La conoscenza: la sua importanza e i suoi limiti
Dopo l'invettiva contro Firenze, inizia il vero e proprio tema del Canto XXVI dell’Inferno dantesco: la conoscenza, i suoi pericoli e i suoi limiti. Conoscere va bene, ma fino a un certo punto. Dio ha posto dei limiti all'uomo e tali limiti, per quanto estesi, non devono essere superati. Dante, lo sappiamo, è un poeta che ricerca il nuovo, ciò che non conosce. Ciò che è estraneo, la novità, porta al miglioramento dell'uomo. La sua prima opera si chiamava Vita nova, la vita che cambia, si rinnova, attraverso l'amore per Beatrice: di fronte alla novità non si guarda più con gli stessi occhi, ma con un sentimento e una «coscïenza» diversi. Anche la Commedia parla di cose nove, del tutto inaudite: il viaggio di Dante nel regno dei morti.
La conoscenza del nuovo («esperïenza» dirà Ulisse) è quindi fondamentale per il miglioramento della propria anima, per la sua nobilitazione. Nello Stilnovo, la nobilitazione dell'uomo avveniva attraverso l'esperienza, attraverso la donna gentile o angelicata, immagine in terra dello splendore divino. Dante riassume questo concetto nella formula «novo miracolo e gentile», in cui all’eccezionalità esteriore debba corrispondere un contenuto intimo virtuoso, nobile, «gentile» appunto (Vita nova, XXI, « Ne li occhi porta la mia donna Amore», v. 14). Come sappiamo dalla storia della Commedia, per raggiungere il bene bisogna passare attraverso il male e non solo rimanere in quello che consideriamo, a priori, il bene. Solo guardando il male in faccia, da vicino, possiamo riconoscere in noi i tratti del male, le implicazioni dei nostri pensieri, dei nostri gesti, delle nostre omissioni. Il male non è qualcosa che riguardi gli altri, ma se stessi: posso scorgere il male nell'altro, ma questo è molto meno importante dello scoprire il male in me stesso, poiché ciò che è fondamentale è sempre, per Dante, il bene e il male all'interno di sé.
La conoscenza svolge quindi un ruolo fondamentale nei riguardi della propria salvezza. In questo, il Canto di Ulisse trova la sua centralità, in quanto è emblematico di un modo sbagliato di concepire la conoscenza. Infatti, la conoscenza per Dante non si limita a una serie di nozioni: la conoscenza non è informazione, qualcosa di astratto, un insieme di dati relativi alla vita. La conoscenza è, innanzitutto, passione, è emozione, è desiderio. L'uomo raggiunge la conoscenza attraverso una forza emotiva che lo spinga verso ciò che è inusitato, che lo trascini verso la novità. L’uomo deve essere sensibile, quindi, a ciò che lo circonda, riconoscere in ciò che incontra l’eccezionalità della specie di sapere e perseguire il proprio percorso conoscitivo attraverso la selezione di ciò che entra in quel genere di conoscenza.