Maria Dzielska, Hypatia of Alexandria, Harvard University Press, Cambridge (Mass.)-London 1996. Translated by F. Lyra. XII-157 pp. EUR 19.45 |
Il saggio è costruito sulla base di una netta contrapposizione fra la "leggenda di Ipazia” e la realtà storica. La prima trova spazio per lo più nelle opere a carattere eminentemente letterario. Secondo questa tradizione, Ipazia è soprattutto la "martire pagana”, nel duplice significato di testimone del tramonto del mondo classico e di vittima dell'intolleranza cristiana. La sua fine tragica è una sorta di preludio al Medioevo, alla barbarie dei "secoli bui”. La parte introduttiva del volume è dedicata espressamente all'esame degli aspetti più caratteristici di questa linea interpretativa.
In una rapida, ma efficace ricognizione, nella quale viene idealmente ripresa e portata a compimento l'opera di R. Asmus (Hypatia in Tradition und Dichtung, Berlin 1907), sono esaminati, innanzitutto, gli autori del settecento inglese e francese che hanno maggiormente contribuito alla formazione della leggenda, facendo di Ipazia il simbolo della ragione contro l'oscurantismo della Chiesa: Toland, Voltaire, Gibbon, Fielding. L'attenzione si sposta poi sull'ottocento, con Leconte de Lisle, Gérard de Nerval, Maurice Barrès, Charles Kingsley. Ipazia diventa una eroina romantica, che incarna «lo spirito di Platone nel corpo di Afrodite», e affronta la plebaglia cristiana armata solo di cultura e di bellezza. Seguono i positivisti inglesi e americani, come J. W. Draper, che fanno di Ipazia una antesignana di Marie Curie immolata sull'altare della scienza: interpretazione ripresa dagli storici della scienza, come Van der Waerden o, più recentemente, M. Alic e il Dictionary of Scientific Biography.