Apollo e Dafne (1622-1625) di Gian Lorenzo Bernini (Galleria Borghese, Roma) |
Le Metamorfosi di Ovidio sono una delle opere piú influenti
della letteratura occidentale. Non solo per la rassegna di miti classici
di cui si sono nutrite ottanta generazioni di artisti e letterati. È
una questione di scrittura, di snodi dell’intreccio, di articolazione
delle narrazioni, che si perdono là dove sorgono: nell’oscurità e nella
luce del mistero, dell’imprecisato, del rarefatto, dell’ignoto.
Si
capisce fin dalle prime pagine che non si è di fronte a una narrazione
epica a tutto tondo. Ce lo dice la rassegna di creazioni in rapida
successione, che danno l’idea di un processo infinito. La poesia di
Ovidio è già poesia moderna, anzi modernissima, solo perché è
semplicemente poesia, fondata sulla forza delle immagini metaforiche che
hanno la doppia pelle del traslato. Le vicende umane descritte da
Ovidio contemplano l’uomo decaduto da uno stato originario piú
piacevole, un uomo che ora deve guardarsi da tutto: dagli dèi, dagli
uomini, dalla natura, dalle proprie inclinazioni.