Paolo Lagazzi, saggista e scrittore, è nato a Parma nel 1949 e risiede a Milano. Si è occupato di letteratura, buddhismo, magia, musica, cinema e pittura. Collabora a riviste e case editrici italiane e straniere. Ha pubblicato libri di saggistica (ricordiamo Rêverie e destino; Vertigo. L’ansia moderna del tempo; Forme della leggerezza), fiabe (La scatola dei giochi; La fogliolina) e racconti. Ha curato antologie di poesia giapponese e, per i «Meridiani» Mondadori, i volumi delle opere di Pietro Citati, Maria Luisa Spaziani ed Attilio Bertolucci (con il quale ha realizzato, nel 1997, un libro intervista: All’improvviso ricordando. Conversazioni). La presente conversazione si incentra sulle recenti pubblicazioni di Lagazzi: il romanzo Light stone, edito da Passigli, la raccolta di saggi La stanchezza del mondo. Ombre e bagliori dalle terre della poesia, edito da Moretti & Vitali, e la curatela, con Gabriella Palli Baroni, di una silloge di opere rimaste finora inedite di Attilio Bertolucci, dal titolo Il fuoco e la cenere. Versi e prose dal tempo perduto, uscito per i tipi Diabasis.
Doriano Fasoli: Alla fine del 2014 è apparso per le edizioni Diabasis un libro di testi inediti o rari di Attilio Bertolucci, Il fuoco e la cenere. Versi e prose dal tempo perduto, curato da lei e da Gabriella Palli Baroni. Come è nato questo volume?
Paolo Lagazzi: È nato da un’idea che portavo dentro di me da parecchi anni e a cui Gabriella Palli Baroni ha aderito con entusiasmo. L'idea era, semplicemente, quella di raccogliere i migliori testi in versi e in prosa di Bertolucci rimasti inediti o dispersi in riviste, non presenti nel «Meridiano» Mondadori curato da me e da Gabriella. La maggior parte degli inediti erano nel fondo bertolucciano dell'Archivio di Stato di Parma, altri nel mio archivio personale e in quello della signora Palli Baroni. Dopo aver letto e riletto molte carte, molti foglietti segnati dall’inconfondibile, curvilinea calligrafia del poeta, io e Gabirella abbiamo scelto i testi che sentivamo più intensi e significativi, poi li abbiamo divisi in tre sezioni: la prima contiene liriche scritte da Bertolucci nell'intero arco della sua esistenza, da quando era giovanissimo fino a tre anni prima della morte; la seconda offre bellissime sequenze, brani o frammenti esclusi da La camera da letto; la terza raccoglie alcune prose di profonda qualità poetica.
Quali pensieri e quali emozioni Il fuoco e la cenere può suscitare in chi già conosce e ama Bertolucci e in chi ancora non lo conosce?
Per chi conosce Bertolucci in modo non superficiale questo libro non potrà non risvegliare quell'insieme di sensazioni, emozioni sottili e segrete, note intime, risonanze ricche di una verità umile e immensa che tutta la sua opera trasmette. Credo sia sempre miracoloso il dono che sa offrirci un poeta originale, vivo e struggente come lui, e straordinaria la possibilità di ritrovare questo dono in luoghi imprevisti, in pagine inesplorate o disperse. Chi ancora non lo conosce troverà in questo libro un ottimo viatico per inoltrarsi nel suo mondo, per esplorarlo lentamente e per lasciarsi assorbire dalla luce vera e fantastica delle sue immagini, dal suo vibratile sentimento del tempo, dalla bellezza straziante del suo amore per la vita e del suo dolore di fronte all’ombra, al nulla, alla morte.
Quali sono le poesie e le prose di Il fuoco e la cenere a cui lei si sente più affezionato?
Tra le poesie un luogo molto speciale nel mio cuore occupa quella che comincia col verso «Come lucciola allor ch’estate volge» e che evoca una lucciola morente, persa in un prato di luglio, «sola nella notte», richiamando attraverso essa il destino di ogni anima; è la poesia che scelsi di leggere in pubblico il 17 giugno 2000 a Parma, durante la parte «civile» del funerale di Attilio. Credo sia un testo meraviglioso, di una limpidezza tragica con pochi confronti possibili nel Novecento. Ma Il fuoco e la cenere raccoglie parecchi testi memorabili. Mi permetta di ricordare almeno «Alla mia giovinezza» e «Avevo dormito a lungo, senza sogni» tra le liriche sparse; la misteriosa sequenza conclusiva del «Viaggio di nozze» tra i brani esclusi dal romanzo in versi; infine «Un giorno del ’44», scorcio di grande qualità epica e umana sull'invasione tedesca dell'Appennino, tra le prose.