardini e Anna Ravano.
  • --, Poetry in the Making, Faber & Faber 1967.
  • Marroni, Francesco, «The Poetry of Ornithology:  From John Keats to Ted Hughes», Englishes, n. I/2, 1997, pp. 6-18.
  • Praz, Mario, «Poesia e violenza», in Id., Studi e svaghi inglesi, Vol. 2, Garzanti, Milano 1983, pp. 465-468.
  • Smith, A. C. H., Orghast at Persepolis: An Account of the Experiment in Theatre Directed by Peter Brook and Written by Ted Hughes, Methuen, London, 1972.
  • Stella, Maria, L'inno e l'enigma. Saggio su Ted Hughes, Bibliotheca Ianua, Roma 1988.
Su internet:

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