31 gennaio 2019

«La situazione analizzante di Jean-Luc Donnet. Conversazione con Roberta Guarnieri» di Doriano Fasoli



Medico, psichiatra e psicoanalista, membro ordinario con funzioni di training della Società Psicoanalitica Italiana e della International Psycoanalytic Association, Roberta Guarnieri ha di recente curato il volume di Jean-Luc Donnet La situazione analizzante (pubblicato da Alpes). Ne parliamo con lei.

Doriano Fasoli: Dottoressa Guarnieri, chi è Jean-Luc Donnet e perché fino ad oggi non è stato tradotto nulla in italiano?

Roberta Guarnieri: Jean-Luc Donnet è uno psicoanalista della SPP (Société Psychanalytique de Paris), membro titolare e formatore. È, per dirla molto sinteticamente, uno degli analisti più autorevoli non solo di quella società ma del panorama psicoanalitico francese. Donnet, che è psichiatra di formazione, ha attraversato tutte le stagioni importanti e anche burrascose della psicoanalisi in Francia. È stato analizzato da Serge Viderman, autore di quel libro, mai tradotto in italiano, La construction de l’espace analytique (Denoël, Paris 1970)che ha segnato molti aspetti del dibattito negli anni Settanta… Ed ha anche fatto una cosiddetta tranche con Joyce McDougall (come molti analisti della sua generazione!). È un po' più giovane di André Green e con lui ha sviluppato un intenso scambio che è culminato nella scrittura, a due mani, di un libro, importante anch'esso, L’Enfant de ça. Psychanalyse d'un entretien: la psychose blanche (Les Édition de Minuit, Paris 1973): questo libro è uscito in italiano per l'editore Borla con il titolo La psicosi bianca (in collaborazione con J.-L. Donnet) nella collana «Opere di André Green». I motivi di quella scelta editoriale sono stati diversi e non li conosco nei dettagli, ma mi preme dire, prima di tutto, che questa traduzione in italiano di uno dei numerosi libri di Jean-Luc Donnet mi è sembrata doverosa anche in ragione di quella vicenda.

Donnet ha lavorato come analista privatamente ma, all'inizio della sua carriera, ha anche svolto il lavoro di psichiatra, in Algeria prima, in Francia poi; di questa sua esperienza algerina mi ha parlato in una delle tante conversazioni private che ho avuto con lui in questi ultimi anni. È importante invece ricordare, l'ho fatto anche nella mia introduzione al libro, che egli è stato direttore del Centre Favreau, il Centro di Consultazione e Trattamento (CCTP) della SPP, fondato all'inizio degli anni Cinquanta, riconosciuto dallo Stato francese e attivo tuttora. In questo Centro Clinico operano una parte degli analisti della SPP; esso offre la possibilità alla popolazione di Parigi di poter accedere alla cura analitica e ai trattamenti ad essa ispirati (faccia a faccia analitico, psicoterapia di gruppo e psicodramma analitico) a titolo totalmente gratuito per il paziente. Gli analisti sono pagati, poco debbo dire, dallo Stato per i trattamenti, mentre le riunioni di discussione clinica, di cui poi magari parlerò, vengono fatte a titolo gratuito. Ci tengo a mettere in evidenza questa parte del lavoro clinico di Donnet perché esso ha ispirato una parte consistente della sua riflessione clinico-teorica. Proprio pochi giorni fa mi raccontava dell'ultimo colloquio al Centre dal titolo «Malgré tout, l’écoute analytique», il suo tema di fondo che ritorna, ancora una volta, come sorgente ed oggetto di riflessione a ridosso della clinica con pazienti molto sofferenti e molto difficili da trattare per gli analisti. 

Mi permetto una breve digressione: accade ancora oggi, all’interno della comunità psicoanalitica italiana ed internazionale, di ascoltare delle critiche rivolte genericamente alla ‘psicoanalisi francese’ che hanno come oggetto la poca centralità della riflessone clinica e l’eccessiva ‘intellettualizzazione’ della concezione del lavoro analitico. Mi pare di nuovo necessario sottolineare che la psicoanalisi in Francia è una realtà clinica, culturale, scientifica molto forte e che essa non si può certo ridurre a tre o quattro nomi di analisti di grandissimo rilievo, né tanto meno, come capita di sentire in ambito anglofono, che la psicoanalisi francese sia ‘Lacan’ e niente altro.

Il mondo di analisti che conosco e frequento in Francia, a Parigi in particolare, pratica la cura analitica in tutte le sue forme con pazienti anche molto lontani, come dicono alcuni, ‘da coloro per i quali la psicoanalisi fu inventata’: i pazienti del Centre sono spessissimo persone con storie molto traumatiche, molti vivono di sussidi, hanno esistenze precarie, molti vengono da paesi stranieri, da ex-colonie francesi… Il contributo del gruppo degli analisti del Centre, di Jean-Luc Donnet, di Jean-Louis Baldacci, che ne sono stati consecutivamente direttori dopo la scomparsa del fondatore Jean Favreau, hanno sviluppato una pratica clinica ed una riflessione teorica talmente densa da cui si può cogliere, in particolare negli ultimi libri di Donnet, la forza e il potenziale clinico del metodo analitico mantenuto e messo al centro del lavoro analitico nella clinica dei pazienti non nevrotici. 

Il tema del metodo analitico e la grande riflessione sul nucleo costitutivo di esso, l'associazione libera, è dunque ciò che ha caratterizzato sempre più nettamente il pensiero di questo autore.
 Il primo libro all'interno del quale sono organizzati gli articoli scritti in un arco di tempo che va dalla fine degli anni Settanta alla fine degli anni Ottanta è Le divan bien tempéré (PUF, Paris 1995). In questo libro il terreno clinico di riferimento è quello della nevrosi, per dirla rapidamente… Ed è qui che Donnet dà forma alla sua lunga elaborazione a partire dalla nozione di «sito analitico» e di «situazione analizzante» (in questi termini egli ne parla nella presentazione del volume). Io indicherei al lettore che voglia approcciare il pensiero e la riflessione di Donnet proprio questa presentazione, perché in essa si coglie molto bene l’intreccio, sempre attivo, tra le proprie singolari ‘scoperte’, il loro inscriversi nella più ampia vicenda della psicoanalisi in Francia, il dialogo, incessante, con Freud e il mantenimento di uno spirito ‘molto aperto’ verso l’inconscio, così come una sorta di capacità di gioco, serio certamente, ma capace di humour (il riferimento a Winnicott seguirà lo sviluppo della sua produzione passo passo).

Il filo rosso (nome non a caso della storica collana di testi psicoanalitici delle PUF, creata da Christian David, Michel de M'Uzan e Serge Viderman e diretta all’epoca dai primi due e da Paul Denis) che si era imposto alla riflessione era quello della «situazione analitica», che ingloba nella sua unità complessa l’azione analitica e lo spazio-tempo nel quale essa si ‘situa’. È talmente forte la presa in considerazione del peso dei conflitti teorici, della loro ricchezza per l’esistenza stessa della psicoanalisi, che egli afferma essere suo obiettivo quello di «mettre en histoire», potremmo tradurre di ‘dare una dimensione storica’ alla relazione dell’analista con la psicoanalisi.

Potrebbe qui spendere qualche parola, visto che stiamo presentando appunto una traduzione, sul lavoro di traduzione dei testi di Donnet e sulla difficoltà di rendere il suo stile in italiano?

Credo che dobbiamo essere grati al traduttore, Mario Sancandi, per la sua capacità di far fronte ad uno stile piuttosto ostico: il pensiero di Donnet, la sua indubbia capacità di rendere, attraverso il suo periodare, lo spessore e la complessità del suo ragionamento, si scontrano con i limiti di un’esposizione spesso troppo concentrata. La fatica da parte del lettore c’è: ma penso che valga la pena di essere affrontata e la nostra traduzione ha sicuramente contribuito a rendere molto leggibile questo libro. La traduzione è stata fatta con grande cura e al volume sono state aggiunte sia una «Nota del traduttore», con alcuni termini che richiedevano delle precisazioni, sia una «Nota bibliografica», utile al lettore che voglia affrontare altri volumi di questo autore.

Qual è l’obiettivo principale di questo libro? Com’è costruito? In cosa consiste la sua originalità?

In parte credo di aver già anticipato la risposta. Ma vengo più dettagliatamente al libro stesso. Qualcuno ha scritto che i libri di psicoanalisi, i libri scritti da psicoanalisti, non possono che essere, cioè per la maggior parte sono, delle raccolte di articoli e di saggi, seguendo in questo l’andamento dell’esperienza clinica e della riflessione après-coup su di essa. Per Donnet questo vale in modo specifico. Ne La situazione analizzante la riflessione, già iniziata nel decennio precedente, continua e il libro, uscito nel 2005, raccoglie e ordina una serie di articoli scritti in diverse occasioni scientifiche, in parte pubblicati sulla RFP (Revue française de psychanalyse).

Il centro, a mio avviso, della riflessione di questi anni è la questione dell’agire, dell’agieren e la necessità di pensare analiticamente le situazioni cliniche marcate da una significativa presenza di aspetti, comportamenti, ma non solo, agiti da parte del paziente. Come mantenere fermo il riferimento al metodo, al binomio associazione libera/attenzione liberamente fluttuante quando il paziente, invece di associare, agisce, all’interno e all’esterno delle sedute? Il primo capitolo del libro è dedicato, molto significativamente, ad André Green: e non possiamo non ricordare che questo autore aveva dedicato e stava dedicando una decisiva riflessione analitica alla clinica dei pazienti cosiddetti ‘limite’. Faccio solo un cenno e rimando alla lettura dei testi: si tratta di un pensiero decisamente non riassumibile. Nulla può rimpiazzare il processo attraverso il quale «il ritorno a se stessi si fa grazie al passaggio per l’altro» (André Green). È qui, proprio attorno alla questione dell’altro, e perciò al binomio transfert/controtransfert e ai fallimenti dei processi di simbolizzazione primari, in questa ‘clinica’, che l’analista come oggetto incarnato, la sua ‘persona’ direbbero alcuni in Italia – ma con questa parola rischieremmo di immettere una dimensione non propriamente analitica, – è implicato in modo assai diverso che nella clinica dei pazienti nevrotici. 

Attraverso una ricchezza impossibile da rendere in queste poche righe, Donnet arriva alla considerazione che da un lato tutta la seduta, e perciò anche gli agiti, debbono essere intesi ed ascoltati come se fossero delle libere associazioni e dall’altro che anche la parola, in molti casi, porta con sé una dimensione di agieren, la cosiddetta ‘parola agita’. In queste condizioni la riflessione clinica, quella teorizzazione liberamente fluttuante, come più volte Donnet la nomina rendendo esplicito omaggio a Piera Aulagnier, incrocia sia la problematica dell’ascolto analitico sia quella del controtransfert.

A quali altri autori si riallaccia il pensiero di Donnet?

Il dialogo, diretto e a distanza, con i colleghi è per Donnet una parte indispensabile non solo del lavoro di scrittura, una scrittura, voglio di nuovo ricordarlo, quanto mai non accademica e fortemente segnata dalla sua soggettività, presa come una delle polarità necessarie non solo del lavoro clinico ma anche di quella dimensione tutta particolare che è la scrittura psicoanalitica, ma è un dialogo necessario anche per l’analista al lavoro… e l’importanza di ciò che egli definisce come gli ‘scambi inter-analitici’, ad esempio quelli del gruppo di discussione clinica all’interno del Centrene sono testimonianza. Se vogliamo parlare di altri autori attualmente presenti sulla scena francese direi senz’altro Laurence Kahn, Jean-Claude Rolland, René Roussillon che mi pare gli sia debitore di molte riflessioni, e molti molti altri: nel 2017 si è tenuta una Journée Jean-Luc Donnetorganizzata dalla SPP: da quell’incontro è nato il libro Une traversée du site analytique avec Jean-Luc Donnet.

Quali altri libri sono da ricordare di questo autore?

A parte quelli già citati, vorrei ricordare gli ultimi due, L’humour et la honte, sempre per le PUF, 2009, e l’ultimo, Dire ce qui vientAssociation libre et transfert, PUF 2016. Nel primo dei due egli sviluppa un tema che ha seguito parallelamente a quello del metodo, e cioè la questione del super-io; nel secondo invece ritroviamo l’ulteriore sviluppo del tema del metodo e la sua connessione inscindibile con la dimensione transferale nella quale tutta la cura analitica si svolge.

Ma per finire voglio ricordare un momento per me memorabile, la prima occasione in cui ho ascoltato Jean-Luc Donnet. Si trattava di un incontro organizzato da André Green. In una delle formidabili tavole rotonde parlavano Donnet, appunto, con Nathalie Zaltzman, coordinati da Jean-Louis Baldacci. Il tema era «Le travail de culture? La guérison? L'analyse elle-même?» (Le travail psychanalytique, a cura di André Green, Paris PUF 2003). Per me da quel momento qualcosa era iniziato: avevo potuto ascoltare dal vivo due degli analisti che sarebbero stati, per gli anni a venire, i riferimenti più importanti e decisivi della mia avventura analitica.

Spero che con questa traduzione e con i numeri della rivista notes per la psicoanalisi, nella quale si potranno ritrovare le tracce di tante di quelle discussioni, di quei dibattiti che hanno segnato il nostro modo di essere e cercare di restare analisti, anche il lettore italiano che non può leggere nella lingua originale possa avere accesso alla ricchezza a cui Donnet è riuscito a dar forma nei suoi libri.


(Gennaio 2019)




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