11 gennaio 2012

«'Le metamorfosi' di Ovidio» di Nicola D'Ugo


Apollo e Dafne (1622-1625)
di Gian Lorenzo Bernini
(Galleria Borghese, Roma)
Le Metamorfosi di Ovidio sono una delle opere piú influenti della letteratura occidentale. Non solo per la rassegna di miti classici di cui si sono nutrite ottanta generazioni di artisti e letterati. È una questione di scrittura, di snodi dell’intreccio, di articolazione delle narrazioni, che si perdono là dove sorgono: nell’oscurità e nella luce del mistero, dell’imprecisato, del rarefatto, dell’ignoto.

Si capisce fin dalle prime pagine che non si è di fronte a una narrazione epica a tutto tondo. Ce lo dice la rassegna di creazioni in rapida successione, che danno l’idea di un processo infinito. La poesia di Ovidio è già poesia moderna, anzi modernissima, solo perché è semplicemente poesia, fondata sulla forza delle immagini metaforiche che hanno la doppia pelle del traslato. Le vicende umane descritte da Ovidio contemplano l’uomo decaduto da uno stato originario piú piacevole, un uomo che ora deve guardarsi da tutto: dagli dèi, dagli uomini, dalla natura, dalle proprie inclinazioni.