21 aprile 2019

«Su Carolina Maria de Jesus. Conversazione con Rita Ciotta Neves» di Doriano Fasoli



Rita Ciotta Neves è nata a Roma nel 1949, dove si è laureata in Lettere presso l’Università La Sapienza, concludendo il dottorato in Storia presso l’Università Portucalense Infante D. Henrique. Dal 1980 vive a Lisbona. È stata docente di Italiano all’Università di Coimbra e, nell’ambito del Progetto Erasmus, docente alle Università di Perugia, Arezzo e Lecce. A Lisbona è stata docente di Italiano all’Istituto Italiano di Cultura e di Semiotica e di Teoria letteraria all’Università Lusófona. Oltre a numerosi articoli, saggi e traduzioni, ha pubblicato Italo Calvino – Lições de Modernidade (Edições Universitárias Lusófonas, 2007) e Gramsci – A cultura, os subalternos, a educação (Edições Colibri, 2016). Ha pubblicato in questi giorni, presso la casa editrice Alpes, Carolina Maria de Jesus. Una biografia ai margini della letteratura.

Doriano Fasoli: Professoressa Neves, in quali anni è vissuta Carolina Maria de Jesus?

Rita Ciotta Neves: La scrittrice nasce a Sacramento, una piccola località nello stato di Minas Gerais, nel 1914 e muore a Parelheiros, nella periferia di San Paolo, nel 1977. Carolina vive in un periodo di grandi trasformazioni sociali e politiche nel Brasile. Nel ’45 finisce il periodo dittatoriale di Getúlio Vargas e nel ’64 ne comincia uno ancora più duro, quello della dittatura militare, che finirà solo nell'’85. La sua vita adulta e di scrittrice si svolge dunque tra le due dittature, in quell'intervallo aureo della presidenza di Juscelino Kubitschek, quando il paese si risveglia e vive la speranza e la frenesia di una nuova epoca. Sono gli anni della costruzione di Brasilia e dell'affermarsi delle grandi metropoli, come San Paolo, Rio de Janeiro e Belo Horizonte. E, in campo culturale, gli anni del modernismo, che rivoluziona tutte le forme d'arte, dalla pittura all'architettura, alla letteratura. Ed è anche il periodo della nascita delle favelas, questi immensi agglomerati urbani dove vivono i poveri, i marginali, gli immigrati che arrivano dall'entroterra in cerca di lavoro nelle grandi città. Nel ’60, quando esce il primo libro di Carolina, lo sperimentalismo modernista si è già placato, lasciando il posto a una maggiore sensibilità sociale e a una maggiore ricerca di letteratura impegnata. Questo spiega anche il meteorico successo del diario Quarto de despejo, accolto come una voce che tra le prime arriva da dentro la favela e che è una testimonianza in prima persona dell'ingiustizia sociale e dei problemi razziali del paese.

Anche secondo lei, come affermava Alberto Moravia, «le parole di Carolina hanno una profondità shakespeariana»? 

Moravia scopre Quarto de despejo nel ’60, durante un suo viaggio in Brasile in compagnia di Elsa Morante. Il diario di Carolina Maria de Jesus vive, in quell'anno, il suo momento di maggior successo, è già stato tradotto in 13 lingue e venduto in 40 paesi. Moravia ne rimane affascinato e vede nell'opera di Carolina una forza che avrebbe potuto contribuire alla soluzione dei problemi razziali brasiliani. Con l'espressione «profondità shakespeariana», lo scrittore si riferisce al profondo e acuto sguardo che Carolina rivolge alla complessità della condizione umana. Perché lei descrive la condizione di una donna brasiliana nera e favelada, madre nubile di tre figli, ma la sua storia potrebbe essere quella di una qualsiasi donna ‘subalterna’, proveniente da qualsiasi parte del pianeta, appartenente a qualsiasi cultura. L'osservazione di Moravia mi sembra quindi molto giusta, perché le parole di Carolina sono universali, così come lo sono quelle di Shakespeare.

Perché Carolina Maria de Jesus è importante?

Penso che l'importanza di Carolina è ambivalente: un'importanza letteraria e un'importanza politica. Quella letteraria è stata contestata da molti critici, che la vorrebbero escludere dalla storia della letteratura brasiliana. Ma non si può dimenticare che, anche se la sua scrittura non arriva all'altissimo livello di una Clarice Lispector o di un Guimarães Rosa, ha una sua forza intrinseca che afferra il lettore, che lo commuove e impressiona profondamente. E non dimentichiamo ancora che, a livello diacronico, Carolina è una pioniera della posteriore Letteratura Marginale e della Letteratura Periferica brasiliane, correnti letterarie di grande attualità e fecondità. Per quanto riguarda la sua importanza politica, Carolina, pur non assumendo apertamente nessuna posizione ideologica, si schiera evidentemente su una posizione di ribellione e di denuncia della corruzione e del cattivo governo della classe politica del suo tempo. Denuncia che riguarda anche i problemi razziali e di genere. Non si considera femminista, ma tutte le sue opere parlano di come le donne soffrono l'ingiustizia, i maltrattamenti e l'abbandono da parte degli uomini che le circondano. Lei stessa è abbandonata, per tre volte, dopo il parto con il bambino tra le braccia, da sola e nell'indigenza completa.

Che cosa può rappresentare Carolina Maria de Jesus per il Brasile di oggi?

Carolina è un esempio. Un esempio di resistenza, di lucidità, di qualcuno che aveva un ideale: scrivere. E che per questo ideale ha lottato tutta la vita. Sappiamo che, con la vittoria di Bolsonaro, il Brasile è ripiombato nell'oscurità e che sta rapidamente retrocedendo, a livello sociale e culturale. Ci vorrebbero più Caroline in questo momento, più resistenza, più lotta per tornare a una condizione democratica. E la cultura conta, la posizione degli intellettuali e degli artisti conta molto. Spero che la sua lezione non venga dimenticata.

Come spiega il fatto che Carolina Maria de Jesus sia quasi completamente ignorata in Europa?

Il successo di Carolina è molto effimero, più esattamente va dal ’60 al ’64. Nel ’64 il Brasile cade in una durissima e lunga dittatura militare e le opere della scrittrice vengono totalmente bandite dalla scena letteraria. Era evidentemente una scrittrice scomoda e malvista dalla dittatura, che si affretta a farla cadere nell'oblio. Il suo nome rimane però sempre vivo negli Stati Uniti, dove, ancora oggi, è studiata nei licei e nelle università. In Brasile ha visto una rinascita dalla fine degli anni ’90, quando si è riacceso l'interesse e sono stati pubblicati nuovi inediti. A livello universitario è attualmente oggetto di diverse tesi di dottorato. Rinascita che stride con l'assordante silenzio europeo.

In Portogallo, le opere di Carolina non sono mai state pubblicate. Nel ’60, il paese viveva in pieno regime salazarista e il suo primo libro, Quarto de despejo, o è stato censurato dalla PIDE, la polizia politica portoghese, o allora non è stato accettato da nessuna casa editrice. Comunque non è mai uscito e nel paese, dove si parla la stessa lingua di Carolina, lei è completamente ignorata. Negli altri paesi europei, negli anni ’60 c'è stato un certo interesse, soprattutto in Francia e Germania, ma attualmente è ricaduto il silenzio. Purtroppo la stessa situazione la ritroviamo nei paesi lusofoni, come Angola e Mozambico. Sarebbe importante, penso, rompere questo silenzio e pubblicare le sue opere. Che sono numerose e alcune ancora inedite, archiviate in diverse biblioteche brasiliane e anche nella Biblioteca del Congresso di Washington.

Alcuni critici accusano Carolina Maria de Jesus di «scrivere male» e di non seguire i canoni letterari ortodossi. È d'accordo con questa posizione?

Lo scrittore Tom Farias ricorda, nella sua biografia della scrittrice, che Carolina è stata considerata come un «non modello» dall'élite intellettuale brasiliana. Esattamente perché non corrisponde ai canoni stabiliti, perché è una ‘diversa’, un'esiliata, una subalterna. È vero che nel suo primo diario la sua grammatica e sintassi non sono perfette, ma è innegabile che una letteratura che ci colpisce come un pugno allo stomaco ha sicuramente del valore. E non solo valore di testimonianza, ma anche un valore letterario. Su questo punto, Carolina si è sempre battuta: non voleva essere considerata solo come una scrittrice della favela, solo come una testimone della miseria, della fame, dell'ingiustizia sociale. Lei voleva essere una scrittrice e come tale considerata. Ricordiamo un'interessante osservazione fatta dalla studiosa Regina Dalcastagnè: perché, si domanda la studiosa, se una scrittrice di classe media parla dei problemi della sua classe, si dice che crea un testo letterario; se, invece, è una scrittrice povera a parlare dei poveri, si dice che la sua opera rappresenta una testimonianza sociale, un documento antropologico e non un'opera letteraria?

Pensiamo, comunque, che questa querelle dovrebbe essere approfondita e permettere l'apertura di nuove prospettive in campo critico. Ossia, nella nostra situazione contemporanea così ibrida, meticcia e senza frontiere, avrà senso limitarci ai canoni tradizionali e non sarà invece più fecondo aprirci a una critica che non consideri solo gli elementi letterari di un testo, ma anche quelli extra-letterari?

Com'è arrivata ad occuparsi di questa figura? Perché ha sentito l'urgenza di scriverne una biografia?

La prima volta che ho sentito parlare della scrittrice è stata alcuni anni fa, in una conferenza organizzata dalla mia università, l'Universidade Lusófona. Una collega brasiliana, docente all'Università di Perugia, ne ha parlato con grande entusiasmo e competenza e da lì è cominciato il mio interesse. Ho ricercato i suoi testi, consultato la bibliografia e sono arrivata alla conclusione che era una personalità da studiare e divulgare. Ho scelto il genere della biografia perché penso che la vita di Carolina è indissociabile dalle sue opere e deve essere conosciuta. È stato per me anche molto importante riuscire a intervistare Vera Eunice, la figlia di Carolina, che mi ha rivelato molti episodi commoventi della loro vita nella favela di Canindé, alla periferia di San Paolo. Come quello in cui racconta che, nei giorni di alluvione, la madre si caricava i figli sulle spalle e nuotava nell'acqua e nel fango pur di non fargli perdere un giorno di scuola. Perché per Carolina l'educazione era fondamentale, diceva che tra due poveri quello che sapeva leggere e scrivere era sicuramente più forte dell'altro. L'educazione e, in modo particolare, l'esercizio della letteratura, affermava la scrittrice, sono due armi fondamentali contro le difficoltà della vita.


(Aprile 2019)






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