Carmelo Samonà
morì a Roma nella clinica «Marco Polo», dove era stato ricoverato da qualche
tempo, il 17 marzo 1990. Era nato a Palermo nel 1926. Noto ispanista, fine
critico letterario, insegnava Letteratura spagnola all'Università «La Sapienza»
di Roma. Come narratore aveva esordito solo a 50 anni, ma i romanzi Fratelli
(Einaudi, 1978) e più tardi Il custode (Einaudi, 1983)
lo avevano imposto come uno dei nostri talenti più appartati e sofferti.
La mia conversazione con Samonà – in gran parte inedita – avvenne in due tempi: il primo incontro risale al mese di maggio 1986, il successivo al febbraio 1989.
Doriano Fasoli: Da quanto tempo si è stabilito a Roma?
Carmelo Samonà: Dal
1936; avevo dieci anni.
Come le appare, oggi, questa città?
Splendida e perversa. O meglio: di una bellezza polverosa, ferita, sopraffatta
da violazioni impudiche, spesso brutali. Io la ricordo nell'aurea epoca del suo
provincialismo: era magari dimessa e sciatta, ma d'una struggente amabilità. Il
fascismo le assestò i primi colpi con le baggianate imperiali e littorie; poi è
venuta la speculazione edilizia; infine le automobili. Queste ultime non
l'hanno solo imbruttita, la stanno uccidendo.