29 novembre 2016

«Per salutarti. (In morte di Vittorio Sermonti)» di Giovanni Sias

Vittorio Sermonti 

Per salutarti, vecchio amico, che fino a stamane, quando ho letto la notizia sulla Stampa, mi parevi immortale. Fortuna ha voluto, caro Vittorio, che ci vedessimo di recente, ché altrimenti mai mi sarei perdonato, essendo a Roma nello scorso ottobre, di non essere passato a salutarti e di passare alcune ore insieme, a casa tua, con le nostre mogli, a chiacchierare piacevolmente del presente. Fortuna, così, mi ha concesso ancora di sentirmi contento della vostra compagnia, tua e di Ludovica. 

Ti ho sentito e visto sofferente, è vero, ma comunque mi sembravi sempre immortale, con quel tuo sguardo curioso e divertito del mondo, che però sapeva anche farsi serio e severo, di un mondo abitato per lo più da stupidi. Ma anche questo era parte del gioco e della meraviglia: quel gioco tragico del vivere a cui si può opporre solo l’intelligenza dell’umorismo del vizioso che si accompagna con il tempo della solitudine in cui ci s’immerge nella lettura e nella scrittura: vizio capitale di chi passa la vita a scrivere e tradurre, ad amare le donne occhi pescosi, e quell’autore nelle cui mani (pagine…) si consegna la propria vita, con lo sforzo titanico e gioioso e generoso di ridargli vita, e pensieri che non aveva ancora pensato, largo respiro e voce per raggiungere ancora, come in un tempo immemore, folle curiose e anche desiderose di ascoltare colui che non avevano forse mai ascoltato. 

E io con te ho davvero letto Dante perché, diciamolo, non l’avevo mai letto per davvero. In passato avevo letto solo dei versi senza voce, e la tua voce li ha resi di nuovo vivi; e quando la mia lettura seguì la tua voce tutto mi è apparso limpido e pulsante ancora di vita e di senso: hai saputo dare voce alla mia lettura della Commedia. Ti sono davvero grato per questo, come lo sono per il buon vino bevuto insieme.

Hai ridato voce a quell’Alighieri, Dante di nome e fiorentino per sorte maligna, ché in quella città di Firenze gli toccò di nascere, che è poi la sorte di tutti e di ciascuno nascere in un luogo di esilio anche se il caso, o altri, non ci caccia costringendoci ad altri luoghi. E qui, la tua vita, caro amico a riposo, la sapeva lunga. 

In quella Firenze in cui studiasti e che esiliò a un certo punto voce e pensiero che tu ridonasti negli anni a Dante con tutta la forza dirompente della sua e tua tragicità; quella città di esili preferì, alla tua voce italiana calda e profonda, la voce fiorentina e sguaiata di uno sgangherato comico che nel diluire nelle risa il tragico canto tolse all’Alighieri la forza e la statura della sua poesia rendendola sterile all’ascoltatore. Ma così è Firenze: vende, e si vende, al miglior offerente del niente.

Una sera a cena a Firenze, di ritorno da Santa Croce dove leggevi Dante, in un momento di sfogo, e anche di rabbia perbacco (e perché no: giusta!), dicesti che, finita quella lettura, a Firenze non ci saresti mai più tornato. E così anche in una cena a casa mia a Milano, con Sergio e Laura e le mogli inseparabili, parlasti con divertito dispiacere di quella città inospitale che aveva preferito il suo comico nazional-popolare al sommo Dante da ritrovare. E così fu. Al Dante tragico, da leggere, da ascoltare, da meditare, Firenze preferì un Dante ridanciano da intrattenimento serale. Esiliato un’altra volta, questa volta con l’esilio della tua voce. Non è così facile, amico caro, cambiare un destino anche se ci proviamo per una intera vita.

16 novembre 2016

«Riflettendoci meglio. Conversazione con Loredana Micati e Luciana Zecca» di Doriano Fasoli


La presente conversazione prende spunto dalla pubblicazione dalla recente traduzione della raccolta di saggi dello psicoanalista britannico Wilfred Bion Riflettendoci meglio (Second Thoughts), edita da Astrolabio Ubaldini e a cura di Loredana Micati e Luciana Zecca. Loredana Micati è psicoanalista e analista di training della Società Psicoanalitica Italiana e autrice, tra l'altro, de La dinamica degli inconsci (Dedalo, 1977) e del romanzo Don Riccardo (Mursia, 2014). Luciana Zecca è medico chirurgo, specialista in psichiatria, membro associato della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalytical Association (IPA). 

Doriano Fasoli: Dottoresse Micati e Zecca, quando viene pubblicato per la prima volta Second Thoughts?

Loredana Micati e Luciana Zecca: Nel 1967; Second Thoughts ha come sottotitolo Selected Papers on Psycho-Analysis

Com’è articolato il libro?

Quando, nel 1967, viene pubblicato Second Thoughts, Bion aggiunge, a una raccolta di articoli, scritti e pubblicati negli anni '50, una lunga riflessione chiamata «Commentary».

Erano passati quasi vent'anni e il punto di vista dell'autore era profondamente cambiato. Egli sceglie di non riscrivere gli articoli, ma di aggiungere un lungo «Commentario», che si richiama ai paragrafi degli articoli e li discute.

È la prima volta che appare tradotto in italiano o esisteva già una versione precedente?

Quando Second Thoughts fu pubblicato in Inghilterra nel 1967, in Italia la comunità psicoanalitica stava ancora facendo i conti con la lunga interruzione dovuta al fascismo, che aveva soppresso la Società Psicoanalitica Italiana (SPI), costringendo le personalità più in vista all'espatrio o al silenzio. Dopo la guerra la SPI incominciò subito a riorganizzarsi. C'era desiderio di recuperare il tempo perduto e mettersi al passo con le culture analitiche più interessanti. In quegli anni in Italia si traduceva molto. Sergio Bordi fu studioso infaticabile e generoso nel mettere i suoi studi a disposizione dei colleghi italiani. La prima traduzione di Second Thoughts fu curata proprio da Sergio Bordi, e comparve nel 1970, edita da Armando, con il titolo Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. La traduzione seguì quindi il testo inglese a brevissima distanza e l'urgenza non fu buona consigliera. Uno degli obiettivi della traduzione del '70 sembra sia stato quello di semplificare il compito al lettore scegliendo l'interpretazione del testo più plausibile, date le conoscenze di cui si disponeva. Lo stile di quella traduzione risulta molto diverso dallo stile del testo originale, e tende a sciogliere le ambiguità, a operare scelte, a delimitare e definire. Piuttosto che incontrarsi e scontrarsi con un testo spiazzante e geniale cerca di domarlo per comprenderlo e renderlo più accessibile.

Conseguentemente anche il contenuto cambia e il discorso che si sviluppa scorre parallelo al testo originale, ma se ne discosta molto. Così si è perso ciò che a Bion stava più a cuore: il significato di un modo particolare di entrare in rapporto con l'esperienza, l'emozione, il pensiero.

È andata persa, ad esempio, l'attitudine al dubbio, la capacità di attendere, di tollerare di non sapere, d'incontrare l'ignoto.