19 settembre 2025

«La nuova edizione degli “Oracoli caldaici” 2025 della Fondazione Valla» di Luciano Albanese



Gli Oracoli caldaici erano una raccolta di oracoli che venivamo presentati come usciti dalle labbra degli stessi dèi del paganesimo, penetrati nel corpo di medium, ovvero di statue parlanti. Essi sono stati composti, o più precisamente raccolti, come vuole la leggenda, da due personaggi di cui sappiamo quasi niente, Giuliano il Teurgo figlio, e Giuliano il Caldeo padre, vissuti nell’età di Marco Aurelio (II d. C.), I due Giuliani appaiono degli antesignani della successiva “reazione pagana contro il cristianesimo”, perché il loro intento, ancorché implicito, è quello di presentare la filosofia greca, soprattutto quella pitagorico-platonica, come frutto di una rivelazione divina uguale se non superiore a quella cristiana. Non a caso gli oracoli vengono chiamati non chresmoi (come gli oracoli tradizionali, che erano previsioni sul futuro degli Stati o degli individui), ma logia, come i ‘detti’ o logia originali di Gesù. Come ho già accennato, il metodo adoperato per convincere gli dèi ad entrare in ricettacoli umani o materiali era affatto tradizionale, ma viene designato con un termine di nuovo conio, inventato ad hoc dai due Giuliani, quello di “teurgia”, letteralmente ‘azione tramite gli dèi o sugli dèi’. La teurgia si contrappone alla teologia come la prassi si contrappone alla teoria. Ora non si tratta più di studiare gli dèi, ma di farli parlare in prima persona. A tale scopo si utilizzano individui particolarmente ricettivi, come erano le Pizie o le Sibille, o statue costruite con materiali particolari, che per la loro affinità con la materia stellare fungono da “richiami” per gli dèi. A tale scopo vengono utilizzate determinate piante o minerali (vedi il frammento sulla pietra mnizouris), o anche determinati animali.

 

Tuttavia gli Oracoli caldaici ci sono giunti in uno stato frammentario (quattrocento o poco più frammenti in questa edizione), e i frammenti sopravvissuti dedicano poco spazio alla descrizione delle azioni teurgiche propriamente dette. La maggior parte dei frammenti, in realtà, si sofferma sui temi tradizionali della filosofia platonica: la genesi del cosmo, quella dell’anima, e il suo ruolo e destino all’interno del cosmo stesso. Non a caso il punto di riferimento dell’opera è il Timeo, una delle ultime opere di Platone che dà una visione d’insieme del suo pensiero su questa materia. Ad esso viene associata la filosofia neopitagorica interaccademica, e la metafisica del fuoco e della luce di origine persiana o zoroastriana (questo darà modo a Pletone [1360-1452] di attribuire gli Oracoli a Zoroastro stesso), definita sinteticamente ‘caldea’ o ‘assira’, come caldei o assiri erano chiamati i due Giuliani.

3 marzo 2025

«Senso e intelletto nel pensiero moderno» di Luciano Albanese


Immanuel Kant


La filosofia moderna nasce quando entra in crisi il concetto di somiglianza fra percezioni e oggetti corrispondenti, il cardine di Aristotele e del materialismo ellenistico. Inversamente, la dissomiglianza fra percezioni e oggetti, ricavata dall’atomismo democriteo, era il tema centrale dello scetticismo antico, ma è solo nei tempi moderni che emergono tutte le sue potenzialità, che lo faranno diventare il motivo conduttore dei ‘nuovi filosofi’. 

 

Sesto Empirico aveva dimostrato, come già Democrito a suo tempo, che il fuoco non è ‘caldo’ e la spada non è ‘dolorosa’, ovvero che il fuoco che scalda non sente caldo e la spada che ferisce non sente dolore, quindi che le sensazioni, negli esseri senzienti, erano prodotte da cose non senzienti (Contro i matematici AM VII 357, 367-68). Conseguentemente era impossibile continuare a parlare di somiglianza fra le sensazioni e gli oggetti che le producono. Ne seguiva che le affezioni dei sensi non potevano mai attingere gli oggetti esterni, ovvero i sostrati (hypokeimena, i sostrati della tradizione aristotelica: Schizzi pirroniani PH II 74) delle affezioni stesse – pur dichiarati esistenti. Il senso, perciò, «non fornisce al pensiero gli oggetti esterni, ma si limita a enunciare la propria affezione» (AM VII 354).

 

A questo si aggiungeva che l’esperienza delle guerre europee fatta da alcuni filosofi, come Descartes, aveva dimostrato che le sensazioni possono insorgere anche in assenza degli oggetti corrispondenti. Chi aveva perso uno degli arti in battaglia continuava a sentire dolore nonostante che avesse perso il braccio o la gamba, le fonti originarie di quelle sensazioni. Inoltre, anche i sogni dimostravano che le inani visioni notturne erano in grado di produrre sensazioni sonore, tattili e olfattive dotate di un alto tasso di evidenza (la famosa enargheia comune alla scuola aristotelica, stoica ed epicurea, su cui si fondava l’ipotesi dell’esistenza di una conoscenza certa).

 

La filosofia moderna aveva ripreso in mano, e tradotto, i testi dello scetticismo antico spinta soprattutto da tre esperienze sconvolgenti, che avevano messo in crisi il vecchio sistema del mondo: la rivoluzione copernicana, lo scisma luterano e la scoperta dell’America. A partire da quelle tre date, il dubbio si era insinuato profondamente nella filosofia moderna, e chi desiderava combattere lo scetticismo emergente vedeva davanti a sé due sole opzioni possibili. Una soluzione radicale, quella di eliminare i sostrati, e dire che esistono solo le sensazioni, ovvero che percezioni e oggetti si identificano. Gli unici oggetti esistenti sono le sensazioni, esse est percipi, ovvero esistere significa essere percepiti (Berkeley nella fase dell’empirismo radicale, oggi Matrix dei fratelli Wachowski).