Salve, donne del futuro! Credo fermamente che su questo pianeta
nel 2118 ci saranno ancora donne: un’ipotesi abbastanza azzardata, viste le
minacce che incombono sulla nostra biosfera, ma incrociamo le dita.
Qui nel 2018 stiamo vivendo l’epoca migliore, viviamo l’epoca
peggiore. Il lungo patriarcato, cominciato nell’età del bronzo con l’agricoltura
basata sul grano, è stato rimpiazzato dalla tecnocrazia, per cui la linea
ereditaria maschile non richiede più la castità femminile; ed esser forti nella
parte superiore del corpo non significa più predominio. Le donne hanno i loro
cervelli, usano le tastiere e per numero sopravanzano gli uomini nelle
università. Nonostante questo, alcuni uomini continuano ad esibire i muscoli
del pene, cercando di combinare le emozioni dei giochi di potere con la
graduale espulsione delle donne dai luoghi di lavoro, provocando notevoli e
diffuse reazioni femminili. Come andrà a finire? Dateci un aiutino!
Oggi le donne possono avere molteplici partner sessuali senza
essere messe al rogo, ma la pornogratificazione delle aspettative maschili
comporta il sezionamento delle donne in tranci da esibire al macello, come si
dice alle donne più anziane per terrorizzarle. «Perché il sesso non può essere
uno spasso per tutti?», si domandano mestamente. Le cose vanno un po’ meglio
nella vostra epoca?
Nel frattempo, le guerre infuriano, si utilizzano stupri di
massa per «umiliare il nemico», i totalitarismi opprimono, i diritti umani sono
svuotati di significato, la carestia impera, l’assistenza sanitaria è
inesistente e le donne subiscono ancora tratte e riduzioni in schiavitù.
Avrete risolto questi problemi, nel 2118, donne del futuro?
Avrete perlomeno iniziato a rendere equa la ricchezza, per esempio? Certamente questa è una tessera-chiave del
puzzle. O starete ancora affrontando il caos in una disastrosa crisi economica
e in un’ecosfera distrutta?
Inviateci una messaggera del futuro! E se le notizie son buone,
raccontateci per piacere come avete fatto. Moriamo dalla voglia di saperlo.
(Febbraio 2018)
(Trad. a cura di Nicola d’Ugo e Riccardo Duranti)