5 maggio 2014
«Rapsodia ultramarina», di Angelo Tonelli
Una grande città, meridionale
ma con corti sprecate, miserabile,
a ombre fitte, androni senza raggi
di sole che traspaiano. La musica
del cosmo c’è anche qui
che senti grida ottuse, che le donne
ammassano gioielli alla rinfusa
di aranci e melograni, di conchiglie.
A mille a mille i giorni si aggrovigliano
dentro le mura, in mormorii confusi,
palpiti brevi, dischiudersi di ciglia.
* * *
Mediterraneo d’argento, re disfatto
di microscopici reami,
di città invisibili
scavate nel sale – il Pireo1
trabocca di patate appena fritte
dentro le stive delle navi azzurre
e rovesciate in darsena.
Se non fosse che il vicolo
della Madonna Cieca è reso in buona parte impercorribile
da montagne di tchai2, dal miele
che le api dell’Acropoli distillano
all’alba su tutta la città.
Ci restano l’Eufrate
e il Nilo per rinascere, papiri
e sabbia e pietra bianca: senza vento
era il deserto, e tu sorgevi
e i pescherecci andarono tutti alla deriva,
invano governati da marinai di quarzo.
Se il tempo non tradisse, se perpetue
fiorissero, nel cuore, andalusie,
se fosse musica
l’aria che respiriamo, le parole
frammenti di cristallo…
* * *
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