Elegiaco e tragico, umano e crudele, provocatorio e riflessivo, pervaso di quel mistero che fa di una storia interiore l'avventura di una vita ignota a chi la viva, il romanzo di Philip Roth Pastorale americana (American Pastoral, Houghton Mifflin, Boston 1997) l’ho trovato affascinate per l'intelligenza dell'autore, la sua duttilità espressiva, l'ampiezza delle tematiche trattate. Tematiche che sono incluse in atmosfere, in situazioni specifiche, dove emerge l'intensità delle convergenze di stati del mondo che sarebbero altrimenti tenuti separati, come in quella splendida sequenza del film di Robert Benton La macchia umana (2003), tratto dall'omonimo romanzo di Roth, in cui Coleman Silk (interpretato da Anthony Hopkins) e Nathan Zuckerman (Gary Sinise) ballano come innamorati, felici della vita che ritorna. È una scena limite, bella da riguardare, tratta da un film mal riuscito, ma tanto basta a ricordarci, nell'intreccio fra immagine filmica e musica jazz, la cruda contraddizione di chi, rinnegata la propria origine negra per il perduto amore di una donna bianca, non può fare a meno di gioire al ritmo della musica afroamericana, abbracciando un uomo scampato al cancro.
I romanzi di Roth sono pieni di malattie, e Pastorale americana non è da meno. Il romanzo si apre con l'incontro di due uomini malati alla prostata, Nathan Zuckerman che sopravvive, Seymour Levov che muore qualche tempo dopo. La malattia attraversa il romanzo sotto forma di balbuzie della figlia di Seymour (AP, p. 90), di depressione di sua moglie Dawn (p. 177), di attacco cardiaco al padre di lei (p. 389) e via dicendo, fino all'evocazione dell'epidemia di vaiolo del 1777 (p. 303). Attraverso queste malattie Roth fa terra bruciata intorno all'individuo, nella misura i cui la vita non è solo pensiero e narrazione: di là dall'immaginazione dell'uomo c'è qualcosa di carnale che va per conto proprio, e che non può essere condiviso con un'altra persona. Pensa Seymour:
Yes, alone we are, deeply alone, and always, in store of us, a layer of loneliness even deeper. There is nothing we can do to dispose of that. No, loneliness shouldn't surprise us, as astonishing to experience as it may be. You can try turning yourself inside out, but all you are then is inside out and lonely instead of inside in and lonely. (225-226)
Sì, siamo soli, profondamente soli, e in serbo per noi, sempre, c’è uno strato di solitudine ancora più profondo. Non c’è nulla che possiamo fare per liberarcene. No, la solitudine non dovrebbe stupirci, per sorprendente che possa essere farne l’esperienza. Puoi cercare di tirar fuori tutto quello che hai dentro, ma allora non sarai altro che questo: vuoto e solo anziché pieno e solo.
Al tempo stesso il ventre molle della malattia evoca il destino individuale, oltre a denunciare disagi sociali, come nel caso della depressione di Dawn e di balbuzie, bulimia e anoressia ideative e ideologiche di Merry (pp. 243-244).
Protagonista di Pastorale americana è Seymour Levov, un uomo che ha realizzato il sogno americano. È ebreo di terza generazione in America, è campione nei tre più importanti sport statunitensi, a cominciare dal baseball che in quel periodo era animato dalle imprese di Joe DiMaggio; è bello, è un ricco imprenditore che ama il suo paese e i valori democratici. Ed è sposato con Miss New Jersey 1949, una delle donne più belle d'America. Inoltre è una bravissima persona, intelligente, disponibile, comprensiva. Tutti lo guardano con ammirazione. Anche se ha abbandonato lo sport per dedicarsi alla guanteria del padre Lou, resta nella memoria di chi lo ha conosciuto da ragazzo «lo Svedese»: un idolo, un mito, una leggenda. Finché, un brutto giorno del febbraio 1968 la sua vita viene sconvolta: la figlia sedicenne Merry ha fatto esplodere una bomba in un ufficio postale uccidendo un medico di passaggio; poi è sparita.1
A questo punto Seymour cerca di ritrovare la figlia, mentre la polizia lo tiene sott'occhio e la stampa descrive la sua bambina come un mostro. Lui è convinto che Merry non possa essere responsabile, forse è stata rapita, forse è colpa di lui stesso se la ragazza ha compiuto un gesto così sconsiderato. Verrà poi a sapere che è stata lei. Non la abbandonerà, perché Merry è la persona che lui ama sopra ogni cosa; Merry non lo ama affatto. La storia è raccontata dallo scrittore Nathan Zuckerman su richiesta di Jerry, il fratello del compianto Seymour.
È questo un modo di riassumere la storia. Ma la fabula ha un intreccio avvincente per nulla così consequenziale. La cronologia è talmente importante che Roth la sfalsa, ne rimescola i tempi, come un mazzo di carte. Sottomette la fabula all'intreccio, i nessi causali cronologici ad altri nessi causali: i fatti non vanno esposti come un tempo oggettivo la cui metafora congeniale sia la strada; costituiscono, piuttosto, ritorni mnemonici che si modificano nei pensieri dei personaggi. Gli eventi sono come inscritti in una mappa che questi attraversano più volte e loro, i personaggi, non sono i più adatti a raccontarci il paesaggio attraverso i propri viaggi «crudelmente, in termini clinici, cosa significa essere persone qualunque» («heartlessly [...], in clinical terms, what it is to be ordinary», p. 31): dobbiamo farlo noi, suggerisce Roth, ma reificando gli individui, attribuendo un nesso di causalità esteriore in cui l'uomo è solo una cosa. Problema avvertito con intensità da Michail Bachtin in Dostoevskij. Poetica e stilistica (1972), quando diceva che raccontare «Tre morti» di Lev Tolstoj non era cosa da Dostoevskij (pp. 94-99): troppo esterno lo sguardo, troppo lontano dai precordi. Non solo: troppo lontano dal magone delle idee.
Un elemento mi sembra di poter scorgere nel rapporto dei personaggi con il tempo: vivere gli eventi in ritardo. Per Nathan, Seymour inizia ad avere una sua articolata intimità solo quando è già morto; per Seymour la bomba è già scoppiata quando comincia il proprio dramma (la bomba stessa è a scoppio ritardato); per Merry la pace in Vietnam è persa dall'inizio: Roth non rappresenta il progredire della malattia di Seymour, della sua crisi coniugale, né vi sono discorsi guerrafondai che preparino la risposta della bambina; ex abrupto Roth qualifica il dramma di Merry di fronte alla guerra vietnamita come trauma, attraverso la sua immedesimazione con il monaco in fiamme visto alla tv (pp. 153-157). Tutto succede troppo in fretta per poter parlare di cause efficienti, rischio cui andiamo incontro ogni qualvolta si verifichi un evento in cui non siamo in grado di metterci le mani. Politica e individuo, storia e individuo: la politica lontana dalla gente e la storia che la schiaccia. Una vecchia storia, appunto, che Roth, in termini più affabili di Lev Tolstoj, non dimentica di ricordarci; anche qui come nei migliori romanzi russi dell'Epoca d’oro sono i giovani a cercar di imprimere un diverso corso alla Storia: «La gente pensa che la storia abbia il respiro lungo, ma – pensa Nathan Zuckerman, – la storia, in realtà, ti si para davanti all’improvviso» («People think of history in the long term, but history, in fact, is a very sudden thing», p. 87).
Gli eventi passati sono rielaborati intimamente fin dalle prime righe del romanzo, attraverso le sbagliate interpretazioni di Nathan nei confronti di Seymour:
I was wrong. Never more mistaken about anyone in my life. (39)
Mi sbagliavo. Non mi ero mai sbagliato di più sul conto di nessuno in vita mia.
Come in Luce d'agosto (Light in August, 1932) di William Faulkner (uno dei due romanzieri americani – l’altro è Saul Bellow – considerati da Roth i suoi sommi maestri), la narrazione di Pastorale americana si apre su scene del passato, con flashback continui che precisano la condizione immaginativa ed emotiva del personaggio. Il passato riaffiora fornendo le informazioni più utili per capire cosa stia vivendo, in un dato momento, il protagonista lacerato dal destino. Supposizioni e ricordi si fondono, mentre il lettore scopre, più va avanti nella lettura, quanto sia sbagliata l'idea che ci si fa di un uomo vedendolo esteriormente. L'uomo fortunato e superficiale che viene presentato all'inizio del romanzo da Nathan Zuckerman è una persona molto riflessiva, con una buona dose di autocoscienza, disposta a comprendere le situazioni emotive degli altri e capace di indovinare, non necessariamente azzeccandoci, le recondite insidie delle loro battute, come quando si arrabbia con lo psichiatra che aveva in cura Merry da bambina:
He hates me, thought the Swede. It's all because of the way I look. Hates me because of the way Dawn looks. He's obsessed with our looks. That's why he hates us—we're not short and ugly like him! (p. 96)
Quest’uomo mi odia, pensò lo Svedese. È tutta colpa del mio aspetto. Mi odia a causa dell’aspetto di Dawn. È ossessionato dal nostro aspetto. Ecco perché ci odia: non siamo piccoli e brutti come lui!
Se non fosse che chi ci dice che l’ottica di Seymour lo Svedese non costituisca un pregiudizio suo nei confronti dello psichiatra, un suo sentirsi discriminato pensando di essere odiato in quanto bello e prestante, e con ciò esprimendo il proprio pregiudizio nei confronti dello psichiatra da lui ritenuto basso e brutto. Di fatto, e ciò non è dimostrabile ma comprensibile solo a naso col senno di poi, Merry avrebbe potuto beneficiare delle cure dello psichiatra se non fosse che la supponenza dei genitori l'hanno privata di tali supporti diagnostici e terapeutici. A prescindere o meno dal fatto che Merry abbia collocato la bomba in un ufficio postale occasionale inserito all’interno di un emporio privato, i problemi di disagio psichico di Merry sono evidenti in lungo e in largo in Pastorale americana, senza che qui debba entrare nei dettagli cui ho dedicato altri studi, di prossima pubblicazione.
I flashback non servono solo a informarci del passato dei personaggi, ma anche ad alimentarne il pensiero. È una memoria che crede, prima di poter effettivamente conoscere, come nella memorabile apertura del capitolo «6» di Luce d'Agosto:
Memory believes before knowing remembers. Believes longer than knowing recollects,longer than knowing ever wonders. (p. 119)
La memoria crede prima che conoscere ricordi. Crede più a lungo di quanto conoscere si rammenti, più a lungo di quanto conoscere si domandi mai.
Del resto Faulkner costruisce la sua narrazione sul tempo verbale presente per assegnare al passato il riemergere della memoria, mentre Roth traccia un affresco che è tutto al passato, secondo la migliore lezione di Aristotele, quale verosimiglianza del possibile. Al tempo stesso, non è solo il tempo passato ad adergere al presente del tempo raccontato; è anche il tempo futuro che si intromette nel tempo raccontato, rendendo passato il racconto non ancora concluso (pp. 74-77). Questi sbalzi temporali producono un primo momento dialogico, minimizzando la gerarchia del tempo. Non c'è, come in Sant’Agostino, un presente del passato, un presente del futuro e un presente del presente, ma un continuo esser presente del passato di presente, futuro e passato.
Tutto è già passato: la storia di Seymour è quella di un uomo che fa la sua comparsa da vivo e muore in poche pagine. La sua vera storia inizia quando è già morto e finisce che è ancora vivo. Il dialogismo di Pastorale americana è da subito riposto nei tempi che si rivolgono lo sguardo, commentandosi reciprocamente. È qui ravvisabile una critica di Roth all'aspetto sentimentale del ritorno al passato di Seymour, secondo uno dei modi di concepire la pastorale americana segnalati da Leo Marx in «Pastoralism in America» (1983): l’«immagine sentimentalizzata dell’“uomo comune” semplice e non mondano» («sentimentalized image of the simple, unworldly 'common man'», p. 56) opposta alla concezione rustica in cui l'uomo rifiuta lo stile di vita della modernità, a cui Seymour, da imprenditore di un mercato globale, non sa rinunciare.2
Eppure questo passato ci avvolge, ci emoziona, ci preoccupa, come se fosse dispiegato sul nostro orizzonte quotidiano. Sarà che Roth sa stupirci, chiudendo i capitoli con colpi di scena e aspettative la cui soddisfazione è rimandata, sarà che ci fa ridere e preoccupare con il dialogismo ebraico che conosciamo anche tramite le surreali battute dei film di Woody Allen, ma che ritroviamo a ritroso con grande intensità nell'universo biblico de Il libro di Giobbe (citato da Roth stesso in questo romanzo). Sarà forse, e questo ci riguarda più da vicino, che ci troviamo di fronte a quello che nel saggio «Postmodernismo, Ovvero la logica culturale del tardo capitalismo» («The Cultural Logic of Late Capitalism», 1984) Fredric Jameson, abbozzando una prospettiva interpretativa del postmoderno, ha chiamato «passatezza» («pastness»):
This approach to the present by way of the art of language of the simulacrum, or of the pastiche of the stereotypical past, endows present reality and the openness of present history with the spell and a distance of a glossy mirage (p. 21).
L’accostamento all’oggi attraverso il linguaggio artistico del simulacro, o il pastiche di un passato stereotipato, conferisce alla realtà attuale e al carattere aperto della storia presente il fascino e la distanza di un lucente miraggio.
Roth avrebbe potuto narrare la storia di Seymour lo Svedese senza ricorrere alle ottantasette pagine di Icherzählung iniziali, in cui il protagonista sembra essere Nathan Zuckerman, un po' come Stepan Trofimovič Verchovenskij sembra essere inizialmente il protagonista de I demoni (Besy, 1871-2) di Dostoevskij, per introdurre lo sfondo sul quale deflagra la nuova concezione anarchica dei «figli». La storia di Seymour è di per sé emblematica degli intimi rivolgimenti della società statunitense degli anni sessanta, di quell'aria di rivoluzione che spirava come un uragano, sicché, cantava Bob Dylan in «Subterranean Homesick Blues» (1965), «non occorre un meteorologo / per sapere dove soffia il vento» («You don't need a weather man / To know which way the wind blows»). Invece Roth non riscrive una «Ballad of a Thin Man» (1965), non resta in quel canoro tiro al bersaglio della pungente canzone di Dylan, il cui celebre ritornello recita:
Because something is happening here
But you don't know what it is
Do you, Mister Jones? 3
Perché qui sta succedendo qualcosa
Ma non sai di che si tratta
Vero, Signor Jones?
L'uomo sconvolto dai «tempi che stanno cambiando» è, non meno di Mr. Jones, Seymour Levov, idolo degli anni cinquanta, un campione mancato sposato con una stella dello spettacolo mancata, quasi una fotocopia sbiadita di quella coppia che, in quel decennio stesso, furono Joe DiMaggio e Marilyn Monroe: il baseball e Hollywood messi insieme. Seymour e Dawn vivono invece ad Old Rimrock, un'oscura località vicina a Newark, New Jersey, città natale di Roth. Sono come separati dal mondo, benché siano a due passi da Manhattan. Eppure, se questo parallelismo non dice tutto, segnala qualcosa: indica che i tempi stavano cambiando già nell'America di Truman, prima ancora delle «nuove frontiere» di John Kennedy, della Grande Società di Johnson, dell'opportunismo corrotto di Nixon, ai quali sono dedicati ampi riferimenti nel romanzo. È il nuovo clima della guerra fredda, del maccartismo «fracassone, astuto e privo di scrupoli», come Allan Nevins ha definito il suo ispiratore (p. 589), che accompagna con tanto stridore il Fair Deal dell'amministrazione Truman e, soprattutto, a partire dal 1953, le sentenze liberali della Corte Suprema presieduta dal giudice Earl Warren contro le politiche razziali della presidenza americana di Eisenhower; ed è anche il periodo di quel cinema hollywoodiano neorealista che inizia ad esibire modelli di giovani ribelli, scontrosi, isolati, idealisti, a cominciare dagli sfaccettatissimi ruoli interpretati da Marlon Brando, James Dean e Montgomery Clift, che contrastano in modo lampante con il candore combattivo di un James Stewart, con il machismo di John Wayne e Robert Mitchum, con quel modo brillante e autoironico di interpretare la vita impersonato da Cary Grant.
L'America di Pastorale americana è, sì, anzitutto quella del periodo della guerra in Vietman, di ciò che il Vietnam ha significato all'interno degli Stati Uniti. Ciò nonostante il romanzo si affaccia da balaustre temporali più elevate, offrendoci uno spaccato storico di quasi mezzo secolo, senza contare che si protrae inizialmente fino al 1995. Per quanto riguarda la rivolta di Newark, il terrorismo e gli effetti prodotti all'interno degli Stati Uniti dal suo coinvolgimento in Vietnam, Roth recupera discorsi ampiamente documentati dai media dell'epoca, come si può notare leggendo Sessantotto. La generazione delle due utopie (1996) di Paul Berman, un libro riassuntivo delle cronache di quegli anni. Ampia eco avevano sui quotidiani la vicenda dell'arresto di Angela Davis,4 gli attentati attribuiti ai Weathermen (o Weather Underground) e gli altri eventi storici, fra cui l'esodo dei Wasp dalle città governate dai neri, come Newark. Si capisce dal romanzo che ciò che Roth vuol far emergere sono i discorsi all'interno dei rapporti familiari di Seymour, piuttosto che quelli prodottisi in quegli anni nelle università, nei movimenti per i diritti civili, nella grande impresa, nei circoli della politica, nelle fabbriche. L'intento del romanziere non è qui ricostruire gli anni sessanta, ma proiettare sul presente quel periodo storico attraverso una figurazione dinamica e instabile e una accentuazione dell'impossibilità della ricostruzione storica.
Consideriamo la fabula di Pastorale americana e, con un intreccio appropriato, avremmo un quasi romanzo di formazione. La storia di Seymour da bambino e poi adolescente, con Nathan bambino che lo guarda con ammirazione ogni volta che, andando in bagno, getta un'occhiata nella stanzetta dello Svedese, il suo idolo. Fino a quando, cresciuto un po' in ritardo, Seymour si accorge di che pasta è fatta la vita: nozione, questa, che pare essergli sfuggita, come se la maturità non fosse limitata dal passare degli anni. Sembra che tutti avessero capito qualcosa della vita tranne lui. Se si trattasse di limitarci alla cronologia di un romanzo di formazione, Seymour sarebbe l'americano ideale. Questo andare oltre l'età in cui si è sposato e ha preso le redini dell'azienda del padre costituisce un implicito motivo di critica dei limiti del «romanzo di formazione», nel senso che, nella società moderna, non ci si può aspettare la compiutezza dell'uomo nella sua formazione giovanile.
Le prove cui deve andare incontro Seymour non finiscono mai: fin dalla nascita di Merry nel 1952, la vita di Seymour è fitta di preoccupazioni, a cominciare da malori neonatali, da rifiuto alimentare e balbuzie infantili e da successivi problemi adolescenziali della figlia; e, prima ancora, il fidanzamento con Dawn, in quanto shiksa («non ebrea», in yiddish), è contrastato dal padre di Seymour, benché il motivo subdolo possa essere il fatto che, provenendo dalla classe operaria, Dawn sia di estrazione sociale inferiore ai Levov, quindi ‘inutile’ alla loro continua ascesa sociale. Per cui, riguardo a Merry (che ha peraltro un rapporto distaccato con la madre), la bomba non rappresenta il motivo centrale del romanzo, ma quello scatenante, clamoroso, interessante della sua vicenda umana, con cui si intensifica l'autocoscienza di Seymour. O meglio, la bomba, come metafora del caos, è invece centrale; la sua centralità è anche strutturale: il periodo in cui esplode la bomba è raccontato più diffusamente al centro del romanzo, e tutta la restante narrazione è come se seguisse l'onda d'urto di quel momento.
Che Merry abbia effettivamente piazzato la bomba non c’è, leggendo il romanzo in lungo e in largo, alcuna consistenza, nessuna certezza. Che abbia militato per la Weather Underground Organization (WUO) è da escludere, nonostante le ipotesi e congetture dell’F.B.I. e di Seymour stesso, in quanto quell’organizzazione terroristica fatta anch’essa di militanti ebrei, si formò un anno dopo, a seguito della riunione dell’SDS del 18 giugno 1969, fuoriuscendo dal movimento più rappresentativo di sinistra americana nelle università, gli Students for a Democratic Society (SDS, appunto; in ital.: Studenti per una Società Democratica), mentre la bomba la cui collocazione venne attribuita a Merry esplose nel febbraio 1968 alle cinque del mattino e non colpì, come fu il caso degli obiettivi della lotta armata dei Weathermen, un ufficio federale, ma, al contrario, un ufficio postale posticcio ospitato in un piccolo negozio privato per permettere, nella zona rurale dove viveva la famiglia di Seymour in New Jersey, fatta più di boschi che di case e negozi, di avere un minimo di comunicazione di pacchi e lettere. Naturalmente, nel 1969 e nei primi anni settanta, né l’F.B.I., né Seymour e i suoi famigliari potevano sapere che la WUO, di cui si riempivano le cronache mediatiche dell’epoca, si fossero formate nel 1969. Roth, raffigurando la confusione interpretativa dell’epoca sia da parte dei Levov (persone ricche, non certo di cultura) e sia da parte della polizia federale e dei media, che non avevano ancora contezza di cosa fossero i Weathermen, se non in sommi capi, compie un grande lavoro di confusioni perse per certezze o forti dubbi da parte di personaggi presi nel prisma percettivo delle proprie esperienze nel vivo della storia e, per mancanza di cultura e per troppa passione personale, incapaci di fare le operazioni più semplici di verifica dei fatti rispetto alle opinioni personali e correnti.
Nonostante la notte del 3 febbraio 1968 fosse insolitamente mite nella fittizia Old Rimrock (vicina a Morristown) per quel periodo dell’anno, secondo quanto riferiscano i bollettini dell’epoca relativi all’aeroporto di Newark, un 3°, 4° Celsius, un tasso d’umidità non elevato (intorno al 65%), poco vento e qualche leggera precipitazione, ciò nondimeno, a chi abbia frequentato i boschi e le campagne del New Jersey settentrionale può risultare assurda l’idea che una sedicenne sia stata in grado di percorrere a piedi, praticamente al buio (c’era copertura di nubi in fase di luna crescente, data al 25% di luminosità), i chilometri che occorrono per raggiungere l’ufficio postale, in una zona in cui sono presenti animali selvatici piuttosto pericolosi. Ancor più rimarchevole è che Roth non faccia mai venire in mente a Seymour quando abbia visto a casa l’ultima volta la figlia, prima che fuggisse, la cosa che resta in genere più impressa quando scompaia un familiare dalla propria abitazione, questo non per inconsistenza descrittiva, ma proprio perché Philip Roth, in Pastorale americana, ci pone una serie di problemi interpretativi di quali non vuole fornirci soluzioni esplicite.
Che poi, nel finale, Merry dichiari al padre di aver collocato la bomba trova il tempo che trova, trattandosi di una giovane donna ‘disturbata’ che dice di tutto per umiliarlo, in passi peraltro memorabili per la loro crudezza e anche, in taluni casi, per la sofisticata acuta tenerezza del meraviglioso fraseggio di Philip Roth (passi che vanno letti e riletti per coglierne le allusioni colte – per esempio la svastica quale simbolo del giainismo cui Merry si è convertita, – la semantica gestuale, il substrato psichico).
Il motivo per cui Nathan Zuckermann si accinge a ricostruirne la storia, o meglio, a figurarsela, se vogliamo usare una locuzione di Paul Ricœur ne Il tempo raccontato (1985), è a partire dallo «spazio vuoto dell'immaginario nel lavoro di figurazione» (p. 285). Spazio vuoto che Nathan riempie rintracciando documenti personali, lettere, fotografie, riviste, cronache giornalistiche, testimonianze orali, riprese televisive e filmini domestici, fino a poter dire che la sua storia è il sogno di una «cronaca realistica»:
I dreamed a realistic chronicle (p. 89).5
Sognai una cronaca realistica.
Roth indica così il lavoro tipico del romanziere e dello storico, quel tratto comune che al romanziere permette un maggior margine di azione. Paul Ricœur:
Se è vero che una delle funzioni della finzione, mescolata alla storia, è quella di liberare retrospettivamente certe possibilità non effettuate del passato storico, è grazie al suo carattere quasi storico che la stessa finzione può esercitare a posteriori, la sua funzione liberatrice. Il quasi-passato della finzione diviene in tal modo il rivelatore dei possibili nascosti del passato effettivo. Ciò che "avrebbe potuto aver luogo"—il verisimile per Aristotele—ricopre ad un tempo le potenzialità del passato 'reale' e i possibili 'irreali' della pura finzione. (p. 294)
Roth apre al romanzo la possibilità di raccontare la storia di un uomo come se fosse effettivamente accaduta, ne precisa, nel contesto fittizio della narrazione, gli elementi di ricerca di una vita altrimenti destinata all'oblio, con Nathan intento a seguire le tracce del passato di Seymour.6 La descrizione di questo viaggio in avanti alla ricerca di quanto si va perdendo nel tempo è dettagliatissima: case, fabbriche, scuole, fotografie ecc. (pp. 75-76). Eppure Nathan non è un biografo: le sue interpretazioni dei pensieri di Seymour si perdono nel racconto vero e proprio del dramma dello Svedese, senza più commenti espliciti del narratore. È Seymour che pensa, che ricorda, che è avvolto dal suo universo quotidiano. Senza soluzione di continuità, la storia di Nathan diventa la storia di Seymour. Essa si apre su una spiaggia, come se da un punto qualsiasi si possa tirare il filo che attraversa per intero la storia; luogo, la spiaggia, in cui il T. S. Eliot de La terra desolata (The Waste Land, 1922) recuperava il passato frammentato, ma senza quella «ironia vuota» («blank irony») di cui parla Jameson che mi sembra di ravvisare in diverse pagine di Roth:
These fragments I have shored against my ruins. (V, 430)
Questi frammenti ho puntellato contro le mie rovine. (Parte V, v. 430)
È a questo punto che iniziamo, poco alla volta, a scoprire l'uomo. Nathan l'aveva detto qualche pagina prima, riferendosi all'incontro del 1995:
[T]ryng to figure this guy out is ridiculous (p. 30)
[I]l tentativo di comprendere quest’uomo è ridicolo
L’uomo ridicolo, lo smešnoj čelovek, appunto, difficile da capire, come nei romanzi di Dostoevskij. Il compito che Nathan si prefigge, raccontare la storia di Seymour, gli era sembrato impossibile da realizzare. Sempre riprendendo Dostoevskij, Nathan pensa:
The man within the man was scarcely perceptible to me. (p. 30)
L’uomo dentro l’uomo mi riusciva scarsamente comprensibile.
Quello che potrebbe fare, immagina Nathan, è raccontare la storia alla Lev Tolstoj, in modo «clinico» (p. 31): altro che l'«uomo nell'uomo» di Dostoevskij!7 L'autocoscienza di Nathan sa di sbagliarsi. In poche pagine ribadisce il proprio errore di valutazione (pp. 21 e 39). Questo capiterà a Seymour stesso, ma anche a personaggi più tutti d'un pezzo, come Lou Levov, «for whom there is a right way and a wrong way and nothing in between» (p. 11). Ma è davvero come la pensava Nathan all'inizio? Lou Levov non ha vie di mezzo? Non mi pare. Dice Lou:
Thank God for [Dawn's] face-lift. I was against it but I was wrong. Dead wrong. I got to admit it. That guy did a wonderful job. Thank God our Dawn doesn't look anymore like all that she went through (p. 298).
Sia ringraziato Iddio per quel lifting [di Dawn]. Io ero contrario, ma avevo torto. Torto marcio. Devo ammetterlo. Quell’uomo ha fatto un lavoro magnifico. Grazie al cielo, la nostra Dawn è cosí cambiata che non si vede tutto quello che ha passato.
E ancora più condiscendente è con la nipotina Merry, nei colloqui sulla guerra del Vietnam (pp. 285-291). Non è, appunto, il «bruto» descritto da Jerry Levov, il fratello dello Svedese (p. 75). Il dialogismo di Pastorale americana è fitto sia di questi giudizi incrociati, sia di cambiamenti d'opinione. È come se il punto di vista personale sapesse di essere un orizzonte qualitativamente non migliore di altri. Nathan cerca di perdere se stesso per raccontare «l'uomo nell'uomo» di quest'«uomo ridicolo» ed esplicita il rischio del fallimento della raffigurazione dell'idea altrui:
After I'd already written about [Jerry's] brother—which is what I would do in the months to come: think about the Swede for six, eight, sometimes ten hours at a stretch, exchange my solitude for his, inhabit this person least like myself, disappear into him, day and night try to take the measure of a person of apparent blankness and innocence and simplicity, chart his collapse, make of him, as time wore on, the most important figure of my life—just before I set about to alter names and disguise the most glaring marks of identification, I had the amateur impulse to send Jerry a copy of the manuscript to ask what he thought. It was an impulse I quashed: I hadn't been writing and publishing for nearly forty years not to know by now to quash it. "That's not my brother," he'd tell me, "not in any way. You've misrepresented him. My brother couldn't think like that, didn't talk like that," etc. (p. 74)
Dopo che avevo già scritto qualcosa su suo fratello (che è quanto avrei fatto nei mesi successivi: pensare allo Svedese per sei, otto, a volte dieci ore di fila, scambiare la mia solitudine con la sua, abitare questa persona tanto diversa da me, sparire dentro di lui, cercare giorno e notte di prendere le misure di un individuo di cui erano evidenti il grigiore, l’innocenza e la semplicità, seguirne il crollo, fare di lui, col passare del tempo, la figura più importante della mia vita), poco prima che mi accingessi a cambiare i nomi e a mascherare i segni più vistosi della sua identità, provai l’impulso, tipico del dilettante, di spedire a Jerry una copia del manoscritto per chiedergli cosa ne pensava. Era un impulso che soffocai: scrivevo e pubblicavo da quasi quarant’anni, e sapevo, ormai, che doveva essere soffocato. «Questo non è mio fratello, – mi avrebbe detto, – nel modo più assoluto. L’hai travisato. Mio fratello non poteva pensarla così, mio fratello non parlava così». Eccetera.
Nathan ci offre così un punto di vista iniziale. Lui non è lo Svedese, ma un'altra persona con idee proprie. «Alter cerebro» («Alter brain») di Roth, non di Seymour.8 Personaggio e autore si sono distanziati. Non è solo il personaggio-autore Nathan a giudicare il personaggio di Seymour; è quest'ultimo ad esprimere il proprio giudizio sull'autore:
If only he could be as unknowing as some people perceived him to be. (p. 206)
Se solo avesse potuto essere ignaro, come certe persone credevano che fosse…
Questo passo non mostra solo l'autocoscienza di Seymour, ma l'autocoscienza di Nathan che, in quanto narratore, gli attribuisce un giudizio su di sé, attraverso una relativizzazione di giudizio.9La perdita della personalità (depersonalization), cara alla poetica eliottiana di «Tradizione e talento individuale » (1920), qui trova un terreno fertile per uno scontro dialogico di idee. Nathan deve immaginarsi di essere Seymour per far emergere le sue idee contro le proprie, non per sostituirle. Il fallimento della pastorale americana di Seymour non è quella di Roth, come non sono idee del grande scrittore americano gli slogan di Merry, le invettive di Lou, le lamentele di Dawn.10 Se Pastorale americana è un romanzo polifonico lo si deve essenzialmente all'autocoscienza dei personaggi e al loro distanziamento dalle intenzioni dell'autore. Per Michail Bachtin è questa la caratteristica fondamentale della polifonia:
L'autocoscienza, come dominante artistica nella costruzione del personaggio, è già di per sé sufficiente a disgregare l'unità monologica del mondo artistico, a condizione però che il personaggio, come autocoscienza, sia effettivamente raffigurato, e non espresso, cioè non si confonda con l'autore, non divenga il suo portavoce, a condizione, quindi, che gli accenti dell'autocoscienza del personaggio siano effettivamente oggettivati e che nell'opera stessa sia data una distanza fra il personaggio e l'autore (p. 70).
Roth denuncia la difficoltà che hanno questi personaggi nel farsi riconoscere. Una parola-chiave del romanzo è maschera, mask, e tutto un territorio semantico di lessemi affini, come nomi alternativi, alter names, e camuffamento, disguise, citati sopra. È il monologismo degli stereotipi ad essere preso di mira da Roth. I personaggi scivolano di ruolo in ruolo, di fisionomia in fisionomia, incapaci di esprimere la propria voce, il proprio universo di idee. Per riprendere a vivere Dawn ha bisogno di cambiarsi la faccia con un lifting (p. 187): la stessa Dawn che, da ragazza, «[a]ndava ad Avon per sfuggire alla sua bellezza» («went to Avon to get away from her beauty»), visto che «per accettare la propria bellezza, […] occorre sviluppare il senso dello humour» («to accept your beauty, […] you're well advised to develop a sense of humor», p. 195).11 Merry, invece, ingrassa e dimagrisce per protesta nei confronti del «sistema». Il simulacro di Seymour («Svedese») è annunciato all'inizio del romanzo, con le prime due parole che costituiscono un soprannome chiuso dalla punteggiatura: «Lo Svedese.» («The Swede.») (p. 3). Il suo «volto anomalo» è definito «Viking mask», cui segue, nella stessa pagina, il «camuffamento» degli atleti («even camouflaged by athletic uniforms»). Quasi a mettere fuori strada il lettore, un romanzo che parla degli Stati Uniti si apre con un nome che rimanda all'Europa.
L'idolo iniziale è un simulacro dietro cui non c'è un uomo, ma un'aspettativa, una speranza, come quella di vincere la guerra contro i nazisti e riabbracciare i propri cari partiti per il fronte (p. 4): sono gli altri ad appropriarsi di Seymour, ad attribuirgli un senso che è utile per sé.12 Ciò che accompagna questo scivolamento del personaggio in ruoli diversi (idolo, campione, eroe, marine, figlio, fratello, fidanzato, marito, genitore, imprenditore, Wasp, ebreo, padre di una terrorista, amante ecc. nel caso di Seymour; ma questo vale anche per altri personaggi) è il cambiamento dei nomi che attraversa in lungo e in largo questo straordinario romanzo postmoderno. Seymour Levov è lo Svedese per chi lo ha conosciuto da ragazzo; ma anche Ee-oh fra i marine (p. 210); Piccirell fra gli italiani (p. 222); Johnny Appleseed in famiglia (p. 315). Merry diventa a tratti Meredith (p. 243); cambia nome assumendo, per protesta contro la guerra in Vietnam, quello di Ho Chi Levov; poi, nella latitanza, oltre al soprannome La Farfulla (p. 260), cambia una ventina di nomi fino ad assumere, con tanto di documenti ufficiali, quello di Mary Stoltz, il nome di una bambina morta trovato su una lapide (p. 257). È l'individuo a subire questa sorte, volente o nolente: non riesce a rivelarsi e non riesce ad uscire da un ruolo, denominato o immaginato dagli altri.
Quello che manca è l'integrità della persona, con cui Seymour esca dal buco nero delle ignoranze altrui e ogni lato del prisma della sua esistenza si proietti e concentri in un punto, rivelandosi. Seymour lo sa bene, «with all the shame of masquerading as the ideal man» (p. 174):
[T]hat other self, the trueself, who was a wholly deluded fuckup. (p. 329)
[L]’altro io, il veroio: che era uno stronzo detestabile e completamente illuso.
Ricerca d'identità che pare appunto impossibile nella società di oggi. Fredric Jameson:
[A] once-existing centered subject, in the period of classical capitalism and the nuclear family, has today in the world of organizational beaurocracy dissolved. (p. 15)
[U]n soggetto un tempo centrato, proprio nel periodo del capitalismo classico e della famiglia nucleare, che oggi, nel mondo della burocrazia organizzata, si è dissolto
Questo ha prodotto per Jameson:
the "death" of the subject itself—the end of the autonomous bourgeois monad or ego or individual—and the accompanying stress, whether as some new moral ideal or as empirical description, on the decentering of that formerly centered subject or psyche (pp. 14-15).
la morte del soggetto – la fine della monade autonoma borghese, dell’ego e dell’individuo – e una parallela insistenza, da intendersi come nuovo ideale morale, oppure quale descrizione empirica, sul decentramento del soggetto o della psyche precedentemente centrati.
Due anni dopo l'uscita di Pastorale americana, il regista Stanley Kubrick, nella sua rilettura cinematografica della novella di Arthur Schnitzler Doppio sogno (tit. or.: Traumnovelle, 1926), fa della questione del ruolo e della disgregazione della famiglia il punto centrale di Eyes Wide Shut. Se il protagonista di Doppio sogno prova gusto ad uscire dal proprio ruolo di medico, vagheggiando l'idea di «mascherarsi» anche di fronte alla moglie, senza che nessuno possa conoscere le sue idee, il medico newyorkese di Kubrick fa di tutto per ribadire il proprio ruolo, specialmente con il tesserino da medico, senza il quale si sentirebbe perduto. Inoltre, la "fretta" dei coniugi all'inizio del film non è quella di trovarsi soli marito e moglie nella casa, ma di uscirne il più presto possibile per raggiungere il party, cui il regista dedica il grande "totale" che inquadra la sala da ballo.
Fuori della famiglia e dentro un ruolo sociale: questo dice Kubrick nel suo allucinante adattamento della non meno angosciosa novella viennese, il cui protagonista può comunque sempre riscattare la propria dignità con il Codice d'onore nobiliare estraneo alla società di massa raffigurata da Kubrick.
Per rincarare la dose il regista introduce il problema della disoccupazione della protagonista femminile, una questione del tutto inesistente nel personaggio di Albertine raccontato da Schnitzler. In Pastorale americana ci troviamo nella stessa situazione, con Dawn che si fa comprare una mandria da accudire per tenersi occupata, con la famiglia che si sgretola, con lo scivolamento dei personaggi da un ruolo (o maschera) all'altro:
The social face was gone—Dawn! But all this was a secret from others and had to be (pp. 320-321)
La facciata mondana era sparita: rimaneva Dawn! Ma tutto questo, per gli altri, era un segreto, e tale doveva restare.
E mentre Kubrick con le inquadrature strette e le riprese delle spalle del protagonista fa quanto di meglio occorra per non farci immedesimare in lui (tenendo fuoricampo l'ambiente che ospita il personaggio e differenziando il suo punto di vista dal nostro), Roth scava nei personaggi senza raggiungere il territorio di quella intimità temporale necessaria perché sia resa la verosimiglianza cronologica e ci sia permesso di immaginare la storia di Seymour come una nostra storia (o la rivisitazione della nostra storia): i personaggi sanno sempre qualcosa più di noi e le finestre diegetiche che si aprono sul passato costituiscono racconti curiosi, che aggiungono informazioni, suscitano emozioni, infittiscono l'intreccio, ma non chiudono la storia in un significato complessivo unitario.
Così, «scavando» nel passato, per usare un'immagine cara a Seamus Heaney, Roth rappresenta la perdita del soggetto. Soggetto esibito che non vive più di alcuna unità assertiva. C'è il carattere, c'è la tragedia di Seymour, e ci sono le sue scelte coraggiose, l'ostinazione che si scontra con i "colpi di scena", con le "impressioni forti", per cui il nuovo personaggio tragico "alto" (colui che ha realizzato l'American Dream, il «sogno americano») non si piega che quando è eroicamente sconfitto. Ed è allora, mi sembra, che si rifà una famiglia (pp. 16 e 28): come a dire che fin dall'inizio la storia tragica di Seymour è come già stata seppellita da altro e l'identità della persona, basata sul nucleo familiare che precede la società postindustriale, si è in qualche modo modificata. L'irriconoscibilità della figlia Merry a Down Neck è emblematica della perdita del soggetto e della fine della famiglia, prima che Seymour si accorga di essere tradito da Dawn:
But this. Where was the remediation for this? Could he bring Dawn here to see her, Dawn in her bright new face and Merry sitting cross-legged on the pallet in her tattered sweatshirt and ill-shapen trousers and black plastic shower clogs, meekly composed behind that nauseating veil? How broad her shoulder bones were? Like his. But hanging off those bones there was nothing. What he saw sitting before him was not a daughter, a woman, or a girl; what he saw, in a scarecrow clothes, sticky-skinny as a scarecrow, was the scantiest farmyard emblem of life, a travestied mock-up of a human being, so meager a likeness to a Levov it could have fooled only a bird. How could he bring Dawn here? Driving Dawn down McCarter Highway, turning off McCarter and into this street, the warehouse, the rubble, the garbage, the debris… Dawn seeing this room, smelling this room, her hands touching the walls of this room, let alone the unwashed flesh, the brutally cropped, bedraggled hair… (pp. 238-239).
Ma questo? Dov’era il rimedio, per questo? Poteva forse portare Dawn lí a vederla, Dawn con la sua lucida e tirata faccia nuova e Merry seduta a gambe incrociate sul suo giaciglio con la felpa lacera, i calzoni della tuta sformati e le ciabatte di plastica nera, mite e composta dietro quel velo nauseabondo? Com’erano grosse le sue scapole! Come quelle dello Svedese. Ma attaccato a quelle ossa non c’era nulla. Quella che vedeva là seduta davanti a lui non era una figlia, una donna o una ragazza; quello che vedeva, vestito da spaventapasseri, scheletrico come uno spaventapasseri, era il piú magro emblema della vita che si potesse trovare su un’aia, la parodia di un essere umano, qualcosa di cosí poco somigliante a un Levov che avrebbe potuto ingannare solo un uccello. Come poteva portare lí Dawn? Portare Dawn in macchina lungo la McCarter Highway, svoltare in questa via, tra i magazzini, i detriti, la spazzatura, le macerie… Dawn che vedeva questa stanza, che sentiva l’odore di questa stanza, che toccava con le mani le pareti di questa stanza, per non parlare di quelle carni non lavate, di quei capelli sporchi e tagliati barbaramente…
Nulla resta delle caratterizzazioni precedenti di Merry, ridotta ormai ad un mero stato di cosa dall'articolo determinativo the in luogo del possessivo her o di genitivi sassoni come Merry's o his daughter's («the unwashed flesh, the brutally cropped, bedraggled hair»). Né ormai c'è da aspettarsi di ritrovare un'identità riconoscibile e definitiva:
This was his daughter, and she was unknowable. This murder is mine. His vomit was on her face, a face that, but for the eyes, was now most unlike her mother's and father's. The veil was off, but behind the veil there was another veil. Isn't there always? (pp. 266)
Quella era sua figlia, ed era inconoscibile. Quest’assassina è mia. Aveva il suo vomito sul viso, un viso che, a parte gli occhi, era ormai molto diverso da quello di sua madre o di suo padre. Il velo era caduto, ma dietro il velo c’era un altro velo. Non è sempre cosí?
Attraverso questi slittamenti dell'identità Roth riesce a renderci il conflitto ideologico dell'America degli anni sessanta quale viene vissuto dai personaggi, differenziando gli orizzonti di giudizio, proponendo come «categoria fondamentale […] non il divenire, ma la coesistenza e l'interazione", secondo la formula bachtiniana (p. 41). Lo sfalsamento cronologico proposto da Roth è teso infatti a piegare il continuum del divenire alla scottante inesorabilità degli eventi, concentrando in un fitto panneggio l'euforia di cui ha scritto Jameson:
If we are to unify the past, present, and future of the sentence, then we are similarly unable to unify the past, present, and future of our own biographical experience or psychic life. […]
In our present context, this experience suggests the following: first, the breakdown of temporality suddenly releases this present of time from all the activities and intentionalities that might focus it and make it a space of praxis; thereby isolated, that present suddenly engulfs the subject with undescribable vividness, a materiality of perception properly overwhelming, which effectively dramatizes the power of the material—or better still, the literal—signifier in isolation. This present of the world or material signifier comes before the subject with heightened intensity, bearing a mysterious charge of affect, here described in the negative terms of anxiety and loss of reality, but which one could just as well imagine in the positive terms of euphoria, a high, an intoxicatory or hallucinogenic intensity (pp. 27-28).
Se siamo incapaci di unificare il passato, il presente e il futuro della frase, allora siamo altrettanto incapaci di unificare il passato, il presente e il futuro della nostra esperienza biografica o della nostra vita psichica. […]
Nel nostro contesto questa esperienza suggerisce quanto segue: primo, la rottura della temporalità libera improvvisamente il presente da tutte le attività e le intenzionalità che potrebbero focalizzarlo e renderlo uno spazio della prassi; così isolato, quel presente improvvisamente inghiotte il soggetto con indescrivibile vividezza, con una concretezza percettiva letteralmente schiacciante, che mette efficacemente in scena il potere del significante materiale – o, meglio, letterale – nel suo isolamento. Questo presente del mondo, questo significato materiale, si pone dinanzi al soggetto con estrema intensità, portando con sé una misteriosa carica d’affetto, qui descritta nei termini negativi dell’angoscia e della perdita della realtà, ma che si potrebbe immaginare altrettanto bene nei termini positivi dell’euforia, di un’intensità forte, inebriante o allucinogena.
Questo intensifica il dialogismo delle diverse parti del romanzo, travalicando, senza negarne i nessi, la gerarchia cronologica di un prima e di un dopo, di causa ed effetto, e sottoponendola all'intensità del vissuto.
Il romanzo è contrassegnato da un fitto sostrato simbolico, come la citata immagine del "velo" che anticipa il tema finale dell'Apocalisse (in ingl.: Revelation: rivelazione, appunto). La storia di Seymour non è quindi solo emblematica di un periodo storico e di un dramma individuale, né le continue metafore si limitano a stilizzare il testo e ad arricchirlo esteticamente. Numerosissime sono le metafore del cibo, così come quelle relative alla balbuzie di Merry. In particolare, la balbuzie riveste un significato importante nel romanzo, come rifiuto della lingua inglese da parte di Merry, che riesce ad accettarla solo quando inizia a preparare le bombe per la guerra interna (cioè fratricida o patricida): è in quel momento che la balbuzie cessa miracolosamente (p. 267). Questa stratificazione simbolica indica il rifiuto della lingua dei padri, rifiuto insieme del loro pensiero e modo di vivere. Già prima della bomba Merry esercitava sui genitori un ruolo terroristico:
That violent hatred of America was a disease unto itself. [...] They lived in the dread of her stuttering tongue. (p. 206)
Quell’esecrazione irrefrenabile per l’America era di per sé una malattia. […] Erano vissuti nel timore della lingua balbettante di sua figlia.
O come dice Jerry a Seymour:
Ever since she was a kid, every word she spoke was a bomb. (p. 279)
Sempre, da quando era piccola, ogni parola che diceva era una bomba.
Bomba, appunto, sommo emblema del terrore continuo prodotto dalla guerra fredda: bombe atomiche metaforiche come la poesia «Bomb» (1958) di Gregory Corso, il film Il dottor Stranamore (1964) di Stanley Kubrick, il romanzo di Leslie Marmon Silko Ceremony (1977), Underworld (1997) di Don DeLillo. Emblema della paura, del disordine, dell'annientamento totale. Se una delle metafore di Seymour è John Kennedy, una scoperta metafora di Merry è, oltre al junk, al rifiuto riciclabile, il caos (p. 231).
Come può questo caos conciliarsi con la pastorale americana cui Seymour aspira? Come realizzare l'idillio nell'America di oggi? In nessun modo, mi sembra, se non nel tentativo di riciclarsi in una nuova famiglia, abbandonando l'«ordinary family» di cui è fermo sostenitore papà Lou (p. 263), per risposarsi seguendo il cattivo esempio del fratello Jerry. La rilettura del mito biblico della caduta, attraverso il richiamo al Paradiso perduto (1674) di John Milton e la carnevalizzazione dei ruoli sociali tratteggiata nella cena finale, rendono esplicito il fallimento della pastorale. Durante la cena Marcia, una professoressa universitaria, assume il ruolo di smascheratrice, colei che, con la sua «undisguised superiority» (p. 342) e i suoi «apocalyptic pronouncements» (p. 339), rivela le «harshest truths» (p. 340). È suo l'apocalittico gargantuesco riso finale sulle disavventure dei Levov, che non dispensa loro la carità di un velo pietoso come quello con cui Merry continua a mascherarsi:
[S]he began to laugh at their obtuseness to the flimsiness of the whole contraption, to laugh and laugh and laugh at them all, pillars of a society that, much to her delight, was going rapidly under—to laugh and to relish, as some people, historically, always seem to do, how far the rampant disorder had spread, enjoying enormously the assailability, the frailty, the enfeeblement of supposedly robust things. (p. 423)
[C]ominciò a ridere dell’ottusità di cui avevano dato prova davanti alla fragilità di tutto il meccanismo, a ridere e ridere e ridere di tutti loro, colonne di una società che, con sua grande gioia, stava colando rapidamente a picco; a ridere e a mostrare il proprio godimento, come sembrano fare sempre, storicamente, certe persone, per l’ampiezza che aveva preso il disordine galoppante, apprezzando enormemente l’attaccabilità, la fragilità, l’indebolimento di cose che avrebbero dovuto essere robuste.
Benché sia suo il riso finale, il dialogismo polifonico di Roth non assegna a Marcia il contenuto del proprio pensiero. Nathan Zuckerman, che racconta la storia di Seymour, aveva usato, all'inizio del libro, un'espressione ricolma di pietà, che contrasta nettamente con il finale di Pastorale americana e, in retrospettiva, lo riveste di una luce nuova: «embrace your hero in his destruction» (p. 88). Immagine ancora più ricca di suggestione se pensiamo che non è molto diversa dal finale glorioso del dannato Brunetto Latini nell'Inferno di Dante.
Le tre parti in cui è diviso il romanzo sono intitolate: «Paradise Remembered» (Paradiso ricordato); «The Fall» (La caduta); «Paradise Lost» (Paradiso perduto). Con l'evocazione della Genesi biblica (pp. 360-361) e del Paradiso perduto, Roth si riallaccia al tema della Conoscenza. Effetti della conoscenza sono, nell'immaginario biblico, l'origine della morte, del dolore e della Storia, cui corrispondono, nel romanzo, la morte del protagonista, il dolore causato dalla bomba e la sovversione della cronologia temporale della narrazione. È di fronte all'esito della famiglia di Seymour e alla "ri-scrittura" della Bibbia, per usare un termine di Piero Boitani, che la pastorale americana si rivela un fallimento. Il bucolico soprannome Johnny Appleseed (Johnny Semedimela) di Seymour si colora di tinte inquietanti: l'ameno ottimistico seminatore ha dato vita all'Albero della Conoscenza del Bene e del Male: Merry, che, con la sua contropastorale (p. 86), gli ha aperto gli occhi (p. 418), senza che lui, novello Giobbe biblico, avesse fatto nulla per meritarsi la disgrazia divina. Solo che qui Roth si avvale dell'immaginario biblico per parlare di Storia («historically»). Storicamente non ci scegliamo un destino né un'identità. È questa, mi sembra, una possibile chiave di lettura dello sfaccettatissimo, intelligente, appassionante romanzo di Roth. Di certo il vivace dialogismo di Pastorale americana è fatto anche di questa intertestualità, ricco qual è di riferimenti storici e letterari, di opere d'arte e di film. E di commenti ironici sul significato dei libri:
None of this is true. Causes, clear answers, who there is to blame. Reasons. But there are no reasons. She is obliged to be as she is. We all are. Reasons are in books. (p. 281)
Nulla di tutto questo è vero. Cause, risposte chiare, a chi dare la colpa. Ragioni. Ma non ci sono ragioni. Merry è costretta a essere ciò che è. Come tutti noi. Le ragioni si trovano nei libri.
(Maggio 2018)
Bibliografia:
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- Michail Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Einaudi, Torino 1968, tit. or. in Id., Problemy poètiki Dostoevskogo, Chudožestvennaja literatura, Moskva 1972.
- Paul Berman, A Tale of Two Utopias. The Political Journey of the Generation of 1968, W. W. Norton, New York 1996; trad. it. in Id., Sessantotto. La generazione delle due utopie, Einaudi, Torino 2006.
- Piero Boitani, Ri-Scritture, il Mulino, Bologna 1997.
- Lawrence Buell, «American Pastoral Ideology Reappraised», 1989, in Henry David Thoreau, Walden and Resistance to Civil Government, Norton, London 1992.
- Gregory Corso, «Bomb», 1958, in Id., The Happy Birthday of Death, New Directions, New York 1960.
- Don DeLillo, Underworld, Scribner, New York 1997; trad. it. in Id., Underworld, Einaudi, Torino 2005.
- Fëdor Michailovič Dostoevskij, Besy, 1871-2, in Id., Polnoe sobranie sočinenij, vol. XII, Leningrad 1975; trad. it. in Id., I demoni, Einaudi, Torino 1994.
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- T. S. Eliot, The Waste Land, 1922, Norton, New York 2000; trad. it. La terra desolata, in Id., Opere, Bompiani, Milano 1986, pp. 80-121.
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- John Milton, Paradise Lost, 1674, in Id., Poetical Works, Oxford UP, London 1966; trad. it. in Id. Paradiso perduto, Mondadori, Milano 1990.
- Allan Nevins, Henry Steele Commager, Storia degli Stati Uniti. Dalla fondazione delle colonie americane al caso Watergate, Einaudi, Torino 1980, tit. or. in Id., The Pocket History of the United States of America. The Story of a Free People, Pocket Books, New York, 1976.
- Paul Ricoeur, Tempo e racconto 3. Il tempo raccontato, Jaca Book, Milano 1998 ; tit. or. in Id., Temps et récit III. Le temps raconté, Éditions du Seuil, Paris 1985.
- Philip Roth, American Pastoral, 1997, Houghton Mifflin, Boston 1997; trad. it. in Id., Pastorale americana, Einaudi, Torino 2001.
- --, The Human Stain, Houghton Mifflin, New York 2000; trad. it. in Id., La macchia umana, Einaudi, Torino 2001.
- Arthur Schnitzler, Traumnovelle, Fischer, Berlin 1926; trad. it. Doppio sogno, in Id., Opere, Mondadori, Milano 2005, pp. 691-799.
- Leslie Marmon Silko, Ceremony, Penguin, New York 1977; trad. it. in Id., Cerimonia, Editori Riuniti, Roma 1981.
- Sol Stern, «The Campaign to Free Angela Davis and Ruchell Magee», The New York Times, June 27, 1971.
Discografia:
- Bob Dylan, «Ballad of a Thin Man», in Id., Highway 61 Revisited,Columbia, New York 1965.
- --, «Subterranean Homesick Blues», in Id., Bringing It All Back Home,Columbia, New York 1965.
Filmografia:
- Robert Benton, La macchia umana (The Human Stain, Francia/Germania/USA 2003).
- Stanley Kubrick, Dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba (Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb, GB 1964).
- --, Eyes Wide Shut (GB/USA 1999).
Note:
- La data è il 3 febbraio 1968 (p. 364), anniversario della fondazione del Partito Comunista del Vietnam avvenuta nel 1930.
- Per un maggiore approfondimento dei discorsi sviluppatisi intorno alla ‘pastorale americana’, vedasi l'interessante studio di Lawrence Buell, «American Pastoral Ideology Reappraised», 1989, in Henry David Thoreau, Walden and Resistance to Civil Government, Norton, London 1992.
- Bob Dylan, «Ballad of a Thin Man». Come nella canzone, gli amici di Seymour sono per lo più avvocati e professori universitari.
- Cfr. Sol Stern, «The Campaign to Free Angela Davis and Ruchell Magee», The New York Times, June 27, 1971.
- La storia vera e propria dello Svedese è costellata di questi documenti reperibili.
- È cose se l'autore dostoevskiano, nascosto nel testo del grande romanziere russo, in Pastorale americana venisse allo scoperto, differenziando la propria voce da quelle dei personaggi, ma senza sovrapporla alle loro.
- L'espressione «uomo nell'uomo» (čelovek v čeloveke) è in un quaderno di appunti di Fëdor Dostoevskij, che Michail Bachtin così commenta: «Il suo eroe è l'uomo, ed egli ha raffigurato in fin dei conti non l'idea nell'uomo, ma, secondo le sue stesse parole, “l'uomo nell'uomo”» (p. 46).
- Nell'intervista rilasciata a Charles McGrath in occasione dell'uscita di The Human Stain, Roth aveva corretto l'espressione dell'intervistatore alter ego riferita a Nathan Zuckerman, definendolo «alter cerebro» («alter brain») e «intelligenza mediatrice» («mediating intelligence», p. 8).
- Il passo può essere letto sia come discorso indiretto libero sia come battuta ironica del narratore (autoreferenziale). Dal contesto (si seguono i pensieri del personaggio) mi sembra più convincente leggerlo nella prima chiave, benché l'ambiguità (o doppia valenza) del punto di vista faccia parte del dialogismo di Roth.
- Ciò non significa che non possano a tratti coincidere, ma non sono raffigurate come idee dell'autore tout court.
- In seguito il suo viso verrà denominato, tra l'altro, «angular mask» (p. 411).
- Nelle prime pagine Seymour viene definito «household Apollo», «symbol of hope» e paragonato a Zeus.
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