9 settembre 2009

«Arthur Schnitzler e l'insostenibile insicurezza dell'immaginazione. 'Doppio sogno'» di Nicola D'Ugo


Arthur Schnitzler,
Doppio sogno,
Adelphi, Milano 1998.
A cura di di Giuseppe Farese.
131 pp. EUR 8,00

«Non si può ipotecare il futuro.»
Arthur Schnitzler, Doppio sogno

Traumnovelle di Arthur Schnitzler, ovvero Doppio sogno, è un romanzo in bilico fra il sogno e la realtà, nell’avventura immaginativa del protagonista, il medico trentacinquenne Fridolin, sospinto verso situazioni nuove, e sempre insondate fino in fondo, da un impellente desiderio di riscattarsi.

A partire dalle «due maschere in domino rosso» incontrate la sera prima a una festa, il protagonista recupera nella memoria la «ragazza giovanissima» della spiaggia in Danimarca, già annunciando il carattere più simbolico che reale che lo porterà a una rassegna di incontri amorosi con la figlia di un paziente, Marianne, «seduta ai piedi del letto» del padre appena deceduto, con la «passeggiatrice» Mizzi, con la «pazza» Pierrette, con la donna mascherata che si sarebbe «sacrificata» per lui in una segreta villa libertina. Sono per lo più, lo si noti, figure giovani. La bagnante pare al protagonista «giovanissima, forse quindicenne.» Mizzi è «una creatura graziosa, ancora molto giovane, pallidissima, le labbra tinte di rossetto» e ha «diciassette» anni. Pierrette è una «ragazza graziosa e giovanissima, quasi una bambina.» Marianne «tre o quattro anni fa, aveva ventitré anni», mentre la donna mascherata resta anonimamente senza volto e senza età: «ombra fra le ombre» simile «a una diciottenne come a una trentottenne.»

Questo riferimento alle età delle ragazze è puntiglioso e assillante nella mente del protagonista; e ben si comprende la causa se si tiene conto che la crisi coniugale che lo induce a ricercare avventure sorge da un episodio rivelatogli dalla moglie Albertine, la quale non ha più di ventotto anni, più verosimilmente ventiquattro o venticinque:

«Non riesco a capire» disse Fridolin. «Avevi appena diciassette anni quando ci fidanzammo».
«Sedici passati, Fridolin. Eppure…» lo guardò francamente negli occhi «non dipese da me se divenni tua moglie ancora vergine».
«Albertine…»
Ed ella raccontò:
«Fu nel Wörthersee, poco prima del nostro fidanzamento, Fridolin; una splendida sera d’estate un bellissimo giovane si fermò davanti alla mia finestra che guardava sull’ampia distesa del prato, ci mettemmo a parlare e durante quella conversazione pensai: che ragazzo simpatico e affascinante, – se dicesse ora una sola parola, quella giusta naturalmente … , – stanotte potrebbe avere da me tutto quel che vuole. … Ma l’incantevole giovane non pronunciò quella parola; mi baciò solo delicatamente la mano, – e il mattino successivo mi chiese se volevo diventare sua moglie. E io dissi di sì».

È a questo punto che Fridolin esterna la propria gelosia, senza badare che quel giovane era lui. Egli associa la figura del «signore con la borsa da viaggio gialla sulla scala dell’albergo in Danimarca» che l’estate precedente aveva invaghito la moglie, con quella di se stesso ventenne: in entrambi i casi la moglie è stata attratta con un semplice sguardo da «un giovane», senza alcun contenuto intimo del guardato. Pensare che un giovane possa invaghire la propria moglie non è uno dei pensieri più felici di chi si ritiene fuori da quell’arco d’età; pensare che il solo aspetto esteriore possa esercitare un forte ascendente sulla moglie non è un pensiero gradito per chi le dimostra quotidianamente la propria intimità e vicinanza; scoprire, a anni di distanza, dei meccanismi mentali della moglie mette in discussione l’intimità e l’ascendente di due vite insieme. La domanda che Fridolin pone alla moglie è allora:

«E se quella sera ci fosse stato per caso un altro davanti alla tua finestra e gli fosse venuta in mente la parola giusta, per esempio…» pensò a quale nome dovesse dire.

Quel «pensò a quale nome dovesse dire» rivela come ciò che non sapeva continua a non saperlo. Egli è quel giovane che non sapeva la parola magica che gli avrebbe permesso di possedere Albertine prima del matrimonio: non la sapeva allora e non la sa neppure ora a distanza di anni. Quella parola è rimasta per tutto quel tempo nella mente della moglie senza che lui ne venisse a conoscenza. In quella battuta del narratore si avverte subito una differenza di contenuto fra sé e la moglie. Questo è solo uno degli indizi che rivelano la separazione comunicativa fra sé e la moglie. La scena iniziale del romanzo lo rende ancora più significativo, perché i due personaggi sono rimasti soli proprio per comunicarsi l’un l’altra le proprie fantasie amorose suscitate dal ballo in maschera della sera prima, con la speranza che una «sincera confessione riuscisse a liberarli da una tensione e da una diffidenza che cominciavano a diventare poco a poco insopportabili.»

Ma dalla conversazione risulta che ognuno ha come vissuto separatamente quei momenti. Una volta rivelati essi mettono in crisi le sicurezze del protagonista. E siccome la sicurezza di sé è uno dei valori cui poggia l’amor proprio di Fridolin, egli sente la necessità di riscattarsi dalla delusione suscitata dalle parole di Albertine.

La narrazione diventa allora un supporto del pensiero del protagonista, con un narratore che non è equidistante dai personaggi e non è neppure onniscente (per usare una terminologia critica). Infatti sbaglia, dicendo, per esempio, che Mizzi è «una creatura graziosa, ancora molto giovane, pallidissima, le labbra tinte di rossetto», per contraddirsi successivamente:

Fridolin si accorse che le sue labbra non erano per nulla truccate, ma colorite di un rosso naturale e le fece un complimento.
«Perché dovrei truccarmi?» domandò. «Quanti anni credi che abbia?»
«Venti?» tirò a indovinare Fridolin.
«Diciassette» rispose, si sedette sulle sue ginocchia e gli cinse la nuca con il braccio come una bambina.

Se si osserva con attenzione, si nota che tutti quei personaggi femminili che esercitano un ascendente sensuale sul protagonista sono in qualche misura delle figure fragili, bisognose di protezione. Fridolin vuole essere l’eroe che le salva dalla malattia (Marianne è «dimagrita negli ultimi tempi» e ha l'«Acipite, probabilmente»; Mizzi potrebbe avere una malattia venerea; Pierrette è una demente) e da un futuro incerto (Marianne è un’orfana che non ama il fidanzato; Mizzi è una prostituta; Pierrette sembra venga anch’essa prostituita in casa; la donna mascherata deve subire una tremenda punizione forse mortale per averlo affrancato). Tutto avviene nella mente di Fridolin, non in una oggettività della narrazione, al punto che Fridolin si trova nella condizione di chi è pervaso da sensazioni che non gli danno modo di ragionare con lucidità. Il percorso interiore del pensiero si fa allora una sorta di giallo in cui tutto è da verificare all’esterno, e che, una volta verificato parzialmente, assume connotazioni ancora più inquietanti, al punto che il peggio assume quasi uno statuto di realtà.

Tutte quelle figure femminili che servono a compensare la perdita immaginata della moglie diventano oggetto di un desiderio ulteriore, di rivalsa sociale, di controllo della realtà circostante e del futuro. Ecco che Schnitzler impiega allora situazioni poliziesche, da detective story. La sua attenzione alla psicologia del protagonista (e non dei personaggi), fa sì che il lettore veda la vicenda dal suo interno, senza però l’impiego del flusso di coscienza o di altri meccanismi di descrizione e dilatazione del pensiero resi celebri da Proust, Woolf e Joyce. Il suo romanzo psicologico si fa critica della detective story, nella misura in cui il protagonista avverte sulla propria pelle il brivido dell’investigazione. Tale brivido, con le incertezze che ne risultano, tende a compromettere qualsiasi atto conoscitivo e a rendere l’azione meno nobile dell’intento da cui scaturiva. Con Schnitzler si comprende che lo stato d’animo del lettore di un giallo non è lo stesso di quello dell’investigatore freddo e sicuro di sé che ne è protagonista (un nuovo modello dell’eroe). Se questo è vero, l’immedesimazione del lettore in Sherlock Holmes o nei tanti eroi gialli risulta falsata. L’antieroe di Schnitzler è l’uomo, a cui non basta risolvere un caso, perché la sua ricerca è infinita.

Dalla dimensione erotica iniziale, l’autore viennese si sposta su motivazioni meno superficiali, abbassando il livello del discorso dai valori sociali (possedere tutte le belle donne del mondo) a moti d’animo irrisolti ed essenzialmente individuali: il che differenzia l’apparire dall’essere nella consapevolezza dell’uomo. Per cui lo scrittore austriaco indugia meticolosamente sulle reazioni di Fridolin e della moglie Albertine, evidenziando il carattere psicologico della comunicazione, e le interpretazioni delle frasi nelle conversazioni. Se Albertine non è la coprotagonista della vicenda, ma personaggio secondario, è al tempo stesso il personaggio più importante dell’intera vicenda erotica di Fridolin. È lei che suscita, attraverso i propri 'tradimenti' virtuali, la gelosia del marito, troppo orgoglioso per confessare di esserne stato profondamente toccato. Nei sette capitoli che compongono il romanzo, Fridolin è sempre presente e il narratore lo segue passo passo nei suoi vari spostamenti, allontanandolo poco a poco dalla presenza della moglie, mentre Albertine è realmente presente in quattro capitoli soltanto, in tre come antagonista diretta. Ma, di fatto, non v’è capitolo che non la contenga, perché Fridolin «senza sapere perché» è «costretto a pensare a sua moglie.»

La «gelosia» di Fridolin del I capitolo si fa nella sua mente «amarezza» nel II, poi Albertine diventa traditrice nel III, mentre nel IV capitolo è come un’estranea indifferente a lui, addirittura «donna da conquistare», senza che il medico abbia rivisto nel frattempo la moglie. L’immaginata estraneità della moglie si fa più realistica quando la rivede, nel V capitolo, e le sue «labbra semiaperte, segnate da ombre di dolore» gli fanno pensare che «era un volto a lui sconosciuto», poi «i suoi tratti si deformarono stranamente» e «Albertine aprì gli occhi, lentamente, a fatica, e lo guardò fisso, come se non lo riconoscesse.»

Ha da lei prima una reazione di repulsione, poi una nuova confessione, un sogno che lei ha fatto e in cui immagina di desiderare la sofferenza e la morte di lui; solo a questo punto, a letto, «nell’ingannevole atmosfera della stanza matrimoniale» Albertine diventa nella sua mente una nemica mortale:

Una spada tra noi, pensò di nuovo. Poi: sdraiati fianco a fianco come nemici mortali.

Nel VI capitolo Fridolin pensa al divorzio, nel VII udendo «il respiro tranquillo e regolare di Albertine» e vedendo «profilarsi sul cuscino morbido i contorni della sua testa . . . fu preso da un inaspettato senso di tenerezza, anzi di sicurezza.»

Tutto questo riaffiorare di Albertine nella mente del protagonista lo induce a rispondere a una inadeguatezza nei suoi confronti, poiché ella gli pare molto più sicura di sé di quanto lo sia lui: più egli si eccita, più pensa che Albertine sia «tranquilla.»

E anche i propri tradimenti vendicativi immaginari gli sembrano inadeguati. Del resto, non è forse ogni conoscenza inadeguata a vivere con tranquillità? La questione dell’inadeguatezza e della conoscenza si trasferisce di volta in volta in altri settori della vita di Fridolin, che esorbitano dalla sfera immediatamente erotica: la sua invidia per il dottor Roediger beneficiario di una cattedra universitaria, il desiderio di sapere cosa c’è dietro i riti della villa misteriosa e la voglia di riprendere la ricerca scientifica ne sono alcuni esempi.

La scrittura di Arthur Schnitzler è scorrevole e gradevole, regalando al lettore una vicenda affascinante per le sue tinte carnevalesche in un’ambientazione cupa tipica delle grandi città austriache.

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[pubblicato in: Notizie in... Controluce, n. VIII/10, ottobre 1999, p. 20.]


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