Ogni civiltà, nella
propria fase decadente, negli anni senili della propria esistenza storica,
finisce per mutarsi in una qualche specie di ottuso apparato di distruzione, un
pervasivo ed estremo strumento di morte.
Giancarlo
Micheli
In una fluida
narrativa per evidenze, Romanzo per la mano sinistra di Giancarlo Micheli (Manni,
San Cesario di Lecce 2017) consolida
l’impressione di continuità antidiegetica propria del territorio umano,
confermandosi libro-luogo, in cui a decidere di efficace memorabilità è
l’annullamento delle credenziali assimilate per tradizione in forza di una
carica che muove da un appassionante impegno, teso a ricomporre le salienti
fasi di una storia sovente dimentica di se stessa, che l’autore tiene fuori da
qualsiasi possibile collasso euritmico e parziale. Nella flessione
severa degli eventi, la scrittura paratattica si affida a gesti dinamici, ai
vasti significati intrinseci, mediante i quali giunge come sfida alla
lacerazione avvertita quale esperienza capace di aggregare tanto l’intimità dei
personaggi che la loro concretezza, in una figuratività metafisico-astrattiva
che delinea la coesistenza di linguaggi in continuo bilico tra presenza decisa
e dissolvenza alla maniera dei sogni, nei quali avviene «l’appagamento dei
desideri» (S. Freud). Ed è con animo critico che l’autore in un certo qual modo
‘intervista’ la storia nelle sue puntualità intellettuali, senza mai
trascendere in una solarizzazione emozionale suggestiva, pur nell’aleggiante
senso di privazione che ivi alberga in un tempo totalmente dominato da una
precarietà tuttavia inadatta a sgominare la speranza, pur vitale nelle
resistenti difficoltà di ordine pratico. La
costruttiva narrazione s’investe così
di un carattere caparbiamente volto ad alterare l’orientamento per via di un «passato
che mormora nelle corrispondenze» (W. Benjamin, «I “passages” di Parigi», in Id.,
Proust e Baudelaire. Due figure della
modernità, Cortina, Milano 2014, p. 9). Stefan scrive nella lettera al figlio Bruno in Romanzo per la mano
sinistra:
Ho
deciso di narrarti, dapprincipio, della donna che, adesso mentre ti scrivo, ti
porta nel grembo. Spero ciò ti sia viatico affinché tu giunga, in un giorno che
tardi abbastanza perché non ti capiti di rimpiangere prematuramente il tempo che
pure perderai vivendo, a fare la felice esperienza in cui le tue parole
toccheranno l’anima di un altro, un tuo simile, grazie al cui libero ascolto
esse prendano il loro senso, proprio e particolare, tale da renderle fulgide di
tutta la luce che un’esistenza umana getta sul mondo, dal suo principio alla
sua fine attraverso le epoche e le generazioni.
(p. 37)
Dalla commistione dei casi – ritratti di
circostanze dall’apparenza talora fortuita, che tracciano la rotta (sovente
senza una consistente volontà personale) intrapresa dai componenti il medesimo
nucleo familiare (personaggi portanti sono Stefan Bauer, Adele Ascarelli, sua
moglie, e il figlio Bruno) – si penetra l’intimità di un’epopea che scansiona
le protuberanze territoriali per evolvere in una sorta di unicità simultanea,
che dilania le diversità dei luoghi nel loro valore astrattivo. Pur provenendo
da realtà diverse anche dal punto di vista sociale (Stefan è austriaco, Adele
ha le sue radici in una prestigiosa stirpe industriale napoletana), ciascuna
porzione minimale trasporta i segni delle tante storie che, sebbene stagliate
su orizzonti dall’improbabile legame, confluiscono in un intreccio di verità e
invenzione dagli effetti sapienziali, dove svolte interlocutorie dirigono una
prospettiva sottoposta a incessanti (ri)elaborazioni. È comprensibile che da
parte dell’autore sussista il rifiuto ad adeguarsi all’elaborazione di un
impianto ripetitivo, all’interno del quale strutturare la sua invenzione
narrativa, recepita nell’attraversamento lento e deciso di territori noti. Di
fatto, Giancarlo Micheli con strenua energia da essi estirpa le vicende dalla polvere,
perché diventino centri di diffusione di una meta-vicenda che, svoltando da una
situazione unifamiliare e adiabatica, valica luoghi, tempi e situazioni, in una
convergenza che s’arricchisce di particolari e che, infine, coinvolge
integralmente il lettore, il quale, quindi, dal suo punto mobile, si ritrova a
concepire se stesso nella posizione di osservatore indiretto di una
dettagliata corrispondenza sulla quale aleggia la condanna dell’essere
ebreo.